La Preghiera di Gesù o Preghiera del cuore
La preghiera di Gesù si dice in questo modo: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio abbi pietà di me, peccatore.
In origine, la si diceva senza la parola peccatore; questa è stata aggiunta più tardi alle altre parole della preghiera.
Tale parola esprime la coscienza e la confessione del nostro stato di peccato Istituita da Cristo dopo l'ultima cena, il Signore Gesù Cristo diede ai suoi discepoli dei comandamenti e dei precetti sublimi e definitivi; fra questi, la preghiera nel suo Nome.
Egli ha presentato questo tipo di preghiera come un dono nuovo e straordinario, d'inestimabile valore.
Gli apostoli conoscevano già in parte la potenza del Nome di Gesù: per suo mezzo guarivano le malattie incurabili, sottomettevano i demoni, li dominavano, li legavano e li cacciavano.
È questo Nome potente e meraviglioso che il Signore comanda di utilizzare nelle preghiere, promettendo che agirà con particolare efficacia.
"Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio Nome", dice ai suoi apostoli, "la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio.
Se mi chiederete qualche cosa nel mio Nome, io la farò" ( Gv 14,13-14 ).
"In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio Nome, egli ve la darà.
Finora non avete chiesto nulla nel mio Nome.
Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena" ( Gv 16,23-24 ).
Nei Vangeli, negli Atti e nelle Lettere noi vediamo la fiducia senza limiti che gli apostoli avevano nel Nome del Signore Gesù e la loro infinita venerazione nei suoi confronti.
È per suo mezzo che essi compivano i segni più straordinari.
Certamente non troviamo nessun esempio che ci dica in che modo essi pregassero facendo uso del Nome del Signore, ma è certo che lo facevano.
E come avrebbero potuto agire diversamente, dal momento che tale preghiera era stata loro consegnata e comandata dal Signore stesso, dal momento che questo comando era stato loro dato e confermato a due riprese?
Se la Scrittura tace a questo proposito, è unicamente perché questa preghiera era di uso comune: non v'era dunque nessuna necessità di menzionarla espressamente, dato che era ben nota e che la sua pratica era generale.
Che la preghiera di Gesù sia stata largamente conosciuta e praticata risulta chiaramente da una disposizione della chiesa che raccomanda agli analfabeti di sostituire tutte le preghiere scritte con la preghiera di Gesù.
L'antichità di tale disposizione non lascia spazio a dubbi. In seguito, essa fu completata per tener conto della comparsa all'interno della chiesa di nuove preghiere scritte.
Basilio il Grande ha steso quella regola di preghiera per i suoi fedeli; così, certuni gliene attribuiscono la paternità.
Senz'altro, però, essa non è stata né creata né istituita da lui: egli si è limitato a mettere per iscritto la tradizione orale, esattamente come ha fatto per la stesura delle preghiere della liturgia.
Quelle preghiere, che esistevano a Cesarea già fin dai tempi apostolici, non erano scritte, ma si trasmettevano in forma orale, allo scopo di proteggere quel grande atto liturgico dai sacrilegi dei pagani.
La regola di preghiera del monaco consiste essenzialmente nell'assiduità alla preghiera di Gesù.
È sotto questa forma che tale regola viene data, in maniera generale, a tutti i monaci.
In questa regola si parla della preghiera di Gesù allo stesso modo in cui si parla della preghiera domenicale, del salmo 50 e del simbolo della fede, cioè come di cose universalmente conosciute e accettate.
Quando Antonio il Grande, che visse fra il III e il IV secolo, esorta i discepoli ad esercitarsi con il più grande zelo nella preghiera di Gesù, ne parla come di qualcosa che non ha bisogno del minimo chiarimento.
Le spiegazioni relative a questa preghiera apparvero più tardi, a mano a mano che se ne perdeva la conoscenza viva.
Così, un insegnamento dettagliato sulla preghiera di Gesù fu dato dai Padri del XIV e XV secolo, allorché la sua pratica prese a scomparire anche fra i monaci.
Nei documenti dei primi secoli del cristianesimo pervenuti fino a noi, la preghiera nel Nome di Gesù non è trattata a parte, ma solo in connessione con altri temi.
Nella Vita di Ignazio Teoforo, vescovo di Antiochia, che ricevette la corona del martirio a Roma sotto l'imperatore Traiano, leggiamo quanto segue: "Mentre lo si conduceva per essere consegnato alle bestie feroci, egli aveva incessantemente il Nome di Gesù Cristo sulle labbra; allora i pagani gli chiesero per quale motivo pronunciasse continuamente quel Nome.
Il santo rispose che aveva il Nome di Gesù Cristo impresso nel cuore e che non faceva altro che confessare con la bocca colui che sempre portava nel cuore."
Il santo martire Ignazio fu davvero, sia nel nome che nella vita, un 'Teoforo' ( nome che in greco significa 'Portatore di Dio' ), perché portava sempre nel cuore il Cristo-Dio, impresso dalla meditazione continua del suo spirito.
Ignazio fu discepolo del santo apostolo ed evangelista Giovanni ed ebbe nella sua infanzia il privilegio di vedere il Signore Gesù Cristo.
Non v'è dubbio che l'evangelista Giovanni insegnò la preghiera di Gesù a Ignazio e che questi, in quel periodo fiorente del cristianesimo, la praticava al pari di tutti gli altri cristiani.
In quel tempo tutti i cristiani imparavano a praticare la preghiera di Gesù: anzitutto per la grande importanza di questa preghiera, quindi per la rarità e il costo elevato dei libri sacri ricopiati a mano e per il numero ridotto di quanti sapevano leggere e scrivere ( gran parte degli apostoli erano analfabeti ), infine perché questa preghiera è di facile uso.
Uno scrittore del V secolo, Esichio di Gerusalemme, si lamenta già che la pratica di questa preghiera è andata fortemente in declino fra i monaci.
Col tempo, tale declino si accentuerà ulteriormente; così, i santi Padri con i loro scritti si sforzarono di incoraggiare questa pratica.
L'ultimo in ordine di tempo a scrivere su questa preghiera fu il beato staretz Serafim di Sarov.
Lo staretz non redasse lui stesso le Istruzioni, che apparvero sotto il suo nome, ma esse furono messe per iscritto, a partire dal suo insegnamento orale, da uno dei monaci che stavano sotto la sua direzione; esse portano chiaramente il segno di un'ispirazione divina.
Ai nostri giorni, la pratica della preghiera di Gesù è quasi abbandonata da coloro che fanno vita monastica.
La forza spirituale della preghiera di Gesù risiede nel Nome del Dio-Uomo, il nostro Signore Gesù Cristo.
Benché siano molti i passi della sacra Scrittura che proclamano la grandezza del Nome divino, tuttavia il suo significato fu spiegato con grande chiarezza dall'apostolo Pietro dinanzi al sinedrio che lo interrogava per sapere "con quale potere o in nome di chi" egli avesse procurato la guarigione a un uomo storpio fin dalla nascita.
"Allora Pietro, pieno di Spirito santo, disse loro: 'Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la salute, la cosa sia nota a voi tutti e a tutto il popolo d'Israele: nel Nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo.
Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d'angolo.
In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" ( At 4,7-12 )
Una tale testimonianza viene dallo Spirito santo: le labbra, la lingua, la voce dell'apostolo non erano che strumenti dello Spirito.
Un altro strumento dello Spirito santo, l'apostolo dei gentili, fa una dichiarazione simile.
Egli dice: "Infatti, chiunque invocherà il Nome del Signore sarà salvato" ( Rm 10,13 ).
"Gesù Cristo umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.
Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il Nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra" ( Fil 2,8-10 ).
Hanno detto di essa i Monaci che l'hanno praticata: È preghiera pura la "preghiera dell'ardore", fitta di orazioni "veloci e veementi, pure e fervide come carboni di fuoco", un grido potente ( Eb 5,7 ) che sale dal profondo del cuore, congiunto all'umiltà che [ procede ] dalla potenza della gioia", da cui "l'uomo è umiliato nei suoi pensieri fino agli abissi" ( Isacco di Ninive: Sui santi fremiti )
"Un'orazione ardente, nota a pochissimi e da pochissimi sperimentata, ineffabile".
Tale esperienza, come a noi è stata trasmessa da quei pochi che, tra gli antichissimi padri sono sopravvissuti, così pure da noi essa non viene proposta, se non a pochissimi, realmente sitibondi di accoglierla. ( Giovanni Cassiano, Conferenze ai monaci ).