Abbandono alla divina Provvidenza |
Bisogna essere distaccati da tutto quello che si prova e da ciò che si fa, per camminare nella via in cui non si vive più che in Dio e nel dovere presente.
Tutte le mire che tendono oltre questo scopo devono essere soppresse; bisogna limitarsi al momento presente senza pensare alle cose che l'hanno preceduto né a quelle che dovranno seguirlo.
Supponendo sempre la fedele osservanza della legge di Dio, qualcosa vi farà dire: « Attualmente sento inclinazione per questa persona, per questo libro; desidero ricevere o dare questo consiglio, formare tale piano, aprirmi a quest'anima o accogliere i suoi sentimenti; vorrei dare o fare la tale cosa ».
Bisogna seguire tutto quanto si presenta per impulso della grazia, senza sostenersi nemmeno per un istante con le proprie riflessioni, i propri ragionamenti, i propri sforzi; bisogna applicarsi alle cose nel momento in cui Dio ci chiama ad esse, senza decidere mai da se stessi.
La volontà di Dio si realizza in noi poiché è lui che vive in noi nello stato di cui stiamo parlando; essa deve assolutamente prendere il posto di tutte le nostre ordinarie decisioni.
Ogni momento ci obbliga a tutte le virtù, e l'anima abbandonata vi è così fedele che quello che essa ha letto o sentito le è talmente presente che il novizio più mortificato non adempie meglio i suoi doveri.
E per questo che tali anime sono portate ora a una lettura e ora a un'altra, ovvero a fare una certa osservazione o una riflessione sul più piccolo avvenimento.
In un certo momento Dio suscita in loro il desiderio di istruirsi su quelle cose che in un altro momento le sosterranno nella pratica delle virtù.
In tutto quello che fanno, queste anime non sentono che l'attrattiva di farlo, senza sapere perché.
Tutto quello che possono dire si riduce a ciò: « Mi sento portato a [ scrivere ], a leggere, a domandare, a guardare queste cose; seguo quest'attrattiva e Dio, che la suscita in me, crea nelle mie potenze come un fondo e una riserva di tutte queste cose perché siano in seguito lo strumento di altre attrattive che me le faranno usare per il mio interesse e quello degli altri ».
Ecco che cosa obbliga queste anime ad essere semplici, docili, arrendevoli e mobili ai minimi soffi di questi impulsi quasi impercettibili.
Dio che le possiede ha il diritto di farle applicare a ogni cosa per la sua gloria.
Se esse volessero resistere a queste attrattive, seguendo le regole di quelle anime che vivono con sforzo e iniziative personali, si priverebbero di mille cose necessarie a compiere i doveri del tempo futuro.
Ma poiché si ignora ciò, le si giudica, le si biasima per la loro semplicità, ed esse che non biasimano nessuno, che approvano tutti gli stati, che sanno così bene indicarne tutti i gradi e i progressi, si vedono disprezzate dai falsi saggi che non possono gustare questa dolce e cordiale sottomissione agli ordini della Provvidenza.
I sapienti di questo mondo avrebbero potuto approvare quella perpetua instabilità degli Apostoli che non potevano fissarsi in nessun luogo?
Così i maestri di spirito comuni non possono sopportare le anime che dipendono in tal modo e in ogni istante dalla Provvidenza, e non ci sono che poche anime del loro stesso stato che le approvano.
Dio che istruisce gli uomini attraverso gli uomini non manca mai di [ farne ] incontrare di tale natura a coloro che sono semplici e fedeli al loro abbandono.
C'è un tempo in cui Dio vuole essere la vita dell'anima e operare lui solo la sua perfezione in un modo segreto e sconosciuto; allora tutte. le idee proprie, le luci, le iniziative, le ricerche, i ragionamenti sono fonte di illusioni.
E quando l'anima, dopo parecchie esperienze tristi a cui l'ha condotta la sua volontà, ne riconosce finalmente l'inutilità, scopre che Dio ha nascosto e confuso tutte le sorgenti per farle trovare la via in lui.
Allora, convinta del suo nulla, e che tutto quellò che può trarre dalla sua proprietà le è dannosa, si abbandona a Dio per non avere altro che lui e ogni altra cosa da lui.
Dio diventa dunque per lei una sorgente di vita, non mediante idee, luci o riflessioni, poiché tutto questo non è più in lei che una fonte di illusioni; ma per effetto.e per realtà di grazie nascoste sotto varie forme.
Restando tuttavia l'operazione divina sconosciuta all'anima, essa ne riceve la virtù, la sostanza, la realtà attraverso circostanze di ogni genere che crede siano la sua rovina.
Non c'è rimedio a questa oscurità, bisogna lasciarsi sommergere.
In essa Dio dona se stesso e tutte le cose nella fede.
L'anima non è più che un soggetto cieco o, se si preferisce, è simile a un malato che ignora l'efficacia delle medicine non sentendone che l'amarezza; può anche pensare che gli daranno la morte, e le crisi e le debolezze sembrano giustificare i suoi timori.
Tuttavia è sotto questa parvenza di morte che riceve la salute, e le prende sulla parola del medico che gliele presenta.
Un tempo l'anima, attraverso idee e illuminazioni, vedeva quanto costituiva il piano della sua perfezione; non è più così nel suo stato presente: la perfezione le si presenta contro ogni idea, ogni luce e ogni sentimento; le si offre attraverso tutte le croci provvidenziali, nelle azioni del dovere presente, in certe attrattive che non hanno niente di buono se non che non portano al peccato, ma che sembrano ben lontane da ciò che è sublime e dalla virtù straordinaria.
In queste croci che si succedono a intervalli si nasconde Dio il quale si dà con la sua grazia in un modo misterioso, perché l'anima sente solo la debolezza nel sopportare le croci, il disgusto verso i propri doveri, mentre le sue attrattive la portano a compiere esercizi molto comuni.
L'ideale della santità non costituisce per lei che un rimprovero interiore verso le sue disposizioni basse e spregevoli; le vite dei santi la condannano e non trova di che difendersi di fronte a una santità che la riempie di desolazione, perché non ha la forza per raggiungerla, e non sente la sua debolezza come un dono divino, ma solo come viltà.
Gli stessi amici e le persone che si distinguono per la loro virtù o la sublimità dei loro ragionamenti la guardano con disprezzo.
« Bella santa! » si dice, e l'anima che pensa lo stesso, confusa per tanti sforzi inutili fatti per elevarsi da questa bassezza, si sazia di obbrobrio senza aver niente da rispondere né a se stessa né agli altri.
Tuttavia sente come un'inclinazione fondamentale che la tiene ancorata in Dio e le suggerisce impercettibilmente che tutto andrà bene purché ella lasci fare e non viva che di fede.
« Certo dice Giacobbe il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo ».
Tu cerchi Dio, anima cara, ed egli è dovunque, tutto te lo annuncia, tutto te lo comunica, egli ti passa a fianco, attorno, dentro, attraverso te, si ferma e tu lo cerchi!
Come? tu cerchi l'idea di Dio con la sua sostanza; cerchi la perfezione ed essa sta in tutto ciò che spontaneamente ti si presenta.
Le tue sof ferenze, le tue azioni, le tue attrattive sono enigmi sotto i quali Dio si dà a te, mentre tu corri vanamente alla ricerca di idee sublimi di cui egli non vuole affatto rivestirsi per abitare in te.
Anche Marta cerca di contentare Gesù con bei preparativi e Maddalena accoglie Gesù come le si presenta.
Gesù inganna anche Maddalena, quando le appare sotto la figura di un giardiniere mentre lei lo cerca sotto i segni dell'idea che se n'era formata.
Gli apostoli vedono Gesù e lo prendono per un fantasma.
Dio dunque si nasconde all'anima per elevarla a quella fede pura che sa scorgerlo sotto ogni sorta di veli, perché quando essa conosce il segreto di Dio, egli ha un bel nascondersi: « Eccolo, egli sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia attraverso le inferriate »: O divino amore, nasconditi, corri, balza tra le sofferenze, costringi con l'attrattiva del dovere, componi, mescola, confondi, rompi come fili tutte le idee e tutti i progetti dell'anima: che essa perda l'orientamento, non conosca e non scorga più né strade, né vie, né sentieri, né luci; che dopo averti trovato nelle tue dimore e nelle tue vesti abituali, nel riposo della solitudine, nella preghiera, nell'assoggettarsi a questa e a quella pratica, nelle sofferenze, nel conforto dato al prossimo, nella fuga dalle conversazioni, dagli affari; che dopo aver tentato tutti i modi e tutti i mezzi conosciuti per piacerti, essa finalmente si areni, non vedendoti più in nessuna di queste cose, come ti vedeva un tempo!
Che l'inutilità di tutti questi sforzi la conduca infine a lasciar tutto, ormai, per trovarti in te stesso, e dovunque, in tutto senza distinzione né riflessione.
Perché, o divino amore, quale inganno non vederti in tutto quel che vi è di buono e in tutte le creature!
Perché cercarti dove non vuoi farti trovare?
Perché cercarti, amore divino, sotto aspetti diversi da quelli che hai scelto per i tuoi sacramenti?
La loro scarsa apparenza di realtà non serve forse al merito dell'obbedienza e della fede?
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