Radicalità dei Consigli Evangelici nel quotidiano |
La ricerca di significato sembra farsi più esigente per l'obbedienza che non per gli altri due consigli evangelici, proprio perché la nostra vocazione secolare, accentuando la responsabilità personale, riduce ad un filo molto tenue il vincolo di obbedienza sancito all'interno dell'Istituto.
Cogliamo dalle riflessioni - esperienza che seguono alcune interpretazioni assai stimolanti del significato della nostra obbedienza secolare.
È con grande gioia ma anche con un po' di pudore che tento di comunicarvi la mia esperienza in ordine all'obbedienza.
Sì perché è da poco che l'ho ( passatemi il termine ) « conosciuta » e come tutte le esperienze nuove sono, per la persona che le vive, estremamente intime ma altrettanto prorompenti.
Da più tempo andavo cercando un modo per vivere l'obbedienza secolare e in questi ultimi mesi mi era diventato davvero un assillo il chiedermi: « cos'è per me e che significato può avere per una secolare consacrata la virtù dell'obbedienza? ».
Credo che la conversione, come d'altronde tutti i doni, sia avvenuta nel momento in cui ho sperimentato davvero la « bontà del Padre » ed ho accettato in me l'essere « sua creatura ».
Proprio questa novità di rapporto ha rivoluzionato tutta la mia ricerca e dal tentativo ostinato di « acquisire » sono passata al tentativo di « lasciare », di « abbandonarsi ».
Lasciare anzitutto la parola dover essere per cercare semplicemente il mio essere.
Lasciare il desiderio del continuo fare, produrre anche spiritualmente, per sentirmi già dentro una vita spirituale che mi avvolge e ci avvolge e ci adombra fin dal nostro nascere.
Lasciare l'ansia del dover rispondere a tutto, di essere dappertutto, di essere la « prima », di risolvere, anche in campo professionale, tutto come fossi un piccolo dio, per accettarmi limitata, per accettare i fallimenti e per accettare e godere la grandezza dell'essere creatura di Dio.
Aprire gli occhi su questa grande verità ha significato per me, non senza difficoltà, cambiare rotta a 180°.
Dalle tante sicurezze ( o almeno presunte tali ) passare all'esperienza dell'abbandono.
L'accettare, il riconoscermi creatura è stato per me una grossa liberazione: il passaggio dalla schiavitù della legge alla libertà dell'amore.
E obbedienza è amore.
Per amore sono nata alla vita, per amore sono stata chiamata a sequela, per amore mi è stata donata una comunità, per amore mi si chiede di vivere oggi e qui la mia storia.
E quando ci si sente davvero amati, la risposta non può che essere amore:
- amore che si ama e si dona con la stessa intensità;
- amore che si accetta con tutti i limiti e le imperfezioni e che accetta quindi con altrettanto amore i limiti e le imperfezioni dell'ambiente e dei fratelli perché non si pone più a modello o giudizio;
- amore che non cerca imitazioni o modelli da copiare, ma che assume con gioia tutta la sua originalità, riconosce i propri talenti, e li vive in pienezza per essere quel frammento di mondo accanto a tantissimi altri frammenti che compongono il progetto intero.
Obbedienza, quindi, per me ora vuoi dire godere sempre più del mio essere creatura, del mio essere donna amata e desiderata da Dio, posta in questo tempo e in questo mondo accanto ad altri fratelli e sorelle, per essere, con la mia originalità di risposta, quel piccolo germe di bene nelle situazioni del mio piccolo o grande quotidiano; in famiglia, nel lavoro, nel sindacato, nel gruppo vocazionale, nella Chiesa.
M.D.
Che cosa è stata e che cosa è tuttora per me l'obbedienza?
Valutando le mie esperienze passate, per me l'obbedienza era vissuta come un passivo piegare il capo di fronte a chi mi comandava; il dire un sì all'autorità costituita; pensavo all'obbedienza come a qualcosa da eseguire, che mi veniva imposto e non come qualcosa che continuamente nasceva dall'interno.
Ma con il passare del tempo e in seguito a una presa di coscienza immensamente più costruttiva, ho capito che questo non era che l'aspetto esteriore di una virtù che è tra le più impegnative della vita cristiana.
Vivere da cristiani e nell'Istituto infatti non è votarsi alla passività.
Quale esperienza liberante è stata per me il vivere l'obbedienza come stile, al punto da desiderare di prendere io stessa l'iniziativa in alcune scelte personali verificate poi con la responsabile.
Perché per me obbedire ora significa: « volere » quello che gli altri vogliono e ogni atto di volontà impegna e presuppone una scelta coscienziosa, « essere docili », ma anche « offrire » una collaborazione impegnata di forze intellettuali e fisiche, morali e spirituali.
Non è semplice obbedire, soprattutto quando non si riesce a cogliere fino in fondo il motivo di ciò che si esige da noi, e non è semplice neppure accettare un consiglio quando si ha l'impressione di poter fare molto meglio da sé.
Obbedire significa soprattutto realizzare la giusta relazione con Dio, essere cioè disponibili a quella guida interiore che è lo Spirito in noi, così da non essere più noi che viviamo ma Cristo che vive in noi.
È vero, occorre gettare il ponte con Dio e con gli uomini per ritrovare la strada di una gerarchia di valori.
L'obbedienza ci pone su un piano decisamente sociale e ci proietta in un mondo di incontri con Dio e di relazioni con il prossimo.
Ecco perché si deve obbedire, perché lo richiede il bene comune, perché è un atto di adesione alla volontà divina che si manifesta attraverso persone e circostanze terrene, perché obbedire significa sentirsi, vivere a contatto con gli altri in un rapporto di amore che perfeziona l'essere e lo indirizza a Dio.
Ma ci vuole umiltà, discrezione, fiducia e bontà immensa.
Obbedire è essere liberi.
R. C. - Bergamo
La parola « obbedienza » sul primo momento fa pensare a un comportamento virtuoso, a una sottomissione, a una osservanza fedele.
Capire che l'obbedienza è un dono, cambia l'atteggiamento di fondo del proprio modo di essere: è sapersi « amati per primi » e resi capaci di volere il bene con dedizione.
Comprendere l'obbedienza cristiana, consacrata, secolare, come relazione a Cristo impegna nella propria realtà in una ricerca e risposta personale sempre in atto, ma non sempre percepibile con chiarezza, in modo sicuro, totale.
Credo che vivere la libertà e realizzare l'obbedienza nell'Istituto significhi poter ricevere-offrire un servizio di discernimento, di condivisione, di verifica rispetto al bene vero di ciascuna ed anche consapevolezza che cercando luce si può dar luce e che si può crescere insieme nella gratuità.
Sperimentare quindi la gioia-fatica di rendersi disponibili ai bisogni che sollecitano, comporta di voler liberare le proprie energie migliori per offrire quello che si è ed anche accettare l'impatto con le proprie resistenze lavorando sui condizionamenti che frenano, con quella fiducia che sa di poter ricevere fiducia.
Certo, la presa di coscienza dei bisogni che io colgo, in relazione alla disponibilità vera che attuo, mi fa sentire molto impari al compito, all'impegno, ma a volte guardando ad altre missionarie colgo in loro una tale disponibilità, una trasparenza disarmante, che incoraggia, fa bene.
G. O. - Venezia
Anche l'obbedienza, per noi che siamo chiamati a vivere nel mondo la radicalità evangelica, deve incarnarsi nel contesto di vita che ci è proprio, fra le sollecitazioni più diverse che ci provengono quotidianamente dall'ambiente, e svilupparsi come realtà dinamica giorno dopo giorno.
Si confonde spesso l'obbedienza con il dire « sì » ad un ordine, ad un comando, ad una legge, al Vangelo, alle costituzioni, ai responsabili.
Vale la pena di dire questi « sì », credere a questi « sì » e rinnovarli continuamente, solo se l'obiettivo non è il non trasgredire ad una certa richiesta, ma è il cercare dentro queste proposte, questi mezzi, queste piste, queste persone, la traccia, la risposta, la bussola del nostro cammino verso …
Il nostro « sì » ( obbedienza ) a Cristo non ci è chiesto una volta sola nella vita; ci è chiesto di riesprimerlo ogni giorno alla luce della sua Parola, della realtà, dei segni dei tempi, per renderlo sempre più concreto e attuale.
La legge dell'Amore non è statica, ci sollecita insistentemente a mantenerci giovani, rinnovate, creative, aperte, e per questo pronte a sacrificare anche i nostri punti di vista, le sicurezze, le certezze, i programmi …
Ogni giorno dobbiamo scegliere per non diventare acide, incallite, vecchie.
Obbedisco ogni volta che condivido la mia vita quotidiana con Cristo; ogni volta che mi faccio carico della storia, della società, della realtà che mi circonda con la forza della speranza; quando accetto i miei limiti e incapacità; quando ascolto, compatisco, perdono; quando resto libera per la novità, disponibile per la sorpresa, l'imprevisto, il nuovo; quando lascio che l'amore si incarni dentro … per rinascere ogni giorno, in ogni circostanza, in ogni rapporto umano.
G. B. - Bergamo
Un particolare ambito dove il laico consacrato può essere chiamato ad esercitare l'obbedienza è quello di una responsabilità pubblica da vivere come servizio alla comunità.
Maturità umana e intensa preghiera sono le condizioni per una coraggiosa fedeltà al progetto di Dio, per « essere nel giusto e operare con giustizia ».
Da tempo sto esercitando l'obbedienza per quanto riguarda il mio rapporto personale con Dio come cristiana e come consacrata secolare.
Essendo calata nella realtà umana sociale, e dovendo assumere la mia responsabilità anche pubblica, questo rapporto mi è indispensabile e non posso farne a meno.
L'essere giorno per giorno a contatto con una realtà, che spesso è in contrapposizione col mio modo di essere e operare, l'interpellare Dio mediante l'ascolto, l'attenzione e la preghiera, diventa per me, non solo motivo di tranquillità interiore, ma anche serena valutazione nell'agire.
Questo mi serve come esercizio costante di obbedienza, e per acquisire coscienza e maturità sotto l'aspetto cristiano e umano.
Forse, quando si vive nel proprio guscio, l'esercizio dell'obbedienza si riduce al proprio mondo, al proprio essere in rapporto personale con Dio, ed a volte non se ne sente nemmeno l'esigenza; ma il rapporto cambia, quando devi operare certe scelte per i « fratelli » ( non dico « gli altri », perché Gesù « gli altri » li chiama « prossimo, fratelli » ).
Questo comporta, secondo me, un continuo contatto con Lui, equilibrio, attenzione, sofferenza, umiltà, accettazione del proprio limite, e poi una grande dose di serena pazienza e attesa, per non compromettere il piano di Dio, ed anche per non suscitare l'antipatia o l'emarginazione da parte degli « altri fratelli » ( in questo caso mi verrebbe voglia di chiamarli gli altri ), quando molto spesso il loro modo di essere e giudicare le cose è all'opposto del nostro.
Ecco allora che le mie antenne devono essere sincronizzate con Lui per captare le esigenze dei fratelli, valutarle, verificarle con Lui, e portarle avanti senza mollare mai, nel rispetto per tutti, passo dopo passo, con difficoltà spesso enormi di cui senti tutto il peso e la sofferenza, ma con la certezza di essere nel giusto e di operare con giustizia.
In tutto questo non è che sia escluso il rischio, il compromesso, la sofferenza; anzi tutto ciò rimane, ma in fondo al cuore regna la calma, la certezza e soprattutto la speranza, pur nelle difficoltà.
Per questo, senza questo rapporto continuo con l'Eucaristia, mi sentirei disarmata, disorientata, e dico con molta lealtà, con convinzione come Paolo « Tutto posso in colui che mi da forza », « quando sei debole allora sei forte ».
F. C. - Arzignano
Una obbedienza matura e responsabile, quale dev'essere la nostra, richiede una grande capacità di discernimento.
Nel contributo che segue sono indicati, come frutto di una matura esperienza, i mezzi indispensabili per sviluppare il discernimento necessario per operare responsabilmente le scelte quotidiane dettate dall'obbedienza.
Perché la volontà di Dio si possa manifestare, richiede da parte nostra un ascolto costante, una ricerca senza interruzione e un atteggiamento altrettanto costante di preghiera: « pregate incessantemente »; è tutta una ricerca di ascolto umile e serena.
Cosa non facile nella nostra vita così piena di imprevisti, in cui dobbiamo essere in grado di governarci sapientemente; naturalmente con una sapienza che viene dal cuore e che va chiesta umilmente al Padre.
Il rischio che mi sembra di correre ogni giorno è la superficialità, l'arrendermi ad una vita più o meno comoda, o comunque senza pormi troppe domande.
Ma posso dire che sento dentro di me che Cristo mi vuole impegnata fino in fondo, con tutte le mie capacità di discernere, di valutare, di scegliere e di capire, di chiedere a Lui con l'umiltà della creatura che si rivolge al Creatore.
Tutto questo richiede una profonda umiltà che mi faccia accogliere tutto ciò che di positivo mi viene dagli altri, dagli aiuti che l'Istituto, la Chiesa, mi offrono per formarmi sempre più una coscienza attenta, illuminata, creativa, capace di discernere nelle varie circostanze del mio vivere quotidiano.
Sento come fondamentale:
- una unione costante con Dio Padre
- una preparazione altrettanto costante delle cose umane e divine
- un dialogo chiaro e sereno con la responsabile per verificare il vissuto con obiettività, proprio per trame dei suggerimenti, delle linee valide per una sempre maggiore presa di coscienza.
L'obbedienza è un Sì che rispondo a Dio nella libertà, è un atto di fede e di umiltà per una realizzazione vera in Cristo.
L'obbedienza nell'ambito della professione, nella vita sociale, civile, l'obbedienza alla Chiesa, all'Istituto sono le varie espressioni del mio vivere quotidiano; obbediente nelle piccole cose come nelle grandi realtà; è un continuo chiedere « cosa vuoi che io faccia in questo momento? ».
U. G. - Firenze
Fra i mezzi più utili, anzi indispensabili per noi, come aiuto a vivere l'obbedienza, c'è il rapporto con la responsabile e il confronto nel gruppo: canali privilegiati, oltre alle costituzioni, attraverso cui passa la mediazione dell'Istituto.
A proposito dell'obbedienza nella vita di consacrazione, c'è forse un aspetto su cui non abbiamo riflettuto abbastanza: la grande sapienza e maternità della Chiesa nello stabilire che il consacrato non sia mai solo, ma sia sempre in comunione con altri fratelli impegnati nella stessa ricerca …
La comunità, l'azione dei responsabili nella vita di consacrazione, non è una limitazione della libertà del singolo, non ha per scopo l'annullamento della sua personalità e nemmeno l'accettazione passiva di imposizioni in cui altri hanno cercato e coperto per noi la volontà di Dio …
L'obbedienza consacrata non è una dimissione delle nostre responsabilità ad altri, un aderire passivamente al pensiero di chi ci sembra incaricato di trasmetterci la volontà di Dio.
Nella consacrazione la Chiesa non lascia solo il consacrato, perché « non è bene per l'uomo essere solo » ( Gen 2,18 ), lo invita perciò, a una ricerca in comune, a una ricerca insieme.
Infatti Gesù ci ha assicurato che « se due di voi, in terra, si troveranno d'accordo su ciò che debbono fare e chiederanno aiuto nella preghiera, il Padre mio glielo concederà.
Perché se due o tre si riuniscono per invocare il mio nome, io sono in mezzo a loro » ( Mt 18,19-20 ).
Il modo migliore, quindi, a mio parere, per vincere le difficoltà all'obbedienza è vivere fino in fondo questa ricerca in comune, che già ci costituisce in un inizio di quella unità nel Cristo che è la vocazione finale di ogni uomo, perché già il Cristo ci assicura di essere in mezzo a noi.
Ecco perché nel nostro vincolo dell'obbedienza l'essenziale non è l'accettazione del pensiero della responsabile, ma il cercare insieme con lei ed eventualmente con tutta la comunità …
Questo, naturalmente, esige un dialogo sincero e leale, disponibilità a lasciare il proprio punto di vista per accettare quello dell'altro, o qualunque altra soluzione che alla luce dello Spirito, nella sincerità e libertà di cuore, ci sembri valida, assumendone tutta la responsabilità.
Ecco perché il nostro modo di vivere le costituzioni, viene determinato da ciascuna personalmente, in dialogo con la responsabile, non in modo fisso, ma in una forma dinamica sempre suscettibile di nuove soluzioni, e richiede che ci abbandoniamo allo Spirito in modo attivo, perché sviluppi in noi i doni del battesimo e della confermazione, ci formi allo spirito delle beatitudini, ci aiuti a vivere nel mondo il Vangelo in un impegno di autenticità, nella ricerca dell'essenziale.
R. P. - Milano
Nel gruppo ci si aiuta reciprocamente nel modo di vivere l'obbedienza.
Per ricevere dall'altro bisogna avere il cuore libero; sono necessari ascolto e umiltà per comprendere la manifestazione della volontà di Dio su di sé e sul gruppo.
Per questo è necessario pregare prima e dopo ogni incontro.
Il dialogo non deve mai condurre a scontri: nello scontro non si condivide, ma si cerca di dominare, mentre bisogna arrivare alla ricerca della verità.
È indispensabile il reciproco rispetto, anche se l'altro è di parere contrario o se non c'è una naturale simpatia.
Una forma di rispetto è anche la discrezione: non tutto è da dire e da sapere.
Gesù è un modello di rispetto nel dialogo con quelli che incontra: rispetta la timidezza di Nicodemo e lo riceve di notte ( Gv 3,1-15 ); forse proprio per questo Nicodemo ha camminato, ed è cresciuto nella Fede fino al coraggio di difenderlo ( Gv 7,50-51 ) e più tardi di seppellirlo ( Gv 19,39-40 ).
Bisogna imparare, nell'umiltà e nella verità, a riflettere su ciò che è detto, ed accoglierlo anche se rovescia i nostri gusti, le nostre abitudini, il nostro modo di pensare e di vivere, ed utilizzare ciò che è buono per noi, confrontandolo con il Vangelo, il pensiero della Chiesa, le costituzioni.
T. M. - Francia
Una questione di fondo, anche come fatto culturale, è il rapporto esistente fra libertà e obbedienza che da sempre fa problema e non solo per noi.
Il contributo che segue ci aiuta a riflettere su questo rapporto dialettico con una serie di stimolanti considerazioni nate dall'esperienza.
Esiste un rapporto tra libertà ed obbedienza.
Libertà vera è libertà da noi stessi, quella che ci permette di accogliere Cristo in modo totale, di lasciare spazio a Lui ed a tutto ciò che è Suo, quella che ci aiuta a vivere la nostra realtà storica, il nostro quotidiano, secondo il Suo stile, in trasparenza.
La ricerca di noi stessi ( prestigio, bella figura, gratificazione, riconoscimento, comodità … ) non ci fa liberi.
Libertà è vivere in profondità e verità, nell'integralità del nostro essere, la legge che Dio ci ha proposto e che noi abbiamo accolto.
Obbedienza, allora, è vivere la pienezza della legge non come « rinuncia … » ma come « scelta di … » con tanto amore, soprattutto nella semplicità della nostra vita d'ogni giorno.
Solo in questo atteggiamento inTeriore possiamo esclamare col Salmista: « La tua legge o Signore è fonte di gioia! ».
Come viviamo la nostra obbedienza? Come facciamo trasparire ciò che è dentro di noi?
Cercando di realizzare il progetto di Dio nella nostra storia personale, in quella che viviamo ogni giorno ora per ora, nella famiglia, nell'ambiente professionale, nella comunità ecclesiale e sociale in cui siamo inserite, nella comunità dell'Istituto, depositario d'un carisma che abbiamo accolto per farne l'anima della nostra vita, nei rapporti con ciascuna di noi … con i fratelli che hanno bisogno della nostra attenzione, della nostra accoglienza, del nostro aiuto, del nostro silenzio forse più prezioso delle parole, che hanno sete di fiducia, di speranza, di amore …
Nella nostra vita di secolari consacrate, in mezzo agli altri, ci è di guida il « progetto di vita » che ci diamo con l'aiuto ed il consiglio della responsabile e che verifichiamo periodicamente, almeno nei suoi contenuti essenziali.
Esso costituisce il binario, « la grande strada ».
Nel periodo della mia adolescenza frequentavo un gruppo studentesco e ricordo l'immagine, l'idea della vita che il catechista ci presentava nelle sue lezioni formative.
Così vedevo la mia, proiettata nell'avvenire, verso il traguardo finale come una grande strada delimitata da paracarri: oltrepassarli significa scivolare lungo la pericolosa scarpata e … cadere …
Ecco: ora l'« impegno personale » costituisce ed esprime le linee direttrici del mio cammino nella realizzazione della vocazione, della chiamata personale; ma percorrendo quella strada, quante volte, ogni giorno di fronte agli imprevisti vengo coinvolta nelle piccole scelte che richiedono intuizione, sensibilità, intelligenza, iniziativa, prudenza, coraggio, disponibilità, pazienza …
Allora sono sola, libera, autonoma, ma proprio per questo più responsabile, personalmente, di come rendere « vera » la mia vita affinché essa sia significativa, affinché possa esprimere i segni del carisma che è diventare « sale della terra, luce del mondo ».
G. N. - Trento
Il contributo con cui concludiamo questo spaccato sull'obbedienza ci presenta la testimonianza di tutta una vita e ci offre riflessioni profonde, maturate attraverso un lungo e talora sofferto obbedire.
Oggi, attraverso il cammino di oltre venticinque anni, il cui inizio fu segnato dal primo reale incontro con il Cristo e subito dopo dalla chiamata alla consacrazione, lo Spirito Santo mi fa capire con lucidità che nulla è più importante, più essenziale, più concreto e « visibile » dell'obbedienza.
Il Signore mi ha concesso molteplici esperienze che ho vissuto, come si dice, « condizionata » da un super-ego esigente, da una sensibilità eccessiva, da un bisogno sempre presente e a volte struggente di protezione e di appoggio, da una famiglia iperprotettiva, da una salute fragile, da lunghi tempi di malattia, da contraddizioni, sbagli, peccati.
Ma sempre, nonostante tutto, i miei occhi hanno « visto » la fedeltà del Signore che non ha mai cessato di ammaestrarmi proprio attraverso la vita, dandomi anche la possibilità di verificare che davvero Lui « scrive diritto sulle nostre righe storte ».
L'aver perduto spesso la faccia davanti a Lui, ha contribuito a mettermi nella verità, a ridimensionare la velleità di affrettare o di inventare i tempi della mia maturazione, a guardarmi dal ripetere l'errore di obbedire per timore, o per liberarmi dal senso di colpa o per compiacere gli altri nella ricerca magari inconscia di stima e di giudizi positivi.
Una vita non si può raccontare in poche righe, soprattutto se la filtri attraverso l'obbedienza.
A me sta a cuore testimoniare che sono passata attraverso tutti i conflitti psicologici propri dell'obbedienza e che non mi sono mai mancati la luce e l'aiuto offertomi dal Signore.
Mi è stato facile, ad esempio, rispondere a consigli o a proposte che ho ritenuto obbliganti per me in una data circostanza, inconsapevolmente delegando ad altri la responsabilità di decidere al posto mio, e per qualche tempo mi sono sentita a posto, come quando sai di aver fatto ciò che andava fatto, ma poi ho scoperto nel mio profondo resistenze e ribellioni che sono esplose rischiando di travolgermi.
Ho sentito che per me era questione di vita o di morte riappropriarmi della mia libertà interiore, affrettando però troppo i tempi e pagando con la sofferenza mia e degli altri.
Ho toccato con mano che ogni comando, ogni legge, ogni prescrizione, ogni cosa che non sia scelta libera e motivata del cuore, inaridisce ed uccide, diventa peso insopportabile ed a lungo andare alibi per accusare gli altri.
Ho vissuto a volte circostanze, situazioni, rapporti senza gioia e senza libertà, illudendomi di fare la volontà di Dio, in realtà prigioniera di uno sforzo superiore alle mie forze.
Sono certamente questi conflitti non risolti e non sanati di vera obbedienza la radice e la causa di esaurimenti, di disamore, di fughe e, a volte, di defezioni.
Per non parlare dei sensi di colpa reconditi e palesi per non aver fatto quello che ti sembrava di dover fare …
E non ci sono forse tradizioni ambientali, cose che non hai voluto, situazioni in cui non hai scelto di trovarti, che magari ti illudi di accettare e di vivere e dalle quali all'improvviso ti senti perseguitato e ricattato?
Non è certamente questo il senso dell'obbedienza cristiana e consacrata; non è questa passiva accettazione; non è questo fatalismo; non è questa illusione di aver fatto, di essere nel giusto.
L'obbedienza è pace e la vera pace è Gesù Cristo.
L'obbedienza è adesione di tutto l'essere ad una Persona, a Gesù Cristo che è il Sì perfetto, che è il Signore.
Riconoscere che Gesù è il Signore, perseverare nella sua Parola è conoscere la verità ed essere nella libertà che è il motivo profondo dell'obbedienza.
Stando con Gesù, imparo a mangiare un pane diverso da quello che di solito mangio con avidità, a cibarmi cioè non del mio egoismo ma della volontà del Padre, non in astratto o a grandi linee, ma espressa momento per momento dalla sua Parola, attraverso le mille mediazioni umane che Dio mi presenta nel vissuto quotidiano.
Restando con Gesù, imparo a stare al mio posto, ad accettare i miei limiti e quelli dei fratelli, ad entrare con letizia e con fiducia nel « tempo » per ogni cosa, nel tempo di vivere e nel tempo di morire, voluti e fissati da Lui ( non scelti e programmati da me ).
Entro cioè nella storia che Dio mi fa accettare come buona per me, vista come l'unica capace di contribuire alla mia salvezza.
Guardando Gesù, imparo a dare significato a tutti gli avvenimenti, a tutte le cose che capisco e che non capisco, sempre vedendo il segno del suo amore provvidente e misericordioso; imparo soprattutto a non fuggire dalla croce, ma ad entrare in essa « crescendo nelle sue radici e distendendomi nei suoi rami », accetto senza scandalizzarmi il grande grido di angoscia del mondo ed incontro la risurrezione.
L'obbedienza è ascolto attento e continuo di Dio che dialoga con me attraverso le persone, i fatti, le stagioni, le situazioni, i segni della mia vita.
« Come gli occhi dei servi sono fissi alle mani del loro padrone, così i nostri occhi a Tè, Signore » per imparare a leggere e a interpretare ciò che Lui vuole per noi e, da noi.
I nostri vecchi, così carichi di saggezza e di sofferenza, dicono « Stammi a sentire », quando vogliono dai giovani non tanto un ascolto auricolare ma un cambiamento profondo di mentalità.
L'obbedienza è questo « stammi a sentire » continuo che Dio ci rivolge interpellandoci con tenerezza.
Tornando alla mia esperienza diretta, io vivo questi anni, che sento come gli ultimi della mia vita, come donna e come consacrata, in mezzo a difficoltà, incertezze, precarietà, situazioni che non posso cambiare, ma incominciando ad amare e ad accettare la mia storia, guardando soprattutto all'oggi.
Il Signore sta permettendo che non possa fare più progetti nemmeno nello spazio di poche ore; vivo quindi la mia « ora » nella consapevolezza del mio nulla, ma benedicendolo perché mi fa capire con chiarezza che sono lontana dall'obbedienza tanto quanto sono in Lui.
Sono come tutti in cammino di conversione con una forte tensione al « ricupero » in Cristo di ogni realtà, ma il mio cuore è ancora inquieto perché gli idoli non sono ancora tutti infranti.
A. - Calabria
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