Racconti di un pellegrino russo |
Prima di partire da Irkutsk, tornai dal padre spirituale con il quale avevo avuto qualche colloquio e gli dissi: – Sono in partenza per Gerusalemme; perciò sono venuto a dirvi addio e a ringraziarvi per la vostra cristiana carità verso di me, misero pellegrino.
gli mi disse: – Che Dio benedica la tua via.
Ma non mi hai raccontato nulla di te, che sei e da dove vieni.
Ho sentito molte cose sui tuoi viaggi; mi piacerebbe sapere la tua origine e la vita che hai fatto fino al momento in cui hai cominciato la tua vita errante.
– Ve la racconterò volentieri – gli dissi –.
Non è una storia molto lunga.
Sono nato in un villaggio della provincia di Orel.
Dopo la morte dei nostri genitori, rimanemmo al mondo mio fratello, che era maggiore di me, ed io.
Egli aveva dieci anni. Io tre.
Il nonno ci prese a casa sua per farci crescere; era un vecchio stimato e benestante, che aveva una locanda sulla via maestra e, dal momento che era un galantuomo, molti viaggiatori si fermavano da lui.
Andammo così a vivere con lui; mio fratello era molto vivace, scorazzava tutto il giorno per il villaggio, mentre io preferivo rimanere piuttosto con il nonno.
Nei giorni di festa egli ci portava in chiesa, e a casa leggeva spesso la Bibbia, ecco, proprio questa qui che porto sempre con me.
Mio fratello divenne grande e cominciò a bere.
Avevo sette anni; un giorno, ero con lui coricato sulla stufa, quando egli mi diede uno spintone e mi fece cadere.
Mi ferii il braccio sinistro e da quella volta non posso più servirmene. È tutto ustionato.
Il nonno, visto che non avrei potuto dedicarmi ai lavori dei campi, decise di farmi imparare a leggere; non aveva un sillabario, così si serviva della Bibbia in questo modo: mi mostrava le lettere e mi obbligava a compitare le parole e poi a distinguere le lettere.
Così, non so troppo bene nemmeno io come abbia fatto, a forza di ripetere con lui, finii per saper leggere.
Più tardi, quando no riusciva più a vederci chiaramente, mi faceva leggere la Bibbia ad alta voce e mi correggeva.
Il cancelliere veniva speso da noi.
Egli aveva un scrittura chiara e a me piaceva molto vederlo scrivere.
Da solo cominciai dunque a formare le parole, seguendo il suo esempio.
Egli allora mi insegnò come fare, mi diede un foglio, l'inchiostro e mi affilò una penna.
Così ho imparato a scrivere.
Il nonno era contentissimo e mi diceva: – Così Dio ti ha dato di saper leggere e scrivere; tu sarai un uomo.
Ringrazia il Signore e pregalo più spesso.
Andavamo in Chiesa per tutte le funzioni, e anche a casa pregavamo spesso.
Mi facevano recitare: Signore, abbi pietà di me, e il nonno e la nonna facevano genuflessioni e inchini fino a terra, oppure restavano in ginocchio.
Quando compii i diciassette anni, morì la nonna.
Il nonno mi disse: – Eccoci qui in casa senza una donna, e come possiamo fare noi, uomini soli?
Tuo fratello è un buono a nulla. Voglio trovarti una moglie.
Io cercai di spiegargli che con la mia infermità non mi sentivo portato verso quella via, ma il nonno insistette e mi diede in moglie una brava ragazza. Aveva vent'anni.
Passò un anno e il nonno si ammalò seriamente.
Mi chiamò, mi disse le sue ultime parole di saluto e aggiunse: – Ti lascio la casa e tutto quello che ho; vivi facendo il tuo dovere, non ingannare mai alcuno, e prega Dio più di tutto; è da lui che ci viene ogni cosa.
Non riporre la tua speranza che in lui, va' in chiesa, leggi la Bibbia e ricordati di noi nelle tue preghiere.
Tieni mille rubli d'argento, serbali, non spenderli per sciocchezze, ma non essere avaro, sii largo con i poveri e con le chiese di Dio.
Morì e lo sotterrai.
Mio fratello era geloso della mia eredità, perché, ora la locanda era mia; cercò di molestarmi in tutti i modi e il diavolo lo spinse fino al punto da decidere di farmi fuori.
Una notte, infatti, mentre dormivamo e non c'erano viaggiatori di passaggio, egli entrò nella dispensa e vi appiccò il fuoco, dopo aver preso tutto il denaro che era conservato in cassapanca.
Ci svegliammo quando ormai la casa era in fiamme e avemmo appena il tempo di saltare dalla finestra così come stavamo.
Tenevamo la Bibbia sotto il guanciale e la portammo con noi.
Guardavamo la nostra casa bruciare e si dicevamo: – Sia ringraziato Dio!
Abbiamo salvato la Bibbia, potremo almeno consolarci nella sventura.
Così tutto il nostro patrimonio fu bruciato e mio fratello sparì dal paese.
Qualche anno dopo, egli si vantò dopo aver bevuto, e fu così che venimmo a sapere chi aveva rubato e appiccato il fuoco alla casa.
Rimanemmo completamente spogli, senza nemmeno i vestiti, come i mendicanti; in qualche modo, tra prestiti e buona voglia, mettemmo in piedi una capannetta e vivemmo come dei poveri diavoli.
Mia moglie era imbattibile nel filare, tessere e cucire.
Prendeva commissione dai vicini e lavorava giorno e notte, per darmi da mangiare.
Per via del mio braccio, io non ero in grado nemmeno di intrecciare delle scarpe di corteccia.
Il più delle volte, essa filava o tesseva e io, seduto al suo fianco, leggevo la Bibbia; lei stava ad ascoltare e talvolta si metteva a piangere.
Quando io le chiedevo: – "Perché piangi?" Grazie a Dio ce la caviamo lo stesso –, essa rispondeva: – "Sono commossa perché nella Bibbia è scritto così bene" –.
Ci ricordavamo anche delle raccomandazioni del nonno; digiunavamo spesso, leggevamo ogni mattino l'inno Acatisto e la sera facevamo ognuno un migliaio di inchini davanti alle icone per non cadere in tentazione.
Vivemmo così tranquillamente per un paio di anni.
Ma state a sentire il più strano: non sapevamo nulla della preghiera interiore fatta nel cuore, non ne avevamo nemmeno sentito parlare, pregavamo soltanto con la lingua, facevamo i nostri inchini come due grulli, e pure il desiderio di pregare stava là, quella lunga preghiera esteriore non ci pareva difficile, la compivamo anzi con piacere.
Aveva certamente ragione quel maestro che una volta mi disse che all'interno dell'uomo esiste una preghiera misteriosa, e nemmeno lui sa come si produce, ma essa incita ciascuno a pregare secondo quello che può e che sa.
Dopo due anni di una simile vita, mia moglie prese un febbrone, e il nono giorno, dopo aver fatto la comunione, morì.
Rimasi solo e non ero in grado di far nulla; non mi restava che andare a mendicare per le vie del mondo.
Ma avevo vergogna a chiedere l'elemosina; per di più, ero così infelice pensando a mia moglie, che no sapevo più dove cacciarmi.
Quando entravo nella capanna e vedevo un suo vestito o uno di quei fazzoletti che essa portava sul capo, mi mettevo a singhiozzare e cadevo quasi svenuto.
Se continuavo a vivere così nella nostra casa, non avrei potuto più sopportare il dolore; vendetti allora la capanna per venti rubli e distribuii ai poveri le vesti di mia moglie e le mie.
Per via della mia infermità, mi fu dato un passaporto valido per sempre, presi la mia cara Bibbia e me ne andai seguendo lo sguardo dei miei occhi.
Giunto sulla strada mi chiesi: – "Dove si va ora?
Andrò prima a Kiev, mi inchinerò davanti ai santi di Dio e chiederò loro di aiutarmi nella mia sventura" –.
Dopo che ebbi preso tale decisione, mi sentii molto meglio e giunsi a Kiev più sereno.
E ora son tredici anni che io cammino senza posa: ho visitato molte chiese e molti monasteri, ma ora vado specialmente per le steppe e per i campi.
Non so se il Signore mi permetterà di arrivare fino alla santa Gerusalemme.
La volontà di Dio forse giudicherà venuto il tempo di seppellire le mie ossa di peccatore.
– E che età hai? – Trentatré anni. L'età di Cristo!
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