Maestro di vita oltre la scuola |
È lo spirito di pietà; è il senso della presenza di Dio; è la vita di fede che nell'avvicendarsi degli uomini e delle cose, ci fa scorgere il beneplacito e il volere del Signore.
Fr. Teodoreto aveva chiara conoscenza di essere stato chiamato alla vita consacrata per aspirare alla santità.
Perciò tutte le cose sante della sua vita religiosa, egli amò e difese come un valoroso combattente della divina milizia che non conosce soste ne cedimenti.
La fede ispirava la sua vita, creava i suoi stati interiori, reggeva le sue azioni nell'oblio assoluto del giudizio degli uomini e nell'abbandono filiale delle divine promesse.
La riverenza con la quale entrava in Cappella, la sua modestia, la genuflessione, l'adorazione profonda che ne seguiva, davano anche agli spiriti distratti, il senso di Dio.
Era una predica vivente. Bastava si mettesse in preghiera, e immediatamente entrava in affettuoso contatto con Dio.
Si aiutava sovente col libro di pietà; ma era più impressionante vederlo pregare per conto suo: il viso abitualmente atteggiato a serena umiltà, le mani stesse, a volte, palesavano con lievi movimenti il suo fervore.
«Non era più lui che parlava e agiva» riferisce un Fratello, «ma il Signore che s'era impossessato interamente dell'anima sua.
Ci si rendeva conto di ciò, in modo speciale durante le preghiere e l'assistenza alla santa Messa.
Il suo era un intimo e sereno colloquiare col Signore.
Anche durante la giornata, nel semplice e monotono succedersi delle azioni comuni, Fr. Teodoreto era tutto preso dall'attenzione di Dio.
Lo si sarebbe detto sempre in preghiera.
E questo suo stato mistico non gli impediva di occuparsi del suo lavoro, perché fu sempre uomo attivo e fedele nelle sue cose».
Ma Fr. Teodoreto non era modesto e raccolto solo in Cappella e nei corridoi della casa, bensì lungo le stesse vie tumultuose della grande città: l'abbiamo già accennato raccontando il tragitto quotidiano che percorreva per recarsi a fare scuola nel suo quartiere.
Quanto egli apprezzasse la preghiera, lo si riscontra anche dalle esortazioni che faceva.
Stralciamo da una sua lettera al nipote: «... sì, preghiamo, caro Fr. Bonaventura, preghiamo molto, nell'andare e nel venire, almeno con orazioni giaculatorie mentali, perché senza questa preghiera noi siamo perduti, non vediamo più chiaro, e terminiamo col consumarci inutilmente la vita».
Al medesimo scriveva nella lettera d'auguri per S. Bonaventura ( 15 luglio ): «Bonaventura carissimo, se non ci facciamo santi, siamo i più grandi minchioni che esistono sulla terra...
Perché non abbiamo sempre gli occhi rivolti alla nostra santificazione?
Perché non approfittiamo delle circostanze più critiche e più umilianti per fare nuovi passi nella via della perfezione?
Vogliamo si o no farci santi? Se vogliamo, possiamo, e se ancora non siamo santi è perché non l'abbiamo voluto.
Scrivo queste cose con un po' di forza, prima per me e poi per Lei, perché al fin dei conti sarebbe tempo di non più contentarci di parole, ma di venire ai fatti.
Chiediamo al Signore, per mezzo di S. Bonaventura che era tanto umile, la virtù dell'umiltà che è base indispensabile della vera santità, e mettiamoci a praticarla in tutte le circostanze anche impreviste, giacché il chiederla senza praticarla è un burlarsi di Dio e un ingannare se stesso».
Rileggendo queste accorate esortazioni, pare quasi di udire Fr. Teodoreto parlare, in conferenza, ai vari gruppi di giovani Fratelli, adunati nei grandi Ritiri, da lui presieduti, oppure di vederlo, modello ineccepibile, tra i Novizi, durante i periodi di tempo in cui sostituiva il loro Direttore.
Ma vediamolo in questi due importanti momenti: nei Ritiri e tra i Novizi.
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