La santità è un'utopia? |
Al fuoco della sua anima
corrispondeva la luce del suo volto
Il dominio di se stesso è una delle caratteristiche che più evidenziano il carattere di Fratel Teodoreto. Alcune testimonianze.
Fratel Anastasio dice: «Ho sempre ammirato in lui una calma prodigiosa.
Ci fu chi lo trattò duramente; eppure dinanzi alle ingratitudini, alle incomprensioni, rispondeva con dolce sorriso, con invidiabile tranquillità».
Fratel Fidenzio: «Non mi è mai apparso in lui un senso qualunque di alterazione o moto incomposto.
Nessun accesso avevano sull'animo suo sentimenti d'odio e d'invidia o d'altro meno retto.
Sempre l'ho visto tranquillo, in pace con Dio e con gli uomini».
Fratel Giovannino: «Basterebbe a caratterizzare il santo quella eguaglianza di animo anche in circostanze particolarmente difficili e delicate che avrebbero fatto scattare un...morto, come in occasione dell'abbandono della vocazione da parte di qualche Fratello a lui affidato; oppure sentendo giudizi tendenziosi sul conto suo o della sua opera; o l'ironia sulle sue pie immaginazioni; o il contrasto di vedute anche da parte di persone o Fratelli qualificati».
Che di natura non abbia avuto un temperamento pacifico lo asserisce Fratel Arcangelo: «Non aveva, credo, sortito da natura un temperamento angelico, pacifico e dolce.
Era però riuscito a lavorarsi in modo da passare per l'uomo più mite, paziente, serafico e longanime che si possa immaginare».
Questo saggio di pareri sans preparation come dicono gli illusionisti, rappresenta il fulcro di una fortezza d'animo impareggiabile.
Il fuoco della sua anima corrisponde alla luce del suo volto.
Imperturbabile come tutti coloro che da un giorno all'altro fanno assegnamento sull'imprevedibile, Fratel Teodoreto non ha esitazioni sulla necessità di dominare il corpo che è poi l'involucro dell'anima.
Fratel Dante Fossati, un altro amico che mi ha tenuto compagnia gran parte della vita, spiega: «Il più bell'esempio di dominio di se stesso virtù veramente eccezionale in lui ( Diego Abatantuomo si dev'essere ispirato a queste parole ) l'ho avuto durante il bombardamento aereo su Torino la notte dell'8 dicembre 1942.
Eravamo rimasti pochi Fratelli al Collegio: gli altri erano sfollati a Biella. Fratel Teodoreto, allora della Comunità di Santa Pelagia, veniva a rifugiarsi, al segnale d'allarme, nella cantina, priva di qualsiasi apprestamento difensivo, del Collegio.
I bombardamenti erano terrificanti.
La notte dell'Immacolata, il Collegio fu il centro di una zona di sganciamento: molte bombe dirompenti di mille libbre demolirono quasi tutto intorno a noi ( Politecnico, Ospedale, Camera di Commercio, scuola Tommaseo, case di fianco all'aiuola Balbo ).
Il Collegio ebbe grappoli di spezzoni e bombe incendiarie, ma nessuna dirompente e ne usci profondamente sinistrato, nonostante il coraggio ammirevole con cui parecchi Fratelli tra i più vigorosi si prodigarono a impedire il propagarsi di incendi iniziati in vari punti della casa.
Non saprei dire il panico provocato in tutti dagli scoppi e dalle scosse: ogni bomba sembrava per noi.
Ho osservato Fratel Teodoreto pregare tutto il tempo, tranquillo e sereno, sotto al pericolo di ricevere addosso da un momento all'altro la cantina e ... il resto».
Questo racconto verista non ha dello stupefacente.
Stupefacente sarebbe se nessuno si fosse accorto di Fratel Teodoreto intento a sgranare decine di rosari ed evitare il peggio con l'aiuto del cielo.
Carattere forte, scolpito da una fede incrollabile, ma addolcito o reso soave da un animo sensibile alle ingiustizie verso gli altri.
Per quello che lo riguarda, infatti, non da peso.
Se Cristo è stato crocifisso, se la Madonna ha avuto il cuore trafitto dalle simboliche sette spade come l'hanno raffigurata i pittori del Trecento e come viene ricordata dall'Ordine dei Servi di Maria, egli può patire il patibile e lasciarsi calpestare senza emettere un lamento.
San Francesco nel dolore fa conoscere al mondo intero il «Cantico delle Creature»; Caterina Emmerich, stigmatizzata e veggente, vede nella sofferenza l'anima che sale a Dio.
Teresa Neumann, la dolce sorella del Crocifisso, che ho conosciuto nella sua dimora di Konnersreuth, in Bavaria, la piccola stella del sorriso, mi ha detto: «L'ingiustizia è un peccato che grida vendetta».
Fratel Teodoreto non sopporta che attorno a sé regni questa malapianta.
Si commuove e piange quando un catechista gli racconta che la ditta presso cui lavora da anni lo sfrutta.
Poi prende un biglietto, scrive poche parole di presentazione e invia il giovane dal capo personale della Fiat.
Il giovane ha altre presentazioni.
È uscito dal collegio degli Artigianelli con un'ottima votazione; ha tre o quattro benserviti e non pensa di estrarre dalla tasca la lettera del Servo di Dio.
Il funzionario gli dice: «Non ha altro da farmi vedere?».
Il giovane porge la lettera di Fratel Teodoreto.
Stupore del funzionario: «Lei lo conosce?».
«Certamente».
«Venga domattina e prenda servizio. Fratel Teodoreto è stato mio professore. Non occorre altro. Lei ha la fiducia di un santo».
Questo è uno dei tanti episodi che la biografia ufficiale ignora, ma che ho raccolto parlando con i suoi allievi.
Qui non si tratta della solita raccomandazione che apre la strada all'umorismo dei vignettisti, considerato che l'Italia è il paese delle raccomandazioni, degli espressi, delle telefonate che non approdano a nulla, dei ci penso io politico in tempo elettorale, di gente che promette e non mantiene, barattieri di lusso sulle disgrazie altrui, di persone che vivono col pregiudizio della povertà, di ladri patentati all'alta scuola internazionale, di voltagabbana in tutte le salse, gente che si arricchisce speculando sull'ignoranza del prossimo, che froda sul salario, sulle ore, sulla malattia e sulla morte.
Non c'è davvero da stare allegri in quest'anticamera funeraria che è il mondo.
Fratel Teodoreto non si da mai per vinto.
Rosario alla mano discute con Gesù e Maria.
È il suo modo di aggiustare le cose, di imporre un aut aut alla Provvidenza, di far intervenire l'illuminato parere del cielo su quanto deve fare.
Il cielo lo ascolta. La fede che trasporta le montagne non è un'invenzione evangelica.
È la verità, ma occorre aver spalle robuste, cuore intatto e una fede a prova di arsenico.
Della parola santo solitamente non se ne fanno copiosi e voluttuosi gargarismi, ne la si sintetizza in una placca di ferro smaltato.
Definire santo uno che è ancora in vita è come sporgersi dal finestrino in un tunnel quando il treno è in corsa.
Il mio lettore che è intelligente, pratico, immaginativo ha già capito che quel santo di Fratel Teodoreto è stato santo nella maniera più totale senza immolare bianche colombe alle sue virtù.
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