Fratel Teodoreto ( Prof. Giovanni Garberoglio ) |
Sanno tutti quanto giovi all'intera scolaresca il sapere coltivare le così dette « élites », che sono come il lievito destinato a fermentare l'intera massa.
Per vedere come praticamente risolvesse il problema il nostro Servo di Dio, ascolteremo tre voci di ex alunni: ne risulterà un trittico tutt'altro che privo d'interesse, tanto più in quanto i Relatori si riferiscono ognuno a un momento tipico della propria educazione, il primo alla scuola Elementare, il secondo alla Scuola Serale, il terzo alla Scuola Media.
Ecco la prima relazione, o il primo quadro che dir si voglia:
"Fratel Teodoreto aveva due attenzioni particolari: una per le vocazioni all'apostolato laico, l'altra per quello sacerdotale e religioso.
"Nell'anno 1941-42 ero alunno di Quinta elementare nella scuola di Santa Pelagia allora diretta da Fratel Teodoreto.
Del mio Direttore ricordo solo questo: che a un certo punto dell'anno incominciò a riunire periodicamente ( due o tre volte la settimana ) in direzione una dozzina di alunni scelti fra i migliori in condotta.
Io ebbi la fortuna di essere fra quelli - non perché fossi un angioletto, ma perché sapevo contenermi a scuola e sfogarmi a casa - e potei quindi godere delle sue pie premure a nostro riguardo.
Mi rammarico di non ricordare testualmente nessuna frase del santo Fratello; però posso affermare che ci incitava a propagare il bene soprattutto con l'esempio.
"Ci dava poi come opera di apostolato specifico il diffondere la Divozione alle Cinque Piaghe.
"Da quei trattenimenti uscivamo così infuocati, che per noi non esisteva più il rispetto umano.
Fra l'altro m'è ancor vivo nella memoria che, trovandomi un giorno in tram con ambo le mani occupate e passando davanti ad una Chiesa, il compagno di scuola che m'era a fianco, dopo aver fatto per proprio conto il segno di croce, vistomi impossibilitato, lo tracciò anche sopra la mia persona, come fosse la cosa più naturale del mondo...
"Ogni giorno poi portavamo nuovi nomi di persone desiderose di venire iscritte nei registri di coloro che s'impegnavano alla recita quotidiana della "Divozione".
"Verso la fine dell'anno scolastico, soleva, dopo una conferenzina comune, separarci in due gruppi a ognuno dei quali rivolgeva uno speciale sermoncino.
Un gruppo era formato da coloro che avevano manifestato la chiamata allo stato ecclesiastico e religioso, e l'altro dai rimanenti.
"Di quelle conferenze particolari non serbo che un'impressione intima: quasi come una voce, o meglio un occhio sereno e incoraggiante che mi segue, specie nei momenti difficili" ( Fr. Felice Vittore ).
Il secondo quadro è presentato da un Catechista, che firma U. U.
Mentre la sua testimonianza ci mostra come avveniva la metamorfosi da alunno comune a membro attivo dell'« Unione », anticipa anche, senza inconveniente alcuno, sul modo con cui i giovani vi erano iniziati ai loro nuovi compiti il che si dirà poi più ampiamente nella parte del volume dedicata allo studio del « Fondatore ».
"Dopo la licenza tecnica fui invitato a frequentare il corso serale di Disegno.
Fu in quell'anno 1912-13, che ricevetti con Massaia, mio compagno di corso, l'invito a partecipare alle prime adunanze della Unione del SS. Crocifisso.
Non ricordo con precisione la data.
Alcuni del corso serale ed altri del corso diurno erano stati chiamati.
Ricordo alcuni pensieri.
"Il Signore vuole da voi un servizio speciale" ci diceva "voi farete bene, se seguirete la sua chiamata".
"Il Signore vuol fare di voi dei santi.
Voi dovete essere i primi nello amare il Signore".
"Chi non ama Dio ama il fango".
Se non andrete con Dio, andrete col diavolo".
Le prime adunanze si tennero nell'aula di disegno, nella quale erano appesi alle pareti numerosi modelli in gesso.
Si entrava direttamente nell'aula dalla porta di via Rosine 16, quella che dava nel teatrino sottostante alle classi.
Prima dell'adunanza, era concessa un po' di libertà, per parlare o giocare; poi, con la preghiera, si iniziava la riunione.
A voce alta veniva letto il passo del Vangelo della domenica successiva e tutti i giovani in piedi ne seguivano la lettura.
Appena seduti incominciavano quelle visioni sulla Palestina, sul gruppo degli Apostoli, sulle turbe che seguivano Gesù, in un continuo rinnovarsi di lezioni ed esortazioni.
I fatti del Vangelo erano presentati in una luce attraente e viva e con una semplicità singolare.
Erano applicati a noi gli insegnamenti.
Eravamo poi i protagonisti delle trasformazioni spirituali che Gesù operava, e noi vedevamo, con una intima soddisfazione, schiarirsi in noi i dubbi che avevano occupata la nostra mente nella precedente settimana.
Alcuni di noi sussurravano che il Fratel Teodoreto leggeva nelle anime ed allora si era portati ad una grande lealtà e sincerità di parole e di atti.
Le figure degli Apostoli che avevano risposto alla chiamata di Gesù, erano messe in risalto per invogliarci a riflettere sui disegni della Provvidenza su di noi.
"Iddio ci parla coi fatti" - diceva - "guida le anime per il bene loro e la gloria di Dio".
"Vissuti in un ambiente cristiano per famiglia, patria, scuola, dovete essere riconoscenti, farvi attivi e cooperare, affinché anche altri abbiano tali benefici".
Queste riflessioni e l'invito a pregare sovente, a rivolgere spesso il cuore a Dio con giaculatorie, venivano raccolte in un sistema di controllo pratico con la compilazione settimanale del foglietto "mazzo di fiori spirituali".
Le adunanze tenute ogni sabato in una povera aula, senza alcun richiamo attraente, erano sempre molto frequentate e desiderate, perché Fratel Teodoreto ne era l'anima.
Si andava per lui. L'ambiente non contava.
Nel 1915 il Fratel Teodoreto invitò alcuni giovani dell'Unione a ripetere le spiegazioni del Vangelo, fatte da lui, ai ragazzi delle elementari di Via Rosine alla domenica mattina.
Invitò altri che frequentavano da maggior tempo, a fare il catechismo nei corsi serali e in alcune parrocchie della città, come tirocinio necessario per il conseguimento del diploma di catechista.
Desiderava il miglioramento effettivo dei giovani e proponeva meditazioni e sacrifici.
Promosse perciò i Ritiri spirituali mensili, i pellegrinaggi alla Consolata, al santuario di San Pancrazio.
Faceva convergere dalle tre sezioni elementari ragazzi, catechisti e Fratelli nel santuario della Madonna di Torino, la Consolata.
Raccomandava con calde parole l'amore alla Madre celeste, ispiratrice delle virtù più belle e rivolgeva invito a tutti di visitarla sovente.
Davanti alla Santa Immagine si recitava il Rosario con qualche particolare attenzione.
Poi veniva invitato il Rettore o il Vice Rettore, Don Calilli, a dire qualche parola di circostanza e ad impartire la benedizione.
Con la visita alla galleria dei quadri e qualche salto nel cortile del Convitto si chiudeva la giornata.
Lungo la strada, via S. Chiara, piazza S. Giovanni, Via Po, via Rosine, ci intratteneva ricordando qualche frase più saliente del predicatore.
A proposito di San Pancrazio, mi viene in mente un fatto. Eccolo.
Quell'anno le ciliege erano particolarmente invitanti, non si sa per quale felice connubio.
I ragazzi degli oratori erano lieti e più del solito rumorosi, perché era stato loro annunziato un pellegrinaggio a San Pancrazio, martire giovanetto.
I maestri e i catechisti avevano già disposto una serie di informazioni su Roma antica, sulle persecuzioni, sui circhi, sui leoni.
Si trattava di andare a piedi fino alla ferrovia Torino-Rivoli, fare in trenino il percorso fino a Regina Margherita e poi, di nuovo a piedi, attraverso Collegno, la Dora, Pianezza e il viale terminale.
Il tempo prometteva bene, ma non troppo.
Percorso il primo tratto a piedi fra Regina Margherita e la Cappella di San Massimo, incominciò a piovere.
La cappella, antichissima, era stata costruita, si vede, per riparare tutto il gruppo dalla pioggia.
Il Fratel Teodoreto fa recitare alcune preghiere.
Il temporale infuria. Raccomanda maggior fede e fervore nelle preghiere.
Tutti obbediscono con uno slancio da primi cristiani.
Dopo alcune decine di Rosario, ecco il sole entrare dalla finestra della chiesetta; un brusio, misto a pezzetti di Ave Maria, sottolinea chiaramente il cambiamento.
Il Fratel Teodoreto dà l'ordine che il Rosario venga continuato per la strada tra il pilone di Collegno e Pianezza.
Un largo sorriso, una contentezza invano contenuta dimostrano la gioia dell'Uomo di Dio, novello Mosè, che ha pregato per la sua giovane tribù.
Quando, al levar delle mense, in quel di San Pancrazio, dopo pagnotte, risotti e ciliege il Fr. Teodoreto ottenne un po' di silenzio, ricordò ai catechisti ed ai ragazzi il dovere della riconoscenza.
"Avete pregato grosso come il braccio, perché cessasse di piovere; avete avuto fede ed avete ottenuto".
Quelle conclusioni fresche e generose sono rimaste in fondo a tutti i cuori con una sicurezza tranquilla circa l'efficacia della preghiera.
La benedizione eucaristica nel santuario del Santo, la passeggiata di ritorno e la visita riconoscente alla cappelletta di San Massimo a Collegno sigillarono uno dei più bei pellegrinaggi dell'Unione".
L'ultimo quadro, del Fratel Teodoreto, ci mostra il Fratel Teodoreto nel suo comportamento pratico con i ragazzi che avevano risposto all'invito d'appartenere all'Unione di Gesù Crocifisso, allora ai suoi primordi: alcuni aspetti nuovi sono preziosi perché meglio delineano la figura dell'Educatore.
"Nel periodo di mia appartenenza all'Unione (1918-1919), la soave figura di Fratel Teodoreto già appariva gigante, al centro dell'Istituzione nascente, nella quale aleggiava per merito suo - non credo di esagerare - lo spirito delle prime comunità cristiane.
"Le riunioni ufficiali si tenevano il sabato sera e la domenica; ma lungo la settimana ci si riuniva facoltativamente, nella cara Sede, trattenendoci in conversazioni e occupazioni edificanti, e terminando ogni riunione con la recita della "Divozione", attorno a un bel Crocifisso adagiato su di un cuscino rosso.
"Preoccupazione grande di Fratel Teodoreto era quella di far regnare tra i membri dell'Unione una carità viva e delicata, insieme con una pietà fervorosa che ci spingesse alla pratica delle virtù cristiane e all'apostolato catechistico.
Ricordo una conferenza accorata, per il sentore di qualche piccolo screzio tra qualcuno di noi; non credo abbia più avuto bisogno d'insistere su tal punto, tanto la sua parola era ascoltata e venerata.
"Allora, come sempre, il suo modo di parlare, in privato o in pubblico, lasciava ammirati e impressionati.
Diceva cose semplici, in parole parimenti semplici e piane, ma in un modo del tutto fuori del normale.
La sua straordinaria intimità con Dio rendeva palese in Lui la presenza del Signore: lo si sentiva penetrato di riverenza e d'amore, illuminato da una Fede vivissima, che rendeva grandi ai suoi occhi anche gli argomenti religiosi più comuni e semplici.
Moltissimi Fratelli ebbero agio di ammirare, in classe, il suo straordinario ascendente anche su scolaresche vivaci o abitualmente poco attente; a parte il fatto della parola nuova, estemporanea, i ragazzi subivano il fascino della sua virtù e della sua unione a Dio.
"Era, inoltre, la distinzione in persona.
Ricordo l'impressione riportata da fanciullo nel commiato d'ogni sera, dopo le riunioni: Egli salutava ognuno di noi, giovani e ragazzi, come fossimo persone autorevoli, stringendo la mano a ciascuno, pieno di sorridente rispetto e di squisita cortesia".
È da aspettarsi che, dopo aver messe tutte le sue risorse per educare gli alunni, si preoccupasse della loro riuscita nella vita.
Aveva grande affetto per i suoi antichi allievi ormai padri di famiglia, li nominava con simpatia e gradiva vederne i figliuoli.
Nelle gioie e nei lutti, se li veniva a conoscere, prendeva tutta la parte consentita dalle tradizioni nostre e dalle circostanze: con la preghiera, per lo meno, la sua partecipazione era assicurata.
La Signora Margherita Morello racconta d'essersi incontrata con Fratel Teodoreto il primo giorno che Egli usciva dopo una grave malattia.
Rispondendo al saluto, si scusò, con un sorriso, d'essere uscito troppo presto e d'aver la parola assai impacciata; ma aggiungeva di non averne potuto fare a meno, poiché alla parrocchia delle SS.ma Annunziata si ordinava un suo ex alunno.
Concludeva la pia Signora:
"Lo pregai di ricordarmi nelle sue orazioni: mi rispose che lo avrebbe fatto volentieri; ma che anch'io pregassi per Lui, perché ne aveva tanto bisogno.
Era una gioia parlare con quel sant'Uomo; e tanti, come me, desideravano poterlo incontrare per sentire la sua dolce e umile parola".
La sua presenza al letto degli infermi, poi, era una benedizione di Dio!
Il Fr. Gustavo Luigi lo ricorda confortatore presso al mamma morente:
"L'avevo pregato che venisse a trovarla: da dieci mesi ella non si alzava e soffriva indicibilmente.
Mi accontentò: mia madre, quando lo vide, scoppiò in pianto.
La parola calma, celeste, di rassegnazione del santo Fratello portò una nuova luce nell'anima dell'inferma: ne fu tanto, tanto contenta! Diceva poi: Ma quello è un angelo!".
Non stupisce quindi quanto asserisce il Fr. Antonio Gandini:
"La ricostituzione dell'Associazione Ex-Allievi stava vivamente a cuore a Fratel Teodoreto e fu lieto di sapere, prima di morire, che il suo desiderio era un fatto compiuto.
Il ricordo dell'avvenimento venne fissato in un bel gruppo fotografico, che Egli portò nella tomba.
Era stato quasi quarant'anni Direttore delle nostre Scuole serali e diurne, e tutti lo ricordano come l'uomo di Dio, che ebbe parole buone per ogni circostanza della vita.
Se gli ex-allievi dovessero narrare tutti i fatterelli edificanti fioriti lungo la via di Fratel Teodoreto, sarebbe un vero godimento.
Secondo quanto sentii da parecchi amici, molti episodi verranno a galla...".
Mi auguro che parecchi di questi episodi giungano sino a me, assecondando la richiesta fatta in questo senso, perché io ne possa far parte ai miei sedici lettori!
Nell'attesa, pongo sotto i loro occhi una lettera di Fratel Teodoreto a tre famiglie di ex alunni tra loro imparentate, attraverso la quale si vede quanto a lungo durasse la memoria di Lui e la devozione alla sua persona, anche quando figli e nipoti avevano smesso di frequentare le scuole dei Fratelli:
G.M.G.
Torino, 16 gennaio 1948
Stimat.me Famiglie Morello, Provale, Castagneri,
il Vostro augurio per il 60° anno di vita religiosa fattomi pervenire dal mio sempre carissimo Fr. Abele, mi ha fatto un gran piacere.
Vi ringrazio proprio di cuore; ma specialmente vi ringrazio delle preghiere, che io oso supplicarvi di continuare, perché possa corrispondere a tante grazie e favori ricevuti dalla misericordia infinita di Dio, durante questi sessant'anni di vita religiosa e nei diciassette che la precedettero.
Come vedete, pesa su di me un cumulo di responsabilità; ma confido nei meriti infiniti di Gesù Crocifisso e nell'aiuto delle vostre preghiere!
Il Signore vi ricompensi di questo aiuto, e vi ricolmi tutti e ciascuno delle grazie e benedizioni più elette!
Sempre vostro
Dev.mo Fr. Teodoreto
Ed ecco giungono lettere di ex alunni per corrispondere all'invito qui sopra accennato.
Facciamovi larghe spigolature.
Il Sig. Pietro Fabbri ribadisce il concetto già espresso dell'autorità serenatrice di Fratel Teodoreto:
"Ricordo di Lui, le poche volte che venne a sostituire qualche Insegnante assente.
Senza mai alzare la voce, con il suo tono pacato e fermo, egli riusciva ad acquetare tutta la scolaresca: si sarebbe detto che tutti si sentivano attratti da Lui e che ne subivano la benefica influenza".
La stessa impressione conferma, con particolari interessanti, il Sig. Mario Enrico nella sua lettera del 17 agosto 1955:
"Fratel Teodoreto fu mio maestro nella 4° elementare della Scuola Vittorio Amedeo 3°; di Lui a distanza di tanti anni ( più di mezzo secolo ) non posso più ricordare fatti precisi, aneddoti, ecc.
Ricordo però la grandissima impressione che fece nel mio animo fanciullo la serenità, l'imperturbabilità costante di Fratel Teodoreto.
A me, ragazzo proveniente dalla scuola elementare pubblica, mi diede sulle prime una grande soggezione; ma poi direi istintivamente scoprii in Lui una bontà grandissima e la mia soggezione si tramutò in una profonda venerazione.
Venerazione che ancora sento fortemente in me pur avendo raggiunto il
traguardo dei 65 anni, e che anzi direi aumentata dopo la sua morte.
Per me l'ora più bella della scuola era la domenica mattina, dopo la S. Messa
in comune nella Cappella della scuola, l'accedere alla biblioteca per scegliere
il libro di lettura settimanale; in quel poco tempo gustavo veramente la grande
bontà del mio venerato Maestro.
Ci parlava con affabilità, suggerendoci quindi il libro a noi adatto.
Queste le poche cose che ho potuto dire della mia lontanissima e brevissima fanciullezza passata vicino a Fratel Teodoreto, che tanto potentemente contribuì alla mia formazione morale".
Ecco ora la testimonianza del Dott. Osvaldo Zaffiri, medico chirurgo, che il Fratel Teodoreto svela aspetti meno consueti e interessantissimi:
"Premetto che tutti lo consideravano un Santo.
Tutti noi, scolari di 4° e 5° elementare nella Scuola di via delle Rosine, eravamo sicuri di parlare con un santo, di udire la voce ( oh, la voce calda, suasiva, inconfondibile, diversa di Fratel Teodoreto! ) di un santo, specie quando la domenica mattina, dopo la cerimonia religiosa, ci si riuniva nella Associazione ch'Egli dirigeva con tanto fervore.
Però i miei ricordi di Fratel Teodoreto sono di natura più intima, direi più umana.
Noi tre fratelli Zaffiri si villeggiava a Pessinetto, nella villetta che i nostri genitori ( mia defunta Madre teneva il Fratel Teodoreto in conto di suo consigliere spirituale ) avevano costruito proprio accanto alla Villa S. Giuseppe, ove i Fratelli solevano ( e sogliono tuttora ) trascorrere le loro meritate vacanze.
Noi tre ragazzini eravamo tutto il giorno, si può dire, dai Fratelli, a giocare nel bel parco della loro villa.
Erano i tempi fortunati in cui formidabili nomi di educatori, di maestri facevano parte della comunità sotto la guida difficilmente superabile del carissimo Fratel Aquilino: ora sono morti, tutti, i non dimenticabili fratelli Pellegrino, Emilio, Bonifacio, Macedonio, il non dimenticabile Fratel Teodoreto.
Me lo ricordo così, che ci guardava e ci sorrideva benigno, alzando lo sguardo da un qualche libro che leggeva passeggiando tra i viali, mentre noi giocavamo al calcio o alle bocce o a ping-pong.
Me lo ricordo assorto nella preghiera, nella piccolissima cappella; e lo vedevo così bene, ché servivo la Messa ed egli era lì presso: e io pensavo ch'era grande onore avere un Santo così vicino.
L'ultima volta che lo vidi ( e il ricordo è preciso ) fu il 10 o l'11 settembre 1943, a Pessinetto.
Papà, colonnello dell'esercito italiano, s'era rifugiato lassù, dopo l'8 settembre.
Erano giorni tristissimi e gravi le decisioni che si dovevano prendere per l'immediato futuro.
Era verso sera e piovigginava.
Quand'ecco giungere nella nostra villa, non richiesto, ma graditissimo ospite, il Fratel Teodoreto.
Entrò subito in argomento, domandò che cosa mio padre intendesse fare.
Alla risposta del mio genitore che mai, in nessun caso, egli avrebbe servito il nemico invasore, vedemmo rischiarsi il volto del Fratello Teodoreto.
Sorrise, felice: "Ero sicuro, colonnello - disse testualmente - e io sono venuto a portarle il voto augurale, la mia solidarietà e le offro tutta la collaborazione morale e materiale dei Fratelli e mia per continuare nella lotta che prevedo, purtroppo, molto dura".
Ci guardammo, quasi sorpresi: non avremmo creduto, in un santo, tanto eroico ardore patrio.
Quella sera il Fratel Teodoreto stette con noi, a conversare, a lungo, finche il suono della campanella dei vicini confratelli non lo chiamò.
Da allora non lo vidi più".
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