L'ideale cristiano e religioso

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Nella sofferenza del corpo

Soffrire è necessario.

Sta scritto del nostro Capo: « Bisognava che il Cristo patisse e così potesse entrare nella sua gloria ».

Ciò si verifica pure nei membri:

« Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Gesù Cristo avranno da patire persecuzione » ( 2 Tm 3,12 ).

Noi saliremo in cielo come si sale un calvario, portando la croce:

« Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua » ( Mc 8,34 ).

È dunque essenziale saper soffrire.

La sofferenza non deve essere considerata come fine, ma bensì come un mezzo per far scaturire l'amore.

È la disposizione intima di chi soffre che la rende santa e meritoria.

Sul Calvario, ai lati di Gesù stavano due ladroni crocifissi: ad uno il dolore aprì il paradiso; all'altro il dolore, compiendo la sua malizia, fu il preludio dell'eterna miseria.

Si tratta quindi di ben soffrire, in conformità con la volontà divina, con Gesù Cristo e come Gesù Cristo.

Ora, su questa regia via della Croce, noi abbiamo come tre tappe da percorrere: patimenti del corpo, dolori del cuore, desolazioni dell'anima.

Anzitutto i patimenti del corpo:

« Offrite i vostri corpi come un'ostia viva, santa, gradevole a Dio » ( Rm 12,1 ).

La sofferenza prende soprattutto il corpo e le potenze inferiori dell'anima.

È la prima partecipazione del cristiano, partecipazione ancora elementare, alla Passione di Gesù Cristo.

Tuttavia essa può raggiungere un grado già molto elevato, perché vi sono patimenti corporali, infermità, malattie, ecc. la cui sofferenza può diventare durissima alla natura e perciò quanto mai meritoria per l'anima e glorificante per Iddio.

Su questa via Gesù ci precedette e si spinse più lontano che mai non potremo far noi.

Perché egli veniva sulla terra in vista del Calvario, lo Spirito Santo plasmò in modo speciale la sua Umanità per la sofferenza, le diede un corpo di una squisita delicatezza e di una estrema sensibilità, affinché fosse capace di soffrire fino all'eccesso.

La stessa perfezione di lui portava la sua capacità di soffrire a misure inaudite.

Infatti nei giorni della Passione fu come un'invasione di patimenti e di torture, e il profeta Isaia non sa come dipingerla:

Molti vedendolo furon sopraffatti dallo stupore.

Tanto era sfigurato che il suo aspetto non era più quello d'un uomo; né il suo volto quello dei figli degli uomini … Egli non ha né forma né beltà.

Era come un oggetto davanti a cui uno si copre il viso.

Egli era vilipeso e noi non ne facemmo alcun conto …

Piacque al Signore di consumarlo nei patimenti ( Is 53 ).

Che fare quando viene la nostra volta di soffrire?

Tenerci strettamente uniti a Colui che soffrì tanto.

Ecco quello che vi è di più semplice e di più consolante ad un tempo.

Noi ci ricorderemo che siamo membri di Gesù Cristo e che dobbiamo continuare la sua Passione, partecipando innanzi tutto ai patimenti e alle piaghe del suo divin corpo.

Oggi, la sua gloria acquistata a sì caro prezzo lo mette nell'impossibilità di soffrire.

Ma quello che Egli non può attualmente soffrire nella sua Umanità personale, lo vuole sopportare nella "sua Umanità aggiunta" in noi stessi, e continuare così la sua Passione.

Anzi, non sembra forse che Egli voglia oggi estendere l'umiliazione di questa benedetta Passione oltre i limiti che la sua perfezione gl'impediva già di varcare?

Perché s'Egli, durante la sua vita mortale, subì patimenti che noi non subiremo mai, ve ne sono altri che non conobbe per esperienza, per esempio la malattia.

Quel che non poté sopportare egli stesso, lo sopporterà in noi.

Egli entra nella nostra vita, c'incorpora a se stesso, affinché possiamo soffrire, non solo per lui, ma veramente con lui e in lui.

In vero noi possiamo dire: « Io sono con Gesù Cristo inchiodato in Croce » ( Gal 2,19 ).

Ogni sofferenza ben sopportata affretta l'opera di Dio in noi.

Nulla è più santificante.

Essa perfeziona la nostra rassomiglianza intima con Gesù.

Compie l'opera meravigliosa di cui parla S. Paolo: « La formazione di Gesù Cristo in noi » ( Gal 4,19 ).

« Allorché il nostro uomo esterno deperisce, il nostro uomo interno si rinnova di giorno in giorno » ( 2 Cor 4,16 ).

Ogni dolore, dice Mons. Gay, è come un bacio che Crocifisso ci dà e un nuovo tratto di rassomiglianza che noi abbiamo con Gesù.

Chi mai, appoggiato su tali certezze, non sopporterebbe, non solo con pazienza, ma con una santa gioia di anima, le peggiori prove?

« Io sovrabbondo di gaudio nelle mie tribolazioni » ( 2 Cor 7,4 ).

« Sono ripieno di gioia nelle mie sofferenze, perché do nella mia carne compimento a quello che rimane dei patimenti di Gesù Cristo, a pro del corpo di lui, che è la Chiesa » ( Col 1,24 ).

Perciò S. Paolo si congratulava coi cristiani, cui Dio metteva alla prova:

« È una grazia che Dio vi fa, per riguardo a Gesù Cristo, non solo di credere in lui, ma ancora di soffrire per lui » ( Fil 1,29 ).

Il nostro scopo, soffrendo con Gesù e in Gesù, dev'essere di poter far nostre quest'altre parole del grande Apostolo:

« Per ogni verso siamo tribolati, ma non oppressi;

siamo esitanti, ma non disperati;

siamo perseguitati, ma non abbandonati;

siamo abbattuti, ma non estinti;

portando noi sempre nel nostro corpo la mortificazione di Gesù Cristo, affinché ancora la vita di Gesù si manifesti nei nostri corpi.

Poiché di continuo noi che viviamo, siamo messi a morte per Gesù:

affinché ancora la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale…

La leggera nostra tribolazione del momento presente opera in noi un peso eterno di una sublime e incomparabile gloria » ( 2 Cor 4,8-17 ).

La madre Margherita Maria Doens, consumata da una lunga e spaventosa malattia, pareva esultasse nella sua tortura:

« Si direbbe che voi godiate », le disse una delle sue consorelle.

« Sì - rispose ella - io godo, perché Nostro Signore fa in me ciò che gli piace ».

« O mio Signore Gesù, io credo e, con la vostra grazia, voglio sempre credere e professare, e so che è vero e che vero sarà sino alla fine del mondo, che nulla si fa di grande senza sofferenza, senza umiliazione, e che ogni cosa è possibile con questi mezzi » ( Newman ).

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