L'azione |
Piantato nell'organismo, l'atto, per una sorta di germinazione naturale, produce il frutto al di fuori.
Qui occorre riprendere il linguaggio dei fenomeni sensibili, perché grazie all'operazione volontaria e all'esecuzione organica, l'intenzione ricade nel campo e sotto la legge del determinismo meccanico.
Non c'è pensiero, per quanto lo si ipotizzi depurato da qualsiasi immagine, che non sia legato a una modificazione cerebrale; non c'è movimento elementare che non interessi, nel sistema totale del corpo, gli organi solidali; non c'è funzione fisiologica che non si ripercuota al di là della periferia.
Con la presenza e con l'azione ci espandiamo intorno a noi, e non possiamo muoverci, respirare, vivere e pensare senza lasciare un segno al di fuori.
L'atmosfera dell'individualità è illimitata.
Di questa apparente necessità si tratta adesso di rendere conto.
La vita individuale ha un'espansione inevitabile.
Quale significato ha questa uscita ovvero questa exergia?
Perché la persona umana supera il suo perimetro?
Questa espressione bruta dell'attività intima, che getta l'opera del nostro pensiero nella promiscuità dei fenomeni meccanici, nasconde forse ancora un'aspirazione segreta e conserva un'impronta della volontà iniziale?
In che modo le azioni si distinguono dai fatti qualsiasi e dai fenomeni comuni ai quali questo termine non sembra si possa applicare?
Sono nuovi problemi da risolvere.
Di essi bisognerà definire il carattere originale, per affrontarli da un punto di vista che non sia ne fisico ne metafisico.
Si tratta della generazione sensibile dell'azione, non del fenomeno.
Prima di qualsiasi riflessione e di qualsiasi fine perseguito intenzionalmente c'è un'espressione immediata e totale dell'operazione attuale, un'azione dell'azione, la quale è come il segno primario ovvero la traccia spontanea.
Essa ne costituisce la produzione iniziale e l'opera prima, origine e tramite di tutte le altre.
I.
È un fatto: noi segniamo perennemente la nostra impronta nel contesto in cui viviamo.
Qualsiasi impressione sulla nostra macchina provoca uno stato di reazione sistematica negli organi.
Siamo come un apparato di vibrazione che risuona al minimo urto, a qualsiasi soffio di vento.
Ma non è un semplice apparecchio di registrazione.
La corrente di forza che ci attraversa esce da noi soltanto se modificata e organizzata.
Di questa trasformazione interna si ha una coscienza più o meno chiara.
Ma questa nuova organizzazione e questo sistema di movimenti costituisce il fatto palese dell'azione.
Pertanto a questo punto è importante studiare non tanto questi stessi movimenti, ma il loro coordinamento e la loro direzione.
E non guardiamo soltanto ai segni più appariscenti del linguaggio dell'azione, né all'espressione spontanea o intenzionale delle emozioni e dei pensieri.
Si tratta di una verità più generale, più precisa e più profonda.
Non c'è stato mentale che non lasci la sua traccia determinata.
I greci distinguevano πράττειν e ποιείν a seconda che l'atto plasmi una materia o conservi un carattere in apparenza del tutto ideale.
Ora anche nella forma più « contemplativa » dell'attività, υεωρείν, c'è una materia plasmata.
E questa materia che modelliamo col pensare e col volere è costituita dalle nostre membra, e tramite queste dal contesto in cui si imprimono.
Ogni atto scaturito dall'organismo umano, anche al di fuori di noi, è un organismo di segni e un simbolo espressivo della vita soggettiva.
Pertanto non soltanto l'uomo in seno al determinismo universale agisce con la sua massa, come tutti i corpi bruti; non soltanto esercita intorno a sé l'influsso di una fonte di calore, e produce interamente l'effetto solito degli agenti naturali che contribuiscono alle funzioni vitali; non soltanto, come certi osservatori hanno creduto di rilevare, consente probabilmente l'irraggiamento di una forza distinta dagli agenti fisici già noti; ma l'azione determinata di ciascun individuo si esprime anche in una maniera determinata.
In altre parole, indipendentemente dai mezzi fisici che servono a rappresentarla ai sensi, indipendentemente dalle opere in cui essa si realizza, l'azione ha la sua espressione e, per così dire, la sua traccia o la sua propria fisionomia.
Così io scrivo queste parole sotto la spinta di una preoccupazione e per effetto di un intento che esse cercano di manifestare.
Ma i segni percepibili e consapevoli non esprimono che una parte dell'attività riflessa, e non formano che una porzione del segno globale e spontaneo.
Oltre i fenomeni che sono gli strumenti della mia decisione, oltre il risultato materiale della mia operazione, in me si produce una sintesi di immagini, di stati interni e di movimenti espressivi, di cui gli atti particolari che la manifestano non sono che una derivazione più o meno diretta e un'applicazione più o meno parziale e artificiale.
A ogni istante il sistema totale che io formo e che costituisce il mio io attuale si esprime nella sua stessa totalità.
In tal modo bisogna stare attenti a non far deviare la ricerca.
Non si tratta affatto di reiterare il problema fisico della produzione e della trasmissione dei segni.
Meno ancora si tratta di affrontare attraverso strade metafisiche il problema della comunicazione delle coscienze tra loro: esso è stato falsato dalla maniera in cui si è posto.
Ritornare ai fenomeni che sono di competenza delle scienze positive significherebbe misconoscere proprio ciò che distingue l'azione e il suo profilo sempre particolare dall'insieme dei fatti e dalla loro generalità sempre astratta; anzi, più ancora, significherebbe immaginare erroneamente che questo contesto, in cui i sensi e le scienze sembrano seguire la nascita e lo sviluppo del segno, abbia una realtà identica alla conoscenza che ne abbiamo; significherebbe dimenticare il carattere fittizio del simbolismo scientifico.
Questa apparizione nel mondo di un atto che vi discende come dall'alto sembra un miracolo stupefacente, perché esso pare esprimere direttamente la ragione e la libertà senza seguire la trafila della natura.
- E tuttavia la segue. Quando l'intenzione, penetrando nelle membra, ha smosso gli organi, è fatta.
Ciò che sembrava essere al di fuori del concatenamento delle forze fisiche è rientrato nell'ingranaggio.
Il corpo e le sue servitù costituiscono l'intermediario di una libertà che vi si naturalizza, per usare con gli incolti che stanno al di fuori il linguaggio degli incolti.
Non c'è dunque da preoccuparsi del modo in cui l'espressione dell'atto si manifesta al di fuori, come se questo fuori avesse una consistenza definitiva, o come se il determinismo scientifico fosse una legge dell'essere, la legge di una fisica metafisica che è un fantasma.
Abbiamo visto come nel sistema dei fenomeni le decisioni soggettive coinvolgono le loro condizioni oggettive.
È questa la cosa importante, perché la scienza delle relazioni positivamente determinate tra i fenomeni stabilisce che questo determinismo apparente è assorbito dalla stessa conoscenza che ne abbiamo.
Il segno sensibile è una conseguenza naturale dell'operazione interna all'agente.
E in ciò che tale espressione ha di sensibile o di materiale non c'è niente più da spiegare.
Ecco quindi che cosa resta da scoprire: il senso di questa continua espansione che coinvolge l'agente nell'apparente necessità di esprimersi; l'ispirazione, il ruolo e lo scopo dei segni anche invisibili che fanno dell'individuo un centro di irraggiamento; la ragione dello stesso bisogno scientifico.
Infatti nell'esplicazione dei nostri atti tutto è connesso.
Bisogna comprendere a quale profonda aspirazione corrisponde, e su quale desiderio segreto si fonda il costituirsi dei segni, del linguaggio e dello stesso simbolismo della scienza positiva.
C'è dunque da costruire una scienza della messa in opera delle conoscenze empiriche e scientifiche.
Non che si tratti di costruire una teoria del lavoro umano e dei progressi della tecnica, come tenta di fare quella che è stata chiamata la prasseologia.
Infatti lo studio delle procedure pratiche o dei metodi scientifici presuppone una ricerca anteriore.
In effetti in base a che cosa l'uomo si inserisce efficacemente nel mondo dei fenomeni?
Tramite che cosa opera la sua azione mediatrice, con l'aiuto dei simboli arbitrariamente costituiti, di cui essa sfrutta l'utilità pratica?
Insomma qual è la ragione profonda di tutta la sua espansione nel mondo che diciamo esterno a noi?
Precisamente per rispondere a tale questione dobbiamo scrutare la natura e la portata del segno inerente a ogni operazione dell'uomo, per quanto intima la ipotizziamo.
Niente nell'espansione della volontà è superfluo e rimane fuori della serie dei mezzi che l'indirizzano ai suoi fini.
Potrebbe sembrare che l'espressione del tutto spontanea ed estremamente impalpabile del lavoro organico e mentale sia trascurabile; affrontarne lo studio non significa forse entrare in un vicolo cieco nel quale solo i curiosi hanno interesse a impegolarsi?
Al contrario, emergerà senza dubbio che questo è il passaggio naturale e necessario attraverso cui il volere si espande nell'universo e tende ad assorbirlo.
II.
Se considerassimo solo l'aspetto materiale del segno che manifesta l'azione, ricadremmo nello studio dei fenomeni che le scienze positive assoggettano alle loro leggi generali e al determinismo meccanico.
Ma ciò che fa sì che l'azione, pur essendo un fatto o un fenomeno, non sia più un fenomeno come quelli, è il valore espressivo presente in essa, è il senso soggettivo, il sistema organizzato al quale deve la sua fisionomia sempre singolare.
Producendosi al di fuori, essa conserva il carattere coerente e ordinato della sintesi individuale di cui è il prolungamento.
In tutto ciò che produciamo persiste un'immagine e quasi un'anima di vita intima e di organizzazione soggettiva.
Proprio in questo senso profondo produrre, τίκτειν, significa generare un essere animato e distaccare da sé una nuova creatura che continua a crescere come un organismo separato.
Pertanto la prima opera dell'uomo è di plasmare se stesso come propria materia, di produrre con quest'operazione una traccia immediata, la quale organizza, di solito a sua insaputa, fuori dell'ambito individuale un'immagine, o meglio un'espressione dell'atto, un'espressione che è il distintivo peculiare di ogni agente e come il suo suggello inimitabile.
Il punto preciso su cui si deve polarizzare lo sforzo di questo nostro studio è ciò che vi è di unico e di incomparabile in ciascun segno.
Oggetto della scienza dell'azione è sempre il singolare e il concreto, ovverossia ciò che ignorano le scienze positive, che necessariamente si limitano all'astratto e al generale.
Un gesto, per esempio, è la costruzione materiale di una sentimento la cui infinita complessità si rivela per gli innumerevoli dettagli di una struttura originale.
Una parola è un pensiero rivestito di suoni ritmati e carichi di sfumature.
Persino un pensiero è un sistema di vibrazioni che, prodotte dal lavoro cerebrale, esibiscono senza dubbio una tipologia altrettanto distintiva quanto un timbro di voce o il profilo di un viso.
Pensiamo al paradosso del fonografo: in ogni suono articolato vi è una qualità del tutto peculiare le cui caratteristiche possono essere addirittura raccolte, conservate e riprodotte.
Così è per tutti i segni sensibili che traducono la presenza e l'azione assolutamente singolare dell'individuo.
Probabilmente occorre cercare in queste tracce infinitesimali dell'atto e del pensiero stesso il segreto della particolare lucidità propria dell'iperestesia ipnotica.
Prodotti in modo inconsapevole, i segni primordiali della vita possono essere registrati e interpretati in maniera inconsapevole; all'incirca come un sordo il quale, pensando ad alta voce senza sentirla, resterebbe sbalordito nel vedere i suoi vicini proni ai suoi desideri e a conoscenza dei suoi sentimenti.
In ogni caso, siano esse percepibili o no, queste tracce hanno la loro fisionomia originale.
E come il cane segue i passi del padrone fiutandoli tra mille altri, come la mano dell'operaio e il tocco dell'artista si discerne con certezza, così in noi non c'è atto che non istituisca, al di fuori di noi, un reticolo sottile e fragile, ma organizzato ed espressivo, un sistema complesso di movimenti e quasi una creatura animata.
Dunque che cosa costituisce l'incomparabile originalità di cia-scun atto nel fatto medesimo che lo manifesta?
È l'unità delle relazioni intelligibili che formano la sintesi ovvero l'organismo stesso del segno.
Non bisogna credere che nel segno non vi sia nulla di più che nella stessa operazione organica, e che esso costituisca semplicemente un'eco affievolita di quest'ultima.
No, nel segno c'è già, per renderlo possibile e per realizzarlo, un contatto dell'agente con l'altro da sé, una nuova sintesi della vita individuale con il contesto in cui si espande.
Pertanto non si parla nel vuoto; e un concorso esterno a parte acti consente la più elementare espansione a parte agentis.
Ogni segno è già un'opera.
Non è semplicemente l'operazione interna, quale quella che si era organizzata nell'intimità del corpo vivente, né un fenomeno qualsiasi, un atto banale di cui basterebbe affidare lo studio alle scienze positive.
È, se così si può dire, un soggetto secondario, che in apparenza si è staccato dal soggetto agente, come un'intenzione che ha preso corpo e vita.
È un'idea reale nella natura, quasi allo stesso titolo degli altri viventi.
Ma prima di studiare questo concorso estraneo e la stessa sintesi che ne risulta, bisogna vedere ancora meglio ciò che apporta l'agente, e qual è l'aspirazione profonda di cui il segno prodotto e l'opera realizzata sono i fini provvisori e i mezzi naturali.
III.
Nel corpo sensibile dell'atto invisibile c'è un'unità ideale.
E questa unità interna del fenomeno espressivo costituisce l'intenzione, ma l'intenzione già in via di realizzazione.
Il segno, che forse si sarebbe tentati di prendere per un'appendice accessoria, soprattutto laddove è involontario e impercettibile, denota un progresso effettivo della volontà.
Esso corrisponde a un bisogno reale.
È conforme e utile all'intenzione primitiva, in quanto l'indirizza al suo compimento.
C'è dunque un rapporto tra l'espressione naturale dell'atto e il fine più o meno intenzionale che esso si propone.
Il linguaggio delle emozioni è l'abbozzo spontaneo dei movimenti atti a soddisfare i bisogni o a schivare i pericoli.
Spesso un gesto disegna l'intero dramma in atto.
Quello che è vero di una mimica, di un gioco di fisionomia, di un intero atteggiamento, lo è ugualmente delle tracce più infime dell'attività operante.
L'espressione immediata della vita inferiore è la materia e quasi la sostanza sensibile dei desideri e degli stati invisibili i quali, raccolti dalla riflessione, ci indurranno a perseguire fini distinti e a produrre opere particolari.
Questa espansione necessaria ha quindi un senso.
E questo senso va individuato nel proposito della volontà in cerca della sua crescita: quindi niente che non rientri nel progetto volontario della nostra vita, niente che non sia funzionale a esso, neppure la manifestazione spontanea delle nostre operazioni intime e l'unità espressiva dell'atto.
In effetti dal momento in cui l'operazione voluta e inaugurata segna la sua impronta nel determinismo dei fatti, dal momento in cui essa tende a determinare secondo il proprio orientamento il sistema globale, la volontà svela a poco a poco il suo potere e la sua ambizione.
Essa comincia a pervadere il mondo con le sue intenzioni così come ne aveva già pervaso l'organismo.
Aspira a diventare come l'anima di tutto ciò che la circonda e di cui si serve.
Essa aspira a guadagnare l'universo e a dominarlo assorbendolo.
Il movimento naturale dell'egoismo non è forse quello di rendersi centro, e di riferire tutto a sé soltanto?
La sua istanza non è quella di possedere tutto l'oggetto esterno come se fosse il complemento e la dépendence del suo capriccio incontrastato?
Pertanto il segno che esprime all'esterno l'operazione motrice è almeno in germe un'invasione, una conquista e un assorbimento dell'universo da parte della volontà.
Come dunque il volere, espandendosi nell'organismo individuale, cercava istintivamente di arricchirsi e di ritrovarsi più perfetto, così penetrando in quello che si chiama il mondo esterno e travasandosi nel segno, assimila a sé nuovi alimenti.
Esso non si spende se non per concentrarsi e per raccogliere di più, come se in fin dei conti l'intero universo gli dovesse diventare immanente, e non essere altro che un prolungamento del corpo del tutto docile al pensiero.
Non è questo, in effetti, il prodigio che i progressi delle scienze permettono di compiere ogni giorno più perfettamente?
Grazie a essi il mondo dei fenomeni è sottomesso all'uomo, è pervaso dallo spirito, è aperto alla circolazione della vita interiore.
Divenuto davvero una dépendence dell'organismo per trasmettere o fissare, senza tema del tempo o dello spazio, la parola e tutti i segni dell'attività umana, questo mondo sembra essere compendiato nell'unità di un pensiero che lo porta in sé e che gli è ovunque presente.
Come in un sistema animato in cui la vita, nonostante la sua indivisibile unità, è dappertutto a un tempo.
In esso tutto comunica, circola, si scambia, senza che neppure si sappia come.
E le forze della natura sembrano diventate spontaneamente un organo della volontà.
Ecco il bello della civiltà scientifica!
Ma il segno primitivo dell'operazione intima, proiettando davanti a noi il nostro proposito spontaneo, lo propone alla conoscenza distinta; ne fa un oggetto parziale offerto alla riflessione.
E come nella deliberazione dell'atto il fine concepito si determina sempre sotto un'angolatura singolare, allo stesso modo nell'esecuzione il fine voluto e realizzato ha sempre un carattere determinato e parziale.
All'origine della riflessione e della decisione libera è la sproporzione delle condizioni elementari e delle esigenze dell'attività volente e voluta che ha fatto nascere l'idea della finalità; qui invece non è più l'idea di un fine ma il fine stesso che la volontà operante continua a perseguire, e comincia ad assimilare a sé realmente quando si manifesta al di fuori.
L'espressione sensibile dell'atto indica quindi una tendenza del volere verso uno scopo ulteriore.
Ecco perché l'azione appare sempre come transitiva, ossia sembra essere in un perpetuo divenire.
Non la si può considerare, se non per astrazione, come assolutamente conclusa.
Infatti le sue conseguenze e i suoi incrementi sono virtualmente illimitati nel tempo e nello spazio.
E ogni fine dopo che è stato raggiunto già non è altro che un gradino per andare al di là.
Se l'individuo, quando agisce, sembra uscire da se stesso, ciò avviene esattamente perché in lui c'è insufficienza, penuria e dislivello tra l'iniziativa e i risultati della sua operazione interna.
Con questa espansione l'agente obbedisce al bisogno creato dallo sviluppo stesso della sua volontà.
Egli cerca la sua realizzazione e la sua equazione.
Questo esodo non prova certo che in lui vi sia del superfluo e una sovrabbondanza.
Al contrario, esso testimonia che la vita individuale non può contrarsi in sé, che anzi le è indispensabile un complemento, che c'è una mancanza di equilibrio tra ciò che è e ciò che vogliamo.
Per questa ragione precisamente la finalità interna non va isolata dalla finalità esterna, perché il sistema dell'individualità e dell'operazione organica che la manifesta non è un circuito chiuso.
Questa sintesi della vita non si preserva che protraendosi a un termine esterno di espansione e organizzando quest'ultimo secondo quella sintesi, pur organizzandosi secondo quel termine.
L'azione non è azione se non in quanto costituisce un organismo, facendo concorrere a un fine unico una diversità di fenomeni.
Quanto più questa finalità risulta realizzata nel complesso in modo da esserne come l'anima, più l'azione è palese e chiara, più l'atto è atto.
È così che una bella macchina o una statua sono idee reali, intenzioni attive a loro volta: immagine sviluppata di questa produzione pristina che incarna l'atto nel segno naturale.
Pertanto, per ritrovare l'accordo perennemente rotto tra il realizzato e il voluto, dobbiamo renderci causa efficiente di una causa finale e attirarla a noi.
Dunque come nel nostro piccolo mondo inferiore avevamo trovato potenze favorevoli o ribelli alla nostra operazione, occorre che nel mondo esteriore esistano forze, dapprima indubbiamente estranee o ostili ai nostri propositi, ma forze che, dotate di energia propria, siano capaci di convertirsi all'iniziativa della volontà per sottomettersi a essa come le membra docili di uno stesso organismo.
Volere, agire, operare, produrre: in tal modo siamo trascinati a poco a poco verso sviluppi forse imprevisti, ma sicuramente conformi all'aspirazione profonda del volere originario.
L'espressione dell'atto, per quanto all'inizio sia impercettibile, è il germe di una crescita smisurata.
Questo segno primario della vita, che si produce con la scioltezza infallibile di una spontaneità inconsapevole, diventa il principio dei segni più o meno naturali o voluti, delle opere più o meno artificiali e difficoltose che svilupperanno il pensiero e il regno dell'uomo.
Ma ormai, anche in ciò che del resto sembra provenire da noi soltanto, bisognerà avere sempre in mente questa iniziativa che domina tutti gli incrementi futuri.
Il duplice movimento, centripeto e centrifugo, di cui è composto il ritmo dell'espansione vitale, è ugualmente compreso in uno stesso disegno di conquista.
Quindi causa efficiente e causa finale sono, con un progresso alternativo, le forme mobili di una stessa tendenza della volontà verso una nuova estensione del suo regno.
Ma come attirare le forze estranee il cui concorso sembra indispensabile per qualsiasi produzione e per il più rudimentale dei segni naturali?
Già abbiamo dovuto studiare le lotte intestine dell'operazione volontaria contro le resistenze organiche.
E abbiamo presente con quale difficoltà, ma anche con quali risultati, la volontà armonizza le forze sparse o ribelli per farle rientrare nella composizione dell'individuo.
In questa sede l'ostacolo sembra ancora più insuperabile, perché l'azione non scuote più soltanto l'organismo nelle sue profondità, ma ha bisogno di interessare alla sua opera l'universo circostante.
Indubbiamente con gli insegnamenti dell'esperienza e delle scienze essa riesce a dominare queste potenze misteriose di cui è circondata.
Ma precisamente di questi successi occorre rendere conto.
A quali condizioni è possibile questa riuscita, e che cosa presuppone al tempo stesso nell'agente che la provoca e nell'agito che la consente e l'asseconda?
- Non vi sono forse, intorno a noi come in noi, dei soggetti virtualmente conformi ai nostri disegni e accessibili all'influsso dei segni naturali dei nostri atti?
È quanto si mostrerà nel seguito del nostro discorso.
Pertanto il segno merita doppiamente questo nome.
Anzitutto manifesta un proposito di crescita sotto il sistema dei fenomeni organizzati che lo costituisce.
In secondo luogo per avere efficacia, persino per riuscire a costituirsi, ha bisogno di essere ricevuto, compreso, espresso dal contesto in cui appare.
L'azione si produce nell'atmosfera in cui è avvolta solo interessando alla sua apparizione anche ciò che ignora e ciò che non coglie ancora.
Collocandosi dal punto di vista dell'individuo, sembra che la sua espansione spontanea finisca qui, perché è a partire di qui che noi, risalendo dai fenomeni bruti di cui è rivestito il segno fino alle forze capaci di restituircene il significato, vedremo a poco a poco strumenti ausiliari mettersi a disposizione della nostra azione iniziale.
Ma questa stessa collaborazione, questo concorso attivo di alleati estranei e in apparenza indipendenti, rimane inclusa nel senso originario del segno.
Ne abbiamo abbastanza per far comprendere la pretesa ideale della volontà sul mondo intero.
Ma rimane da indagare come essa si realizza, ottenendo una cooperazione effettiva.
Poche verità sono meno rilevate e altrettanto degne di attenzione quanto quelle che seguono.
1) Ogni azione interessa necessariamente il contesto estraneo in cui si esprime, e questa stessa espressione è possibile solo per un consenso immediato dell'altro dall'agente.
2) Questa traccia naturale dell'operazione è un sistema intelligibile di fenomeni in cui si imprime l'intenzione soggettiva e che ne costituisce un primo incremento; essa si rapporta alla causa efficiente, di cui è l'espressione, meno che alla causa finale, verso la quale già costituisce un avvio.
3) Pertanto ogni produzione è non solo un assetto di fatti sensibili, ma un concorso e una sintesi di operazioni emanate da agenti estranei.
E tuttavia queste operazioni, le cui origini sembrano indipendenti o addirittura divergenti, sono inglobate in un medesimo volere.
Quindi l'intenzione in via di realizzazione discende sul terreno dei fenomeni bruti solo per trovarvi e solo trovandovi già un'eco, una complicità, una cooperazione.
È un fatto che l'azione si esprime per forza di cose con un segno, e che si colloca nel determinismo totale.
Abbiamo dovuto sforzarci di comprendere questo fatto; e che significa comprenderlo se non ricondurlo allo sviluppo normale e conseguente della volontà, mostrando che sotto questa costrizione apparente si cela il germe di ogni fioritura futura?
* * *
Nel capitolo che segue ci tocca studiare la risposta provocata dall'agente, il concorso bruto e forzato che completa necessariamente la sua iniziativa, in una parola la coazione, nel senso sia etimologico sia corrente del termine.
Dunque, dopo aver studiato ciò che si è chiamato l'esergia, bisogna analizzare l'allergia, se cosi si può dire, « l'azione degli altri », azione che però rimane interamente sospesa all'iniziativa dell'agente.
La conclusione di questo studio sarà quella di esibire la volontà sempre presente nell'opera, che tuttavia sembra non abbia prodotto da sola, sempre bisognosa di un'estensione più ampia, sempre in cerca di una collaborazione più intima e più docile.
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