Gli stati di vita del cristiano |
Al riconoscimento della chiamata fa seguito o l'atto di accettazione o l'atto di rigetto.
Un terzo non si dà, perché anche la non accettazione nel senso di un semplice lasciar stare o di un continuo rimandare la scelta ad un certo punto viene ad equivalere ad un rifiuto.
Così è perché la parola di Dio in generale, e specialmente la parola che si rivolge personalmente al singolo nell'atto d'elezione, possiede il carattere di richiamo, di interpellanza, che richiede essenzialmente una risposta e porta con sé la grazia e la forza della risposta stessa.
L'accettazione della chiamata in uno stato di vita si inserisce perciò nella legge secondo cui ogni grazia divina deve venire accettata dalla libertà dell'uomo, così come la grazia della giustificazione deve ricevere l'assenso da parte dell'uomo per santificarlo intimamente.
Anche qui l'atto centrale in cui l'uomo dona il suo assenso alla grazia di Dio che lo libera dal peccato e lo santifica deve essere preceduto da un processo preparatorio forse alquanto lungo, in cui Dio agisce nella conoscenza e nella volontà dell'uomo.
Gradualmente Dio si fa strada nell'anima, la illumina, la rafforza con grazie ausiliatrici.
La cooperazione dell'anima in questo tempo consiste soprattutto nel non contrapporre a questo agire di Dio alcun "no" di chiusura in sé.
Essa tende l'orecchio alla Parola, si lascia da essa rischiarare, riscaldare, "introdurre in tutta la verità" ( Gv 16,13 ), finché non è matura per proferire insieme col Dio generante l'unico indivisibile sì che esprime il suo attivo prender parte al sì della vita eterna.
"Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi invece non vuole ascoltare il Figlio non vedrà la vita" ( Gv 3,36 ).
"In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna" ( Gv 6,47 ).
Così l'annuncio della verità della vita eterna trapassa immediatamente nell'esigenza di una fede che risponda col suo sì: "Chi crede in me vivrà ( … ) e non morrà in eterno.
Credi tu questo?" ( Gv 11,26 ).
L'atto della prima giustificazione, che dona la fede viva, rimane il modello per tutti gli atti del continuo dialogo fra Dio e l'uomo, che è solo la sempre più viva unione della parola di Dio che sceglie l'uomo e della risposta dell'uomo che sceglie Dio.
Di conseguenza esso dà la sua intima forma anche a quell'estremo atto di scelta che si compie alla luce della grazia santificante: l'atto della scelta della vocazione, nel quale al cristiano viene mostrata e ( se egli vuole ) donata la forma speciale del suo stare con Cristo.
E poiché ogni cristiano ha da stare in un determinato stato di vita, è logico che egli deve essere stato nella situazione della scelta, non solo in quella prima scelta della giustificazione, in cui egli si è deciso per lo stare nella Chiesa in generale, ma anche espressamente nella seconda scelta che specifica gli stati di vita cristiani, grazie alla quale gli viene assegnato un posto duraturo all'interno della Chiesa.
Egli deve quindi esaminarsi coscientemente se gli giunge una speciale chiamata di Dio oppure no, deve perseverare nella "indifferenza" dell'ascolto, finché non cresce in lui una chiarezza su ciò.
L'aver dimenticato questa esigenza riguardante tutti i cristiani è certo una delle cause principali per cui oggi una così minima parte delle chiamate di Dio viene udita e accolta.
La maggior parte dei cristiani - non di rado rafforzata dall'opinione corrente - crede che una chiamata selezionante non entri per essi affatto in questione; se essa entrasse in questione, Dio si sarebbe già dato a riconoscere da lungo tempo in modo inequivocabile.
A rigor di termini uno dovrebbe intraprendere la strada dello stato laicale solo se è stato, cosciente e pronto, davanti all'aut-aut delle forme di vita ecclesiali.
Ed egli dovrebbe essere consapevole che la vita cristiana nel mondo per lo più e più difficile di una vita nei voti, al punto che Ignazio enuncia questa regola per colui che negli esercizi spirituali è posto davanti alla scelta: "Egli deve essere pienamente indifferente, pronto a percorrere tanto la via di consigli quanto quella dei comandamenti, anzi deve, per quanto lo riguarda, inclinare di più ai consigli, se questo è il servizio migliore a Dio.
C'è infatti bisogno di segni più chiari per stabilire che uno in base alla volontà di Dio deve rimanere nello stato dei comandamenti, piuttosto che egli percorra la via dei consigli, poiché il Signore sprona così apertamente ai consigli, mentre per i comandamenti mette in luce i più grandi pericoli".
Corrispondentemente all'atto della giustificazione si può distinguere nell'atto della scelta della vocazione fra il tempo fino all'atto, il tempo dell'atto stesso e il tempo dopo l'atto.
Questo decorso non è da intendersi come "perfezionamento", quasi che l'uomo che non ha ancora compiuto la scelta fosse più imperfetto di colui che la sta compiendo o di uno che vive nella scelta già compiuta.
Maria era perfetta anche prima dell'incontro con l'angelo, perché seguiva già allora la volontà di Dio con cuore altrettanto indiviso come più tardi.
Le vie di Dio con l'uomo costituiscono una storia; in essa è impossibile misurare i periodi in base ad un attimo atemporale o sovratemporale.
È sufficiente dare ad ogni attimo la pienezza del suo significato; il che significa qui: in ogni momento riconoscere e fare per quanto è possibile la volontà di Dio.
Il tempo prima della scelta è, visto a partire da questa, preparazione.
Come tutto l'Antico Testamento era preparazione ed educazione in vista di Cristo ( Gal 3,24 ) e come tale è indispensabile per la figura di Cristo e la comprensione del Nuovo Testamento, così il tempo d'attesa della giovinezza è indispensabile, come allenamento del cristiano al suo decisivo incontro col Signore.
E come la perfezione dei santi dell'Antico Testamento consisteva in questo, che essi andavano incontro ad una promessa di redenzione futura del tutto invisibile, afferrata solo nella fede, e non dettero alla loro vita nessun altro contenuto all'infuori di questa promessa ( Eb 11 ), così la vita fino al momento della scelta dovrebbe venir configurata nella fede nel futuro incontro di Dio.
Ciò significa in primo luogo che fino ad allora non può venir posto nessuno stato di fatto che in qualche modo anticipi la libera decisione di Dio.
Un simile stato di fatto sarebbe non soltanto il consapevole rifiuto anticipato di una possibile chiamata di Dio allo stato sacerdotale o dei consigli, ma anche la creazione di ostacoli, che renderebbe impossibile l'entrata in questi stati di vita.
Tanto più quell'adolescente che intuisce oscuramente e come in sogno che egli fa parte forse degli eletti, e che quindi deve perseverare con raddoppiata vigilanza incontro alla chiamata, dovrebbe conformare e salvaguardare la sua vita in modo tale che Dio possa ogni momento disporre di essa.
Egli deve soprattutto educare in sé e mantenere desta la capacità di osservazione spirituale, unita ad una brama di conoscere ogni cosa - tanto mondana quanto spirituale - che potrebbe divenire importante per il suo destino, e ad una generosità che si tiene pronta per ogni avventura della vita.
Tutto ciò che si smussa prima del tempo, ciò che insegna ad accontentarsi di facili godimenti dei sensi, egli deve evitarlo e lo farà certo istintivamente, anche se forse egli deve combattere tenacemente con tentazioni sessuali.
"La stupidità, nella misura in cui essa è peccato", dice Tommaso, "ha origine dal fatto che la sensibilità per ciò che è spirituale è smussata, e diviene di conseguenza inadatta a giudicare ciò che è spirituale.
Nello spirito, però, la sensibilità terrena dell'uomo viene soffocata dall'incontinenza, che concerne quelle bramosie più forti, dalle quali l'anima viene per lo più fatta prigioniera" ( S Th li il, q 46 a 3c ).
Questo è detto qui solo per la preparazione alla scelta della vocazione, e non in riguardo alla prassi della direzione spirituale all'interno di seminari e noviziati.
Il tempo dell'attesa deve essere passato in quella pazienza descritta dal Vangelo: in una pazienza che è il contrario dell'inattività ( anche se l'attività esteriore è rinviata al futuro ), che significa piuttosto allenamento alla crescente disponibilità, all'attivo superamento di tutti gli ostacoli dell'indifferenza, all'attivo andare incontro alla venuta del Signore.
Chi aspetta dormendo e spera in un miracolo che lo svegli, nella maggioranza dei casi persevererà invano.
Nella preghiera e nella continenza, con le fiaccole accese in mano e i fianchi cinti, si guarda incontro al giorno del Signore ( Lc 12,35 ).
E come nell'atto della giustificazione vale qui lo stesso principio: quanto maggiormente precede un rischiaramento preparatorio e una purificazione dell'anima, tanto più l'io coi suoi fini e desideri passa in secondo piano e la sola attenzione per Dio riempie lo spirito.
Sarebbe perciò sbagliato dare inizio alla scelta della vocazione come se si provassero possibili forme di vita come vestiti, per vedere quale "mi sta meglio", mi "soddisfa" di più e "mi va a genio".
Dietro a questo ci sta spesso una vanità giovanile, che vorrebbe giocare un ruolo nella vita e mettersi dovutamente in luce.
Alla volontà di Dio ci si avvicina il meglio possibile eliminando tutti i punti di vista egoistici.
Questo avvicinamento rimane per lo più graduale: ogni piccola obbedienza a Dio, anche se apparentemente non è in connessione alcuna con la scelta della vocazione, è un passo verso il grande e decisivo atto che riesce solo se si ha già imparato a obbedire.
Se colui che obbedisce è uno che sta andando incontro all'elezione speciale, Dio non mancherà di manifestarglisi: egli mostrerà sempre di nuovo che la sua corrispondenza viene premiata con una crescita di luce nel suo intimo.
L'atto di scelta stesso può essere vissuto come l'attimo straordinario dell'identità tra scelta divina e umana, come un "kairòs" senza pari, la cui intensità di luce non viene mai raggiunta nuovamente ne prima ne dopo.
Prima la vita era come quella dei discepoli, che provenivano dall'Antico Testamento, una vita di attesa priva di luce, di desiderio nostalgico e sotto molti aspetti anche di fallimento.
Dopo sarà una vita di missione, dove di nuovo lo sforzo umano non corrisponderà mai pienamente all'assolutezza e ampiezza dell'esigenza, una vita di continuo tentativo di adempiere decentemente al compito ricevuto.
In mezzo a questi due ci sta l'indivisibile punto dell'irruzione dell'idea lampo, dove il cercare è diventato un trovare, e il trovare non è ancora diventato di nuovo "infinito cercare" nell'immensità dell'amore ( Agostino, Traci, in Joh. 63,1 ).
"Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth" ( Gv 1,45 ).
Questa grazia è riservata alla vocazione qualitativa; essa possiede però analogie nella vita normale dei cristiani: in quelle ore dell'incontro con Dio, che richiedono un assenso di fedeltà e caratterizzano e consacrano una vita per anni, se non per sempre.
Ore ad esempio anche di conversione negli anni della maturità, che raccolgono in unità l'atto della giustificazione nel Battesimo e della scelta e vocazione personale.
Ore della decisione, che aprono una prospettiva, che a tutto un passato di inutilità e di colpa possono imprimere, grazie alla forza dell'amore di Dio, un senso che si ripercuoterà nel futuro in un'insperata fecondità.
Non è detto però che ogni storia di vocazione debba attendere un'ora così marcata.
Può anche essere che il tempo della preparazione sfoci quasi senza che si noti in quello del compimento.
Allora la luce del riconoscimento cresce sin dalla prima infanzia insieme con la luce dell'assenso; la certezza della vocazione, magari ad un determinato ordine religioso, era talmente già presente da sempre, che essa matura ( come per Teresa di Lisieux ) soltanto in corrispondenza allo sviluppo spirituale del fanciullo, ma non è che propriamente diventi più chiara.
L'obbedienza del fanciullo si trasforma come da sé in quella di un adulto.
Una simile elezione è come racchiusa da sempre nell'eterno atto d'elezione di Dio, e il sì dell'uomo è come già pronunciato "da prima della fondazione del mondo" ( Ef 1,4 ), in modo tale che esso, quando con la grazia del Battesimo entra nell'anima, prende possesso di essa e comincia in essa a germinare.
Tra questa e la prima forma di scelta ci sono ancora una volta delle forme di passaggio, che possono assumere ad esempio la forma di una scelta graduale o anche a scosse.
Anche se il chiamato deve aspettare nell'indifferenza l'ora della chiamata decisiva, è tuttavia anche vero che con la sua risposta egli è sempre più lento e più tardo che non Dio con la sua parola e la sua domanda.
È perciò possibile che da parte di Dio l'ora della scelta sia già scoccata, mentre l'uomo sta ancora ad aspettarla.
Ma poi anche Dio si adegua alle forze ecclesiali che forniscono la loro cooperazione e il loro contributo, e così diventa spiegabile perché Ignazio possa considerare con tanta certezza il tempo degli Esercizi, il cui senso principale è la scelta dello stato di vita, come tempo della decisione.
Egli aspetta addirittura che l'uomo, . se la sua scelta dello stato è in qualche modo già avvenuta ed egli viene trasferito grazie agli esercizi nella piena indifferenza e in essa diretto da una retta guida ecclesiale, aspetta sino a che egli non sia in grado di udire la voce divina che lo elegge e di corrispondere ad essa con una specie di infallibilità per grazia.
Certo "l'esperienza mostra anche che coloro che negli Esercizi hanno subito conflitti, più tardi, al di fuori degli Esercizi, spesso riconobbero la verità con maggiore facilità, e cioè proprio a partire dalle basi che essi si erano fatti negli Esercizi stessi" ( Dir. in Eserc. ).
Ma questa glossa tardiva si occupa, nel senso di Ignazio, del caso eccezionale.
Egli stesso è convinto che Dio non si nega a colui che bussa, perché già da molto tempo Egli sta bussando, prima ancora che l'uomo oda e gli apra la porta ( Ap 3,20 ).
La mozione dei "diversi spiriti" che egli presuppone come una cosa che necessariamente deve verificarsi in ognuno che fa gli Esercizi con il giusto impegno ( Eserc. Nr 6-10 ), e l'infallibile preparazione della scelta che Dio opera, e per così dire l'intima esercitazione dell'anima al carattere di avvenimento dell'atto di scelta.
Come il direttore spirituale debba in ciò comportarsi viene fissato con la più grande circospezione : se nel tempo precedente questi poteva, con la volontà di Dio che a poco a poco si chiariva, urgere incontro alla scelta che doveva aver luogo, durante la scelta stessa egli non può più giocare alcun ruolo decisivo, bensì deve in piena oggettività "restando in equilibrio come l'ago di una bilancia lasciare che il Creatore agisca liberamente con la sua creatura, e la creatura col suo Creatore e Signore" ( Eserc. Nr 15 ), deve persino espressamente "ammonire prevenendo a non fare alcuna promessa o voto in modo sconsiderato e precipitoso" ( ibid. 14 ).
L'immediatezza fra Dio e l'anima nell'atto della scelta si distacca dal tempo della mediazione ecclesiale che sta prima e dopo; al mistero dell'unità immediata di parola e risposta le cause seconde assistono solamente.
In questo divenir trasparente di tutta la dimensione ministeriale della Chiesa nell'immediatezza dell'atto di scelta gli Esercizi stanno faccia a faccia con la mistica, la cui immediatezza viene anche espressamente presa in considerazione ( Nr 329, 336 ), ma in maniera tale che della mistica immediatezza dell'incontro reciproco tra esperienza ( o visione ) divina e umana e tra volontà divina e umana solo il secondo momento viene presentato ad ogni cristiano chiamato come paradigma universalmente obbligante.
Mentre l'immediatezza dell'esperienza o visione rientra nelle "gratiae gratis datae" e perciò ne deve venir cercata ne può esser praticata, esercitata, l'immediatezza riguardante la volontà è raggiungibile con la grazia di Dio da parte di ogni credente, in quanto in questa estasi della volontà non si richiede nient'altro che l'offerta in sacrificio della propria autodeterminazione, all'interno della volontà di Dio che chiama ed elegge ( Nr 234 ).
D'altra parte questa immediatezza del singolo credente nei confronti della volontà di Dio non è una cosa che superi o addirittura abbandoni lo spazio ecclesiale.
Il tirarsi da parte che viene raccomandato alla guida ecclesiastica non intende significare un lasciare andare l'anima sinora guidata, in direzione di un incontro con Dio puramente individualistico.
Da ciò che abbiamo detto, in base al quale ogni scelta ecclesiale conduce ad una missione ecclesiale, risulta evidente esattamente il contrario.
Se qui la Chiesa "petrina" ha prestato il suo servizio e si ritira in disparte, questo è solo per dar spazio alla più profonda sorgente della Chiesa, quella mariana, che la circonda del tutto.
In nessun luogo, infatti, un credente viene più da vicino configurato a questo atto originario ecclesiale, al sì di Maria, che rende possibile l'incarnazione di "capo" e "corpo", che nella risposta ad una vocazione che richiede la vita intera.
Dio osa concentrare nell'ora della scelta tutto il senso di una vita eletta.
Non sarebbe degno di lui se egli volesse inculcare la sua scelta all'eletto o lanciargliela dietro dopo che questi già l'ha rifiutata.
L'incontro, come quello tra due amanti che si scelgono per la vita intera, deve essere fino in fondo libero e trasparente.
Questo è l'onore che egli tributa all'uomo: il fatto che egli lo prende pienamente come partner.
Egli non si servirà dell'ora decisiva per sorprenderlo, così come le favorevoli o contrarie circostanze fortuite di un esame possono causare conseguenze incalcolabili per la vita e lo stato di un uomo.
Lo "scolaro di Dio" ( Gv 6,45 ) nel suo esame finale sarà piuttosto già noto al suo Maestro; il responso che Egli impartirà può essere determinato insieme da un rapporto che dura da anni.
Dio non pone nessuno davanti ad una scelta di vita impreparato: se lo scolaro fallisce, questo è solo perché egli già da tempo stava rispondendo di no; se egli supera l'esame, questo è solo perché già da lungo tempo ha imparato a dire di sì.
"Guardatevi perciò di non rifiutare Colui che parla; perché se già quelli non trovarono scampo per aver rifiutato colui che promulgava decreti sulla terra, molto meno lo troveremo noi, se volteremo le spalle a Colui che parla dai cieli".
Una volta avvenuta l'accettazione della scelta, l'attimo del sì diventa punto di partenza per tutto ciò che segue.
La missione qui ricevuta è per il futuro il contenuto dell'esistenza.
D'ora in poi il cristiano è non solo l'eletto, ma anche il chiamato; da ciò egli deve attingere tutte le energie per l'adempimento del suo incarico.
Finché egli vive di ciò, è al riparo da ogni pusillanimità e timidezza come da ogni presunzione, poiché "da noi stessi, con le nostre forze, siamo incapaci anche solo di formulare un pensiero; tutte le nostre capacità derivano da Dio" ( 2 Cor 3,5 ).
"Ma per la Sua grazia io sono quello che sono, e la Sua grazia in me non è stata vana.
Io ho lavorato più di tutti gli altri, non io però, ma la grazia di Dio che è con me" ( 1 Cor 15,10 ).
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