Summa Teologica - I |
In 3 Sent., d. 14, q. 1, a. 1, sol. 4, 5; De Verit., q. 8, a. 5
Pare che le cose viste in Dio da coloro che contemplano l'essenza divina siano viste mediante alcune immagini.
1. Ogni conoscenza avviene perché il conoscente si assimila all'oggetto conosciuto: infatti l'intelletto in atto d'intendere diventa la cosa attualmente pensata, e il senso in atto di sentire diventa l'oggetto sensibile in atto, in quanto ambedue sono informati dall'immagine dell'oggetto, come la pupilla dall'immagine del colore.
Se dunque l'intelletto di chi vede Dio per essenza conosce in Dio qualche creatura, è necessario che sia informato dalla sua immagine.
2. Noi conserviamo nella memoria le cose che abbiamo viste in precedenza.
Ora S. Paolo, che rapito in estasi contemplò l'essenza divina, come dice S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12, cc. 28, 34 ], cessato che ebbe di vederla si ricordò di molte cose viste in quell'estasi: tanto che egli stesso dice che « udì parole indicibili, che non è lecito ad alcuno proferire » [ 2 Cor 12,4 ].
È quindi necessario dire che alcune immagini delle cose da lui ricordate gli erano rimaste nella mente.
E per la stessa ragione, al momento della visione dell'essenza di Dio, egli doveva avere alcune immagini o specie delle cose che in essa vedeva.
Con una stessa immagine visiva si vede lo specchio e le cose che vi si riflettono.
Ma tutte le cose sono viste in Dio precisamente come in uno specchio intellettuale.
Se dunque lo stesso Dio non è visto per mezzo di un'immagine, ma attraverso la sua essenza, neppure le cose che sono viste in lui sono viste per mezzo di immagini o di specie.
Coloro che vedono Dio per essenza vedono ciò che contemplano nell'essenza di Dio non mediante alcune specie, ma mediante la stessa essenza divina unita al loro intelletto.
Infatti ogni cosa è conosciuta in quanto una sua immagine è nel conoscente.
Ma ciò avviene in due maniere differenti.
Siccome infatti due cose simili a una terza sono simili tra loro, in due modi la potenza conoscitiva può assimilarsi a un oggetto conoscibile.
In un primo modo per se stessa, quando è informata direttamente dall'immagine, e allora l'oggetto è conosciuto in se stesso.
In un secondo modo quando è informata dall'immagine di un'altra cosa che assomiglia a tale oggetto: e allora non si dice che l'oggetto è conosciuto in se medesimo, ma in qualcos'altro che gli assomiglia.
Altra infatti è la conoscenza di un uomo visto in se stesso e altra quella che se ne ha vedendolo in un ritratto.
Così, dunque, conoscere le cose attraverso le loro immagini presenti nel soggetto conoscente è conoscere le cose in se stesse, cioè nella loro propria natura; conoscerle invece in quanto le loro immagini preesistono in Dio, è un vederle in Dio.
E questi due modi di conoscere sono differenti.
Quindi, per quanto riguarda quel modo di conoscere che permette a coloro che vedono Dio per essenza di vedere tutto in Dio stesso, le cose non sono viste mediante immagini estranee, ma mediante la sola essenza divina presente all'intelletto, mediante la quale si vede anche Dio.
1. L'intelligenza di chi vede Dio si assimila alle cose viste in Dio in quanto si unisce all'essenza divina, nella quale preesistono le immagini rappresentative di tutte le cose.
2. Vi sono alcune potenze conoscitive che possono formarne delle altre mediante immagini anteriormente concepite.
Così la fantasia dalle immagini del monte e dell'oro si forma l'immagine di un monte d'oro; e l'intelletto dalle due idee di genere e di differenza si forma l'idea di specie.
E similmente dalla rappresentazione di un'immagine noi possiamo formarci la rappresentazione della cosa di cui essa è immagine.
E così S. Paolo, o chiunque altro che veda Dio, dalla stessa visione dell'essenza divina può formare in se stesso le immagini delle cose che sono viste nell'essenza divina: e queste rimasero in S. Paolo anche dopo che cessò di vedere l'essenza di Dio.
Tuttavia questa visione con cui si vedono le cose mediante tali specie così formate è diversa dalla visione con cui le cose sono viste in Dio.
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