Summa Teologica - I

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Articolo 2 - Se la verità sia soltanto nell'intelletto che unisce o che separa dei concetti

In 1 Sent., d. 19, q. 5, a. 1, ad 7; C. G., I, c. 59; De Verit., q. 1, aa. 3, 9; In 1 Periherm., lect. 3; In 6 Metaph., lect. 4; In 3 De anima, lect. 11

Pare che la verità sia soltanto nell'intelletto che unisce o che separa [ dei concetti ].

Infatti:

1. Dice il Filosofo [ De anima 3,6 ] che come i sensi nel percepire il sensibile proprio non si ingannano mai, così anche l'intelletto quando apprende la quiddità [ delle cose ].

Ma la composizione e la divisione non si verificano nel senso, e neppure nell'intelletto che conosce la quiddità.

Quindi la verità non è solo nell'atto del comporre e del dividere che fa l'intelletto.

2. Isacco Israeli [ De defin. ] dice che la verità è l'adeguazione tra la cosa e l'intelletto.

Ma come il giudizio intellettuale si può adeguare alle cose, così anche l'intellezione dei concetti semplici, e anche il senso che percepisce la cosa così come è.

Quindi la verità non è esclusivamente nell'operazione dell'intelletto che compone e divide.

In contrario:

Secondo il Filosofo [ Met. 6,4 ], finché si tratta di oggetti semplici e di quiddità, non si ha il vero nell'intelligenza, e neppure nelle cose.

Dimostrazione:

Il vero, come si è già dimostrato [ a. 1 ], si trova formalmente nell'intelletto.

E siccome ogni cosa è vera secondo che ha la forma conveniente alla propria natura, l'intelletto, considerato nell'atto del conoscere, sarà vero in quanto ha in sé l'immagine della cosa conosciuta, poiché tale immagine è la sua forma nell'atto del conoscere.

Per questo motivo la verità si definisce in base alla conformità dell'intelletto alla realtà, e quindi conoscere tale conformità è conoscere la verità.

Tale conformità invece il senso non la conosce in alcun modo: per quanto infatti l'occhio abbia in sé l'immagine dell'oggetto visibile, pure non afferra il rapporto che corre tra la cosa vista e ciò che esso ne coglie.

L'intelletto invece può conoscere la propria conformità con la cosa conosciuta.

Tuttavia non la afferra quando percepisce la quiddità di una cosa; ma quando giudica che la cosa in se stessa è conforme alla sua apprensione, è allora che comincia a conoscere e a dire il vero.

E fa questo nell'atto di comporre e di dividere: infatti in ogni proposizione l'intelletto applica o esclude, in una cosa espressa dal soggetto, una certa forma espressa dal predicato.

Quindi è giusto affermare che il senso relativamente a una data cosa è vero, o che è vero l'intelletto nel conoscere la quiddità, ma non si può dire che conosca o affermi il vero.

E la stessa cosa vale per le espressioni verbali complesse o semplici.

La verità dunque può anche trovarsi nei sensi o nell'intelletto che conosce la quiddità come si trova in una cosa vera, ma non quale oggetto conosciuto nel soggetto conoscente, come invece indica il termine vero: la perfezione dell'intelletto, infatti, è il vero conosciuto.

Per conseguenza, a parlare propriamente, la verità è nell'intelletto che compone o divide [ che giudica ]; non invece nel senso, e neppure nell'intelletto che percepisce la quiddità.

E così è chiara la risposta alle obiezioni.

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