Summa Teologica - I

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Articolo 1 - Se in Dio vi sia la giustizia

In 4 Sent., d. 46, q. 1, a. 1, sol. 1; C. G., I, c. 93; In Div. Nom., c. 8, lect. 4

Pare che in Dio non vi sia la giustizia.

Infatti:

1. La giustizia fa parte [ delle virtù cardinali ], insieme con la temperanza.

Ma la temperanza non si trova in Dio.

Quindi neppure la giustizia.

2. Chiunque opera ogni cosa secondo l'arbitrio della sua volontà non opera secondo giustizia.

Ma al dire dell'Apostolo [ Ef 1,11 ] Dio « tutto opera secondo il consiglio della propria volontà ».

Quindi non si deve attribuire a Dio la giustizia.

3. L'atto della giustizia consiste nel dare ciò che è dovuto.

Ma Dio non è debitore a nessuno.

Quindi a Dio non si addice la giustizia.

4. Tutto ciò che è in Dio è la sua stessa essenza.

Ora, [ tale identificazione ] non conviene alla giustizia: Boezio [ De Hebdom. ] infatti afferma che « mentre il bene dice rapporto all'essenza, il giusto riguarda l'operazione ».

Quindi la giustizia non conviene a Dio.

In contrario:

È detto nei Salmi [ Sal 11,7 ]: « Giusto è il Signore, ama le cose giuste ».

Dimostrazione:

Vi sono due specie di giustizia.

La prima consiste nel mutuo dare e ricevere: come quella che si ha nella compra-vendita e negli altri scambi o commutazioni del genere.

E questa dal Filosofo [ Ethic. 5,4 ] è chiamata giustizia commutativa, cioè regolatrice degli scambi o commutazioni.

Tale giustizia non può essere attribuita a Dio poiché, come dice l'Apostolo [ Rm 11,35 ]: « Chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio? ».

L'altra [ specie di giustizia ] consiste nel distribuire [ o amministrare ], e prende il nome di giustizia distributiva: a norma di essa chi governa o amministra dà a ciascuno secondo il merito.

Ora, come il buon ordine che regna in una famiglia o in qualsiasi moltitudine organizzata dimostra che in colui che governa c'è tale specie di giustizia, così l'ordine dell'universo, che appare tanto nella natura quanto negli esseri dotati di volontà, dimostra la giustizia di Dio.

Perciò Dionigi [ De div. nom. 8 ] dice: « Bisogna scorgere la vera giustizia di Dio nel fatto che egli dà a tutti ciò che loro conviene secondo il grado di ciascuno degli esseri esistenti, e che conserva la natura di ogni essere nel proprio ordine e nel proprio valore ».

Analisi delle obiezioni:

1. Alcune tra le virtù morali hanno per oggetto le passioni: come la temperanza ha per oggetto la concupiscenza, la fortezza il timore e l'audacia, la mansuetudine l'ira.

E tali virtù non si possono attribuire a Dio altro che per metafora, poiché in Dio non vi sono né le passioni, come si è detto sopra [ q. 20, a. 1, ad 1 ], né l'appetito sensitivo, nel quale risiedono tali virtù, come dice il Filosofo [ Ethic. 3,10 ].

Vi sono invece altre virtù morali, come la giustizia, la liberalità e la magnificenza, che hanno per oggetto le operazioni, e cioè le donazioni, le spese e simili: ed esse non risiedono nella parte sensitiva, ma nella volontà.

Quindi nulla impedisce che tali virtù vengano attribuite a Dio, non certo per delle azioni di carattere civile, ma per delle azioni confacenti a Dio.

Sarebbe infatti ridicolo, come osserva il Filosofo [ Ethic. 10,8 ], lodare Dio per le sue virtù politiche.

2. Oggetto della volontà è il bene appreso dall'intelletto: perciò Dio non può volere se non ciò che è conforme alla sua sapienza.

Ora, questa è per lui come una legge di giustizia, in forza della quale la sua volontà è retta e giusta.

E così quanto egli fa secondo la sua volontà lo fa con giustizia: come anche noi compiamo opere di giustizia ogni volta che osserviamo la legge.

Con questa differenza però, che noi operiamo secondo la legge di un superiore, mentre Dio è legge a se stesso.

3. A ciascuno è dovuto il suo.

Ora, una cosa è detta sua, cioè di qualcuno, quando è alle sue dipendenze: come il servo è del padrone, e non inversamente, poiché libero è colui che non ha altra dipendenza che da se stesso.

Nella parola debito è dunque inclusa una certa relazione di esigenza o di necessità rispetto a colui da cui un essere dipende.

Ora, nelle cose va considerata una duplice relazione.

Una è quella che intercorre tra un essere creato e gli altri esseri creati: come le parti dicono relazione al tutto, gli accidenti alla sostanza e ciascuna cosa al proprio fine.

L'altra è quella per cui gli esseri creati sono ordinati a Dio.

Così, dunque, [ l'idea di ] debito può trovarsi in due maniere anche nell'operazione divina: o secondo che una certa cosa è dovuta a Dio, o secondo che è dovuta alla creatura; e nell'uno e nell'altro modo Dio rende ciò che è dovuto.

A Dio è dovuto infatti che nel creato si attui ciò che la sua sapienza e la sua volontà hanno determinato, e che manifesta la sua bontà.

E sotto questo aspetto la giustizia di Dio riguarda il proprio decoro, per cui egli rende a se stesso ciò che a lui è dovuto.

Ma è dovuto anche alla creatura che abbia ciò che le è destinato: all'uomo, p. es., che abbia le mani, e che a lui servano gli altri animali.

E anche in questo caso Dio compie la giustizia, quando a ciascun essere dà ciò che gli è dovuto secondo le esigenze della sua natura e della sua condizione.

Ma questo debito dipende dal primo, poiché a ciascun essere è dovuto ciò che gli è stabilito dall'ordinamento della divina sapienza.

E sebbene Dio in tale maniera dia a uno ciò che gli è dovuto, non per questo è suo debitore, poiché non lui è ordinato agli altri esseri, ma piuttosto gli altri esseri sono ordinati a lui.

Per cui la giustizia in Dio talvolta si chiama ornamento della sua bontà e talaltra retribuzione del merito.

E a questi due modi accenna S. Anselmo [ Prosl. 10 ] quando scrive: « Se tu punisci i malvagi, è giustizia perché ciò è dovuto al loro merito; se poi perdoni loro, è giustizia perché ciò conviene alla tua bontà ».

4. Sebbene la giustizia riguardi l'operazione, non per questo, tuttavia, si esclude che si identifichi con l'essenza di Dio, poiché anche ciò che appartiene all'essenza di una cosa può essere principio di azione.

Ma il bene non riguarda soltanto l'atto, poiché una cosa è detta buona non solo in quanto agisce, ma anche in quanto è perfetta nella sua essenza.

E per questo motivo nel luogo citato si dice che il concetto di bene sta al concetto di giusto come il generale allo speciale.

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