Summa Teologica - I |
Supra, q. 14, a. 2, ad 3; C. G., II, c. 75; III, c. 46; De Verit., q. 8, a. 6; q. 10, a. 8; De anima, a. 16, ad 8; In 2 De anima, lect. 6; 3, lect. 9
Pare che l'anima intellettiva conosca se stessa mediante la propria essenza.
1. S. Agostino [ De Trin. 9,3 ] insegna che « la mente conosce se stessa per se stessa, poiché è immateriale ».
2. L'angelo e l'anima concordano nel genere della sostanza intellettiva.
Ma l'angelo conosce se stesso mediante la propria essenza.
Quindi anche l'anima.
3. Come scrive Aristotele [ De anima 3,4 ], « nelle realtà prive di materia l'intelletto si identifica con l'oggetto conosciuto ».
Ma la mente umana è priva di materia, non essendo essa l'atto di un corpo, come si è visto [ q. 76, a. 1 ].
Quindi nella mente umana si identificano il soggetto e l'oggetto dell'intellezione.
Quindi essa conosce se stessa mediante la propria essenza.
Aristotele [ De anima 3,4 ] insegna che « l'intelletto conosce se stesso come conosce le altre cose ».
Ora, queste le conosce non mediante la propria essenza, bensì mediante le loro immagini.
Quindi non conosce se stesso mediante la propria essenza.
Ogni cosa, dice il Filosofo [ Met. 9,9 ], è conoscibile in quanto è in atto, non in quanto è in potenza: ogni cosa infatti partecipa l'essere e la verità, che formano l'oggetto della conoscenza, in proporzione della propria attualità.
E ciò risulta chiaramente nel mondo sensibile: la vista infatti non percepisce un oggetto che è potenzialmente colorato, ma soltanto ciò che è colorato in maniera attuale.
Ed è altrettanto chiaro che l'intelletto, quando conosce le realtà materiali, le conosce soltanto per la loro attualità: tanto è vero che non può conoscere la materia prima se non in relazione alla forma, come dice Aristotele [ Phys. 1,7 ].
Quindi tra le varie sostanze immateriali troviamo che ciascuna è tanto capace di essere intelligibile mediante la propria essenza, quanto in forza della medesima essenza lo è in ordine all'essere in atto.
Così dunque l'essenza di Dio, che è atto puro e perfetto, è per se stessa e totalmente intelligibile in senso assoluto.
Quindi Dio conosce mediante la propria essenza non soltanto se stesso, ma tutte le cose.
- L'essenza dell'angelo invece, pur facendo parte, in quanto atto, degli esseri intellettuali, non è tuttavia un atto puro e perfetto.
Quindi l'intellezione dell'angelo non si completa mediante la sola essenza propria: sebbene infatti conosca se stesso mediante la propria essenza, non può tuttavia conoscere con essa tutte le cose, ma conosce le altre cose mediante le loro specie intenzionali.
- L'intelletto umano, infine, fa parte degli esseri intellettuali solo come qualcosa di potenziale, cioè come la materia prima fa parte delle realtà sensibili: per cui viene denominato possibile.
Considerato perciò nella sua essenza, si presenta come un essere intelligibile potenziale.
Per cui ha di per sé la capacità di conoscere, ma non di essere conosciuto, a meno che non diventi attuale.
E così i Platonici ammisero una serie di esseri intelligibili al disopra delle varie intelligenze: l'intelligenza infatti, secondo questa teoria, dovrebbe conoscere solo mediante una partecipazione degli intelligibili, e chi riceve la partecipazione è inferiore a chi la comunica.
Se quindi l'intelletto umano fosse posto in atto da una partecipazione delle forme intelligibili separate, come volevano i Platonici, esso conoscerebbe se stesso mediante una siffatta partecipazione delle realtà immateriali.
Siccome però nello stato della vita presente è connaturale al nostro intelletto volgersi alle realtà materiali e sensibili, come si è già spiegato [ q. 84, a. 7 ], ne segue che esso conosce se stesso in quanto è posto in atto dalle specie intenzionali astratte dal mondo sensibile mediante il lume dell'intelletto agente; e questo lume è insieme l'atto degli oggetti intelligibili e, per mezzo di essi, l'atto dell'intelletto possibile.
Quindi il nostro intelletto non conosce se stesso mediante la propria essenza, bensì mediante il proprio atto.
E ciò può avvenire in due modi.
Primo, nella conoscenza [ soggettiva ] particolare: quando Socrate, p. es., o Platone, nel riflettere sulla propria conoscenza, percepisce di avere un'anima intellettiva.
Secondo, nella conoscenza [ oggettiva ] universale: cioè quando studiamo la natura della mente umana analizzando l'operazione dell'intelletto.
È vero però che il discernimento e l'efficacia di questa conoscenza con la quale conosciamo la natura dell'anima ci deriva dal fatto che la luce della nostra intelligenza promana dalla verità divina, nella quale sono contenute le ragioni di tutte le cose, come si è visto [ q. 84, a. 5 ].
Scrive perciò S. Agostino [ De Trin. 9,6.10 ]: « Noi percepiamo la verità immutabile, dalla quale passiamo a definire perfettamente, per quanto ci è possibile, non quale sia la mente di ciascun uomo, ma quale debba essere secondo le ragioni sempiterne ».
- Tra le due maniere di conoscere c'è però una [ grande ] differenza.
Per la prima infatti basta la sola presenza della mente, da cui proviene l'atto mediante il quale essa conosce se stessa.
Quindi si dice che la mente conosce se stessa in forza della sua presenza.
Per avere invece l'altra conoscenza della mente non basta la sua presenza, ma si richiede un'indagine diligente e sottile.
Molti infatti ignorano la natura dell'anima, e non pochi hanno errato in proposito.
Per cui S. Agostino [ De Trin. 10,9.12 ], parlando di tale ricerca, scrive: « La mente non cerchi di scorgere se stessa come una cosa assente, ma cerchi di arrivare a discernere se stessa in quanto è presente », cerchi cioè di conoscere la sua differenza dalle altre cose, il che significa conoscere la propria quiddità o natura.
1. La mente conosce se stessa per se stessa in quanto alla fine giunge alla conoscenza di se medesima, sebbene vi giunga mediante il proprio atto: essa stessa è infatti l'oggetto della conoscenza, poiché essa stessa è l'oggetto del suo amore, come aggiunge lo stesso S. Agostino.
Una cosa infatti può dirsi conosciuta per se stessa per due motivi: o perché si arriva alla sua conoscenza senza intermediari, come avviene per i primi princìpi per sé noti, oppure perché non è conoscibile per via indiretta [ per accidens ]: come il colore è visibile direttamente, mentre la sostanza è visibile per via indiretta [ per accidens ].
2. L'essenza dell'angelo si trova come atto nel genere delle realtà intellettuali, perciò può essere insieme intelletto conoscente e oggetto conosciuto.
Per cui l'angelo conosce la propria essenza senza intermediari.
Non così invece l'intelletto umano, il quale o è totalmente in potenza rispetto agli oggetti intelligibili, come l'intelletto possibile, oppure è l'atto delle specie intelligibili astratte dai fantasmi, come l'intelletto agente.
3. L'affermazione del Filosofo è universalmente vera per ogni intelletto.
Come infatti il senso nell'atto del sentire si identifica con l'oggetto sensibile - poiché l'immagine dell'oggetto sensibile costituisce allora la sua forma di senso in atto -, così nell'atto dell'intendere l'intelletto si identifica con il suo oggetto, poiché l'immagine intenzionale dell'oggetto conosciuto costituisce allora la sua forma di intelletto in atto.
E poiché l'intelletto umano diviene attuale mediante l'immagine conoscitiva del suo oggetto, dovrà essere conosciuto anch'esso mediante l'immagine che ne costituisce la forma.
Quindi dire che « nelle realtà prive di materia l'intelletto si identifica con l'oggetto conosciuto » equivale ad affermare che « nelle realtà attualmente conosciute l'intelletto si identifica con l'oggetto conosciuto »: poiché un oggetto è conosciuto in maniera attuale per il fatto che è privo di materia.
C'è però da notare una differenza: la natura di alcuni esseri esclude la materia, come avviene per le sostanze separate, che noi chiamiamo angeli, ognuna delle quali è insieme conosciuta e conoscente.
Esistono invece altri esseri che non escludono la materia dalla loro natura, ma soltanto dalle immagini che essi astraggono.
Per cui il Commentatore [ De anima 3, comm. 15 ] scrive che l'affermazione riportata vale soltanto per le sostanze separate: poiché in esse si verifica in un modo che non può essere applicato ad altre intelligenze, come si è spiegato [ ad 2 ].
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