Summa Teologica - I |
C. G., II, c. 60; III, cc. 42-46; De Verit., q. 10, a. 11; q. 18, a. 5, ad 7, 8; De anima, a. 16; In De Trin., q. 6, a. 3; In 2 Metaph., lect. 1
Pare che l'anima umana nello stato della vita presente possa avere la conoscenza immediata delle sostanze immateriali.
1. Scrive S. Agostino [ De Trin. 9,3 ]: « La mente, come ricava le sue nozioni intorno alle realtà materiali dai sensi del corpo, così le ricava da se stessa intorno agli esseri incorporei ».
Ma questi esseri non sono altro che le sostanze immateriali.
Quindi la mente ha la percezione delle sostanze immateriali.
2. Ogni cosa diviene conosciuta mediante una realtà consimile.
Ma la mente umana è più simile agli esseri immateriali che a quelli materiali, essendo essa immateriale, come si è dimostrato sopra [ q. 76, a. 1 ].
Se dunque essa percepisce le realtà materiali, molto più percepirà quelle immateriali.
3. I sensibili di somma intensità non sono percettibili in grado sommo da noi perché la loro intensità rovina i sensi.
Ma l'intensità di ordine intellettivo non rovina l'intelletto, come dice Aristotele [ De anima 3,4 ].
Quindi gli oggetti che per se stessi sono sommamente intelligibili sono sommamente intelligibili anche per noi.
Inoltre, essendo le realtà materiali intelligibili solo perché siamo noi a renderle attualmente intelligibili, astraendole dalla materia, è chiaro che quelle sostanze che per loro natura sono immateriali sono per se stesse più intelligibili.
Queste perciò sono da noi meglio conosciute delle realtà materiali.
4. Fa notare il Commentatore [ Met. 2, comm. 1 ] che se noi non potessimo conoscere le sostanze immateriali, « allora la natura avrebbe agito senza scopo, formando degli esseri per se stessi conoscibili che di fatto non sarebbero conosciuti da nessuno ».
Ma nulla in natura è senza scopo.
Quindi le sostanze immateriali possono essere conosciute da noi.
5. L'intelletto sta agli oggetti intelligibili come il senso a quelli sensibili.
Ma la nostra vista può vedere tutti i corpi, tanto quelli superni e incorruttibili quanto quelli inferiori e corruttibili.
Quindi il nostro intelletto potrà conoscere tutte le sostanze intellettive, anche quelle superiori e immateriali.
Sta scritto [ Sap 9,16 ]: « Chi scruterà le cose che sono nei cieli? ».
Ora, le sostanze in parola stanno nei cieli, poiché si legge in S. Matteo [ Mt 18,10 ]: « I loro angeli in cielo », ecc.
Quindi le sostanze immateriali non possono essere conosciute con l'indagine umana.
Secondo l'opinione di Platone le sostanze immateriali non soltanto sono conosciute da noi, ma sono il primo oggetto della nostra conoscenza.
Infatti Platone riteneva che le forme immateriali sussistenti, che chiamava idee, fossero l'oggetto proprio della nostra intelligenza, e quindi fossero primariamente e direttamente conosciute da noi.
Tuttavia la conoscenza dell'anima sarebbe rivolta alle cose materiali in quanto l'intelletto è unito alla fantasia e ai sensi.
Quanto più dunque l'intelletto sarà purificato, tanto meglio percepirà la verità delle realtà immateriali.
Invece secondo il parere di Aristotele, più conforme all'esperienza, nello stato della vita presente il nostro intelletto ha un rapporto naturale all'essenza delle realtà materiali, così da non conoscere nulla, come si è visto [ q. 84, a. 7 ], senza volgersi ai fantasmi.
È perciò evidente che, atteso il processo conoscitivo da noi sperimentato, noi non possiamo intendere primariamente e immediatamente le sostanze immateriali, che sono estranee al dominio dei sensi e dell'immaginazione.
Ciò nonostante Averroè [ De anima 3, comm. 36 ] ritiene che alla fine, in questa vita, l'uomo possa giungere alla percezione di queste sostanze separate in forza della nostra continuità o unione con una certa sostanza immateriale, chiamata da lui « intelletto agente », la quale, essendo appunto una sostanza separata, ha per natura la percezione delle sostanze separate.
Per cui quando la nostra unione con essa sarà così perfetta che noi potremo conoscere perfettamente per mezzo suo, allora anche noi percepiremo le sostanze separate, così come ora conosciamo le realtà materiali per la nostra unione con l'intelletto possibile.
- Ed ecco come egli concepisce la nostra unione con l'intelletto agente.
Siccome la nostra intellezione dipende dall'intelletto agente e dagli oggetti pensati, e ciò è evidente quando veniamo a conoscere delle conclusioni in forza di princìpi già noti, è necessario che l'intelletto agente abbia verso le cose pensate lo stesso rapporto che ha l'agente principale verso i suoi strumenti, oppure la forma verso la materia.
Infatti sono questi i due modi secondo i quali un'unica operazione può essere attribuita a due princìpi: o come l'atto del segare, che si attribuisce al falegname e alla sega, agente principale e strumento, oppure come il riscaldare, che si attribuisce al calore e al fuoco, forma e soggetto.
E in un modo e nell'altro l'intelletto agente sta alle cose pensate come la perfezione al soggetto perfettibile, e come l'atto alla potenza.
Ora, la perfezione e il suo effetto sono entità simultanee in una data realtà: come sono simultanei nella pupilla l'oggetto attualmente visibile e la luce.
Quindi avremo anche un'infusione simultanea nell'intelletto possibile sia delle cose pensate che della luce dell'intelletto agente.
E quante più sono le cose pensate che riceviamo, tanto maggiormente ci avviciniamo alla nostra unione perfetta con l'intelletto agente.
Cosicché quando avremo conosciuto tutte le cose pensate, l'intelletto agente sarà perfettamente unito a noi, e noi potremo conoscere per mezzo di esso tutte le cose, materiali e immateriali.
E in ciò Averroè fa consistere l'ultima felicità dell'uomo.
- E non ha importanza per la presente questione decidere se in tale stato di felicità sia l'intelletto possibile a conoscere le sostanze separate mediante l'intelletto agente, come egli pensa, oppure, secondo l'opinione che egli attribuisce ad Alessandro di Afrodisia [ De anima, l. cit. ], se l'intelletto possibile non conosca mai le sostanze separate, ma sia l'uomo a conoscerle per mezzo dell'intelletto agente, dato che a suo parere l'intelletto possibile sarebbe corruttibile.
Ma tutta questa teoria non regge.
Primo, perché sarebbe per noi impossibile conoscere formalmente con l'intelletto agente se l'intelletto fosse una sostanza separata: poiché ciò che serve all'agente per agire formalmente è la sua forma e il suo atto, dato che ogni causa agente agisce in quanto è in atto, come anche sopra [ q. 76, a. 1 ] abbiamo dimostrato a proposito dell'intelletto possibile.
Secondo, perché se, stando all'opinione suddetta, l'intelletto agente fosse una sostanza separata, non si unirebbe a noi in maniera sostanziale, ma si unirebbe solo mediante la sua luce, partecipata alle varie intelligenze nell'atto del pensare, e non invece in ordine alle altre operazioni dell'intelletto agente, in modo che possiamo ricavarne la conoscenza delle sostanze immateriali.
Come quando vediamo i colori illuminati dal sole non avviene un'unione sostanziale tra noi e il sole, fino al punto di poter noi compiere le azioni del sole, ma a noi si unisce solo la luce solare per la visione dei colori.
Terzo, perché anche ammettendo che in questo modo l'intelletto agente si unisca a noi con tutta la sua sostanza, tuttavia questi filosofi non possono ammettere che l'intelletto agente si unisca a noi totalmente in funzione di uno o due intelligibili soltanto, ma in funzione di tutti i nostri oggetti intelligibili.
Ora, tutti questi oggetti, [ essendo realtà sensibili ], non raggiungono il valore e il grado dell'intelletto agente, essendo cosa molto più grande conoscere le sostanze separate che non tutti gli esseri materiali.
Per cui è evidente che, pur conoscendo noi tutte le realtà materiali, l'intelletto agente non si unirebbe a noi in modo tale da farci conoscere anche le sostanze separate.
Quarto, perché è ben difficile che un uomo in questo mondo possa conoscere tutte le realtà materiali: cosicché nessuno, o pochissimi, potrebbe arrivare alla felicità.
Ma ciò urta contro il pensiero di Aristotele [ Ethic. 1,9 ], il quale dice che la felicità è « un bene comune, partecipabile da tutti coloro che non sono negati alla virtù ».
- Del resto non è ragionevole che il fine di tutta una specie sia raggiunto solo in pochi casi dagli esseri contenuti in quella specie.
Quinto, perché Aristotele [ Ethic. 1,10 ] dice espressamente che « la felicità consiste nell'operazione della virtù più perfetta ».
E dopo aver elencato molte virtù, conclude [ ib. 10,8 ] affermando che l'ultima felicità, la quale consiste nella conoscenza dei supremi intelligibili, appartiene alla virtù della sapienza, da lui considerata [ ib. 6,7 ] la prima delle scienze speculative.
Risulta così che per Aristotele l'ultima felicità dell'uomo consiste nella conoscenza delle sostanze separate quale si può avere grazie alle scienze speculative, e non già dalla compartecipazione a un intelletto agente secondo i sogni di certuni.
Sesto, perché abbiamo già dimostrato [ q. 79, a. 4 ] che l'intelletto agente non è una sostanza separata, ma una facoltà dell'anima, che si estende in maniera attiva a quegli oggetti ai quali si estende in maniera ricettiva l'intelletto possibile.
Infatti Aristotele [ De anima 3,5 ] insegna che l'intelletto possibile « è la potenza a diventare tutte le cose », e l'intelletto agente « la potenza a far diventare tutte le cose ».
Quindi questi due intelletti, nello stato della vita presente, si estendono ai soli oggetti materiali; oggetti che l'intelletto agente rende intelligibili in atto, e che sono ricevuti nell'intelletto possibile.
E così secondo lo stato della vita presente noi non raggiungiamo la conoscenza diretta delle sostanze immateriali, né per mezzo dell'intelletto possibile, né per mezzo dell'intelletto agente.
1. Da questo testo di S. Agostino si potrà desumere che in forza di se medesima la nostra mente può conoscere ciò che arriva a sapere intorno agli esseri incorporei.
E questo è così vero che gli stessi filosofi usano dire che la nostra conoscenza dell'anima è il punto di partenza per conoscere le sostanze separate.
L'anima infatti, dalla conoscenza di se medesima, giunge a quella certa conoscenza delle sostanze immateriali che essa può raggiungere, ma non è che arrivi a conoscerle direttamente e perfettamente, conoscendo se stessa.
2. La somiglianza di natura non è una ragione sufficiente per conoscere; altrimenti bisognerebbe dire con Empedocle [ cf. De anima 1,2 ] che l'anima, per conoscere tutte le cose, dovrebbe avere la natura di tutti gli esseri.
Per la conoscenza si richiede invece che la similitudine dell'oggetto conosciuto venga a trovarsi nel conoscente come una sua forma.
Ora, nello stato della vita presente il nostro intelletto possibile è fatto per ricevere le similitudini delle realtà materiali astratte dai fantasmi: esso perciò conosce le realtà materiali più delle sostanze immateriali.
3. Si esige una certa proporzione tra l'oggetto e la potenza conoscitiva, come tra l'atto e la potenza e tra la perfezione e il perfettibile.
Quindi la mancata percezione degli oggetti sensibili troppo intensi non dipende soltanto dal fatto che essi rovinano gli organi sensitivi, ma anche dal fatto che sono sproporzionati alle facoltà sensitive.
Come anche le sostanze immateriali sono sproporzionate, nello stato della vita presente, al nostro intelletto, il quale non è perciò in grado di percepirle.
4. L'argomento del Commentatore non regge per più di un motivo.
Primo, perché anche se le sostanze separate non sono conosciute da noi non ne viene che non siano conosciute da altre intelligenze: infatti sono conosciute da se medesime, e si conoscono reciprocamente fra di loro.
- Secondo, perché il fine delle sostanze separate non è quello di essere conosciute da noi.
Ora, si dice vano e senza scopo ciò che non raggiunge il fine per cui è creato.
Anche ammettendo quindi che le sostanze spirituali non siano conosciute da noi, non ne seguirebbe l'inutilità della loro esistenza.
5. Il senso conosce tanto i corpi superiori quanto quelli inferiori in maniera identica, cioè per una trasmutazione prodotta nell'organo dall'oggetto sensibile.
Invece non è identico il modo in cui sono conosciute le sostanze materiali, percepite per via di astrazione, e le sostanze immateriali, che non possono invece essere conosciute da noi in questa maniera, non essendo rappresentabili dai fantasmi.
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