Summa Teologica - I-II

Indice

Articolo 1 - Se appartenga all'uomo agire per un fine

Infra, a. 2; q. 6, a. 1; C. G., III, c. 2

Pare che all'uomo non appartenga agire per un fine.

Infatti:

1. La causa per sua natura dice priorità.

Il fine, al contrario, ha ragione di ultimo, come dice il nome stesso.

Quindi il fine non ha ragione di causa.

Ma l'uomo agisce per ciò che è causa dell'azione: infatti la preposizione per sta a indicare un rapporto causale.

Quindi all'uomo non appartiene agire per un fine.

2. Ciò che costituisce il fine ultimo non è ordinato a un fine.

Ma in certi casi le azioni stesse costituiscono il fine ultimo, come dimostra il Filosofo [ Ethic. 1,1 ].

Quindi l'uomo non sempre agisce per un fine.

3. L'uomo agisce per un fine quando delibera.

Ma l'uomo spesso agisce senza deliberazione alcuna, e talora perfino senza pensarci affatto: come quando muove il piede o la mano, oppure si gratta la barba, pensando ad altro.

Quindi non sempre l'uomo agisce per un fine.

In contrario:

Le cose appartenenti a un dato genere derivano tutte dal principio di quel genere.

Ma il fine è il principio dell'agire umano, come dimostra il Filosofo [ Phys. 2,9 ].

Quindi conviene che l'uomo agisca sempre per un fine.

Dimostrazione:

Tra le azioni che l'uomo compie sono dette umane in senso stretto soltanto quelle compiute dall'uomo in quanto uomo.

Ora, l'uomo si distingue dalle altre creature non razionali perché è padrone dei propri atti.

Quindi, in senso stretto, si dicono umane le sole azioni di cui l'uomo ha la padronanza. D'altra parte l'uomo è padrone dei suoi atti mediante la ragione e la volontà: infatti si dice che il libero arbitrio è « una facoltà della volontà e della ragione » [ P. Lomb., Sent. 2,24 ].

Quindi propriamente sono denominate umane le azioni che procedono da una volontà deliberata.

Le altre azioni invece che vengono attribuite all'uomo potranno essere dette azioni dell'uomo, ma non azioni umane in senso proprio, non appartenendo esse all'uomo in quanto uomo.

- Ora, tutti gli atti che procedono da una data facoltà ne derivano secondo la ragione formale del suo oggetto.

Ma l'oggetto della volontà è il fine e il bene.

Quindi è necessario che tutte le azioni umane siano per un fine.

Analisi delle obiezioni:

1. Il fine, pur essendo l'ultima cosa in ordine di esecuzione, è tuttavia la prima nell'intenzione dell'agente.

Ed è così che possiede la ragione di causa.

2. Un'azione umana, per essere l'ultimo fine, deve essere volontaria: altrimenti non sarebbe un'azione umana, come si è detto [ nel corpo ].

Ma un'azione può essere volontaria in due modi: primo, perché è comandata dalla volontà, come ad es. camminare o parlare; secondo, perché è emessa dalla volontà, come il volere stesso.

Ora, è impossibile che l'atto stesso emesso dalla volontà sia il fine ultimo, poiché il fine è oggetto della volontà come il colore è oggetto della vista: come quindi è impossibile che il primo oggetto visivo sia il vedere medesimo, poiché ogni atto visivo è la visione di un oggetto visibile, così è assurdo che il primo oggetto appetibile, cioè il fine, sia il volere medesimo.

Rimane dunque che un'azione umana, per essere il fine ultimo, deve essere comandata dalla volontà.

E così anche in tal caso si riscontra almeno un'azione dell'uomo, cioè la volizione, che è per un fine.

Quindi è vero che l'uomo, qualunque azione compia, agisce sempre per un fine, anche se compie un'azione che si identifica con il fine ultimo.

3. Le azioni indicate non sono propriamente azioni umane: poiché non procedono da una deliberazione della ragione, che è il vero principio degli atti umani.

Quindi esse hanno un fine in rapporto all'immaginativa, ma non un fine prestabilito dalla ragione.

Indice