Summa Teologica - I-II |
Infra, q. 12, a. 4; De Verit., q. 22, a. 14
Pare che il volere tenda con uno stesso atto verso il fine e verso i mezzi ad esso ordinati.
1. Il Filosofo [ Top. 3,2 ] insegna: « Dove si trova una cosa a motivo di un'altra, lì si trova una cosa soltanto ».
Ma il volere vuole quanto è ordinato al fine solo a motivo del fine.
Quindi esso tende con uno stesso atto verso le due cose.
2. Il fine costituisce la ragione per volere ciò che è ordinato al fine, come la luce è la ragione della visione dei colori.
Ma la luce e il colore sono percepiti con uno stesso atto.
Quindi unico è il moto della volontà verso il fine e verso i mezzi ordinati al fine.
3. È unico il moto di un corpo che tende al suo termine attraverso il mezzo [ spaziale ].
Ma le cose ordinate al fine stanno al fine precisamente come mezzi.
Quindi identico è il moto con cui la volontà tende al fine e alle cose ordinate al fine.
Gli atti si distinguono secondo gli oggetti.
Ma il fine e ciò che è ordinato al fine, ossia il bene utile, sono specie diverse del bene.
Quindi il volere non tende verso le due cose con un medesimo atto.
Il fine è oggetto della volontà per se stesso, mentre ciò che è ordinato al fine è voluto, come tale, solo per il fine.
Quindi il volere può evidentemente tendere al fine senza tendere ai mezzi ordinati al fine, mentre non può tendere ai mezzi in quanto tali senza tendere al fine.
Così dunque la volontà può tendere in due modi verso il fine: primo, direttamente in quanto tale; secondo, come motivo per volere i mezzi.
È perciò evidente che unico è il moto con cui il volere tende al fine, inteso come motivo della volizione dei mezzi, e ai mezzi stessi.
È invece distinto l'atto col quale tende al fine direttamente.
E talora questo atto è cronologicamente precedente: come quando uno prima vuole la guarigione e poi, pensando come guarire, vuole l'intervento del medico per la guarigione stessa.
Il che avviene anche in campo intellettivo: infatti prima uno intende i princìpi per se stessi e poi li scorge applicati alle conclusioni, quando aderisce alle conclusioni in forza dei princìpi.
1. L'argomento vale se applicato alla volizione che ha di mira il fine in quanto costituisce il motivo della volizione dei mezzi.
2. Tutte le volte che si vede il colore, si vede con lo stesso atto anche la luce; tuttavia si può vedere la luce senza vedere il colore.
E allo stesso modo tutte le volte che uno vuole quanto è ordinato al fine vuole con lo stesso atto anche il fine, ma non viceversa.
3. Nell'esecuzione di un'opera le cose ordinate al fine si presentano come mezzi, e il fine come termine.
Quindi, come il moto di un corpo talora si ferma nello spazio intermedio senza giungere al termine, così c'è chi eseguisce quanto è ordinato a un fine senza raggiungere il fine.
Ma nella volizione si verifica il contrario: infatti la volontà in forza del fine passa a volere le cose ordinate al fine: come l'intelletto giunge alle conclusioni partendo dai princìpi, che sono chiamati mezzi [ dimostrativi ].
Per cui l'intelletto talora intende il mezzo dimostrativo senza giungere alla conclusione.
E allo stesso modo qualche volta la volontà desidera il fine, e tuttavia non passa a volere ciò che è ordinato al fine.
Quanto poi all'argomento in contrario, abbiamo la soluzione in ciò che si è già detto [ a. 2, ad 2 ].
Infatti l'utile e l'onesto non sono specie del bene a parità di diritto, ma stanno tra loro come ciò che è di per sé sta a ciò che è in forza di altro.
Quindi l'atto della volontà può tendere all'uno senza tendere all'altro, ma non viceversa.
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