Summa Teologica - I-II |
In 3 Sent., d. 14, q. 1, a. 1, sol. 2; d. 23, q. 1, a. 1; De Verit., q. 20, a. 2; De Virt., q. 1, a. 1 Ad
Pare che nell'intelletto non ci possano essere abiti.
1. Gli abiti, come si è notato [ a. 1 ], devono essere conformi alle loro operazioni.
Ora, le operazioni dell'uomo sono insieme dell'anima e del corpo, come insegna Aristotele [ De anima 1, cc. 1,4 ].
Quindi anche gli abiti.
Ma il medesimo [ ib. 3,4 ] insegna che l'intelletto non è un atto del corpo.
Quindi nell'intelletto non ha sede alcun abito.
2. Ciò che risiede in un dato soggetto deve trovarvisi secondo il modo di essere di quest'ultimo.
Ma un essere che è soltanto forma, senza materia, è puro atto, mentre l'essere composto di forma e di materia ha insieme dell'atto e della potenza.
Perciò una cosa che sia insieme in potenza e in atto non può trovarsi in un essere che è pura forma, ma soltanto in un soggetto composto di materia e di forma.
Ora, l'intelletto è forma senza materia.
Quindi l'abito, che è insieme potenza e atto, non può essere nell'intelletto, ma soltanto nell'essere congiunto, cioè nel composto di anima e corpo.
3. L'abito, secondo Aristotele [ Met. 5,20 ], è « una disposizione secondo la quale uno è bene o mal disposto in rapporto a qualcosa ».
Ma l'essere bene o mal disposti all'atto intellettivo dipende da una disposizione del corpo: poiché, come il medesimo [ De anima 2,9 ] scrive, vediamo che « i soggetti di carne delicata sono di intelligenza pronta ».
Quindi gli abiti conoscitivi non possono trovarsi nell'intelletto, che è separato, ma in qualche facoltà che è perfezione o atto di una parte del corpo.
Il Filosofo [ Ethic. 6,3 ] colloca direttamente nella parte intellettiva la scienza, la sapienza e l'intelletto, che è l'abito dei primi princìpi.
Sul problema degli abiti conoscitivi ci sono state diverse opinioni.
Infatti alcuni, ritenendo che l'intelletto possibile fosse unico per tutti gli uomini, furono costretti ad ammettere che gli abiti conoscitivi non sono nell'intelletto stesso, ma nelle facoltà conoscitive inferiori.
È infatti troppo evidente che gli uomini si distinguono tra loro per gli abiti, per cui gli abiti conoscitivi non si possono collocare direttamente in un elemento che, essendo unico, sarebbe comune a tutti gli uomini.
Se quindi esistesse un solo intelletto possibile per tutti gli uomini gli abiti delle varie scienze, secondo cui gli uomini si distinguono tra loro, non potrebbero risiedere nell'intelletto possibile, ma dovrebbero trovarsi nelle potenze sensitive interiori, che rimangono distinte nei vari soggetti.
Ma questa tesi è, prima di tutto, contraria al pensiero di Aristotele.
Infatti, come egli nota [ Ethic. 1,13 ], è evidente che le potenze sensitive sono razionali non per essenza, ma solo per partecipazione.
Per cui il Filosofo [ l. cit. nel s.c. ] colloca le virtù intellettuali, sapienza, scienza e intelletto, in ciò che è razionale per essenza.
Perciò esse non sono nelle potenze sensitive, ma nell'intelletto medesimo.
- Inoltre egli dice espressamente [ De anima 3,4 ] che l'intelletto possibile, « allorché diviene [ intenzionalmente ] le singole cose », cioè quando riceve l'atto delle singole cose mediante le specie intelligibili, « in quel momento passa all'atto, nel modo in cui si dice che è in atto chi ha una scienza, il che avviene quando uno è in grado di operare da se stesso », cioè di considerare attualmente quanto sa.
« Però anche allora è in qualche modo in potenza; ma non come prima di apprendere o di scoprire ».
Quindi l'intelletto medesimo è il soggetto in cui si trova l'abito della scienza, mediante il quale esso acquista il potere di considerare, anche quando non considera attualmente.
Secondo, questa tesi è contro la verità delle cose.
Se è vero infatti che si deve attribuire una facoltà a chi ne possiede l'operazione, è anche vero che l'abito deve essere attribuito a chi ne compie le operazioni.
Ora, l'atto di intendere e di considerare è proprio dell'intelletto.
Perciò anche l'abito col quale si considera è propriamente nell'intelletto medesimo.
1. Per il fatto che ogni operazione umana, al dire del Filosofo [ De anima 1,1 ], è in qualche modo del composto, alcuni pensarono, come riferisce Simplicio [ Comm. praed. 8 ], che nessun abito fosse nell'anima, ma solo nel composto.
E da ciò seguirebbe che nessun abito è nell'intelletto, essendo quest'ultimo separato, secondo l'argomento da noi già esaminato.
- Ma questo argomento è privo di forza.
Infatti l'abito non è una disposizione dell'oggetto in ordine alla potenza, ma è piuttosto una disposizione della potenza in ordine all'oggetto: perciò l'abito deve trovarsi nella potenza che è il principio dell'atto, e non in qualcosa che si rapporta alla potenza come suo oggetto.
Ora, si dice che l'intellezione appartiene all'anima e al corpo solo a motivo dei fantasmi, come spiega Aristotele [ l. cit. ].
È perciò evidente che i fantasmi in rapporto all'intelletto possibile sono da considerarsi altrettanti oggetti, come afferma il medesimo Autore [ De anima 3,7 ].
Quindi l'abito intellettivo appartiene principalmente all'intelletto stesso, e non ai fantasmi, che sono un dato comune all'anima e al corpo.
Perciò si deve concludere che l'intelletto possibile è sede di abiti: infatti essere sede di abiti è proprio di quelle facoltà che sono in potenza a più cose; e ciò appartiene soprattutto all'intelletto possibile.
Quindi l'intelletto possibile è la sede degli abiti intellettivi.
2. Come la materia corporea è in potenza all'essere sensibile, così l'intelletto possibile è in potenza all'essere intelligibile.
Perciò nulla impedisce che nell'intelletto possibile ci sia un abito, che è qualcosa di mezzo tra la pura potenza e l'atto perfetto.
3. Le facoltà sensitive interiori preparano all'intelletto possibile il proprio oggetto: perciò dalla buona disposizione di esse, alla quale contribuisce la buona disposizione del corpo, un uomo riceve l'attitudine a intendere.
E così gli abiti si possono trovare in modo secondario anche in tali facoltà.
Ma principalmente risiedono nell'intelletto possibile.
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