Summa Teologica - I-II |
Infra, q. 65, a. 1; De Virt., q. 5, a. 2; Quodl., 12, q. 15, a. 1; In 6 Ethic., lect. 10
Pare che ci possano essere delle virtù intellettuali senza le virtù morali.
1. La perfezione di ciò che precede non dipende dalla perfezione di ciò che segue.
Ma la ragione precede e muove l'appetito sensitivo.
Quindi le virtù intellettuali, che perfezionano la ragione, non dipendono dalle virtù morali, che perfezionano la parte appetitiva.
Quindi possono esistere senza di esse.
2. Le virtù e le azioni morali sono la materia della prudenza, come le cose fattibili sono la materia dell'arte.
Ma un'arte può esistere anche senza la propria materia: può esserci, p. es., un fabbro senza il ferro.
Perciò anche la prudenza, pur essendo la virtù intellettuale più connessa con le virtù morali, può esistere senza di esse.
3. Per Aristotele [ Ethic. 6, cc. 5,7,9 ] « la prudenza è la virtù che dispone a ben consigliare ».
Ora molti, pur essendo sprovvisti di virtù morali, consigliano bene.
Quindi la prudenza può esistere senza le virtù morali.
La volontà di agire male si oppone direttamente alle virtù morali, ma non si oppone a ciò che può esistere senza le virtù morali.
Ora, come nota Aristotele [ Ethic. 6,5 ], il fatto « che uno pecchi volendo peccare » si oppone alla prudenza.
Quindi la prudenza non può sussistere senza le virtù morali.
Le altre virtù intellettuali possono esistere anche senza le virtù morali; non però la prudenza.
E il motivo è che la prudenza è la retta ragione delle azioni da compiere; e non soltanto in generale, ma anche nel particolare, cioè nel campo in cui le azioni si svolgono.
Ora, la retta ragione richiede innanzitutto i princìpi da cui procedere.
Trattandosi però di cose particolari e concrete, la ragione è costretta a procedere deducendo non soltanto dai princìpi universali, ma anche dai princìpi particolari.
Ora, per i princìpi universali dell'operare l'uomo è ben disposto mediante l'abito naturale dell'intelligenza dei princìpi, grazie al quale conosce che nessun male è da farsi; oppure mediante una scienza pratica.
Ma ciò non basta per una buona deduzione intorno ai singolari.
Infatti talvolta questi princìpi universali conosciuti attraverso l'intelletto o la scienza vengono compromessi, in casi particolari, da qualche passione: come a colui che è dominato dalla concupiscenza sembra cosa buona ciò che desidera, sebbene sia contrario al principio universale della ragione.
Perciò, come uno viene predisposto a comportarsi bene rispetto ai princìpi universali dall'abito naturale dell'intelletto, o da quello di una scienza, così perché sia ben disposto rispetto ai princìpi particolari dell'agire, cioè ai fini, è necessario che venga perfezionato da alcuni abiti in forza dei quali gli divenga come connaturale giudicare rettamente del fine.
E questo è il compito delle virtù morali: infatti il virtuoso giudica rettamente della virtuosità del fine poiché, come dice Aristotele [ Ethic. 3,5 ], « quale uno è, tale è il fine che gli appare ».
Per avere dunque la retta ragione delle azioni da compiere, cioè per avere la prudenza, si richiede che uno possegga le virtù morali.
1. La ragione precede nella conoscenza del fine la volizione di esso, ma la volizione del fine precede la ragione nell'atto in cui essa col raziocinio prepara la scelta dei mezzi per raggiungerlo, il che è proprio della prudenza.
Così come in campo speculativo l'intelligenza dei princìpi è il principio della ragione raziocinante.
2. I princìpi delle opere dell'arte non sono giudicati da noi buoni o cattivi in base alla disposizione del nostro appetito - come invece avviene per i fini, che sono i princìpi nell'ordine morale -, ma soltanto in base alla ragione.
Perciò l'arte non richiede una virtù che disponga bene l'appetito.
3. La prudenza non dispone soltanto a ben consigliare, ma anche a ben giudicare e a ben comandare.
Il che non può avvenire senza rimuovere l'impedimento delle passioni, che compromettono il giudizio e il comando della prudenza: e ciò si ottiene attraverso le virtù morali.
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