Summa Teologica - I-II |
In 3 Sent., d. 23, q. 1, a. 4, sol. 3; De Virt., q. 1, aa. 10, 12
Pare che non vi siano delle virtù teologali.
1. Aristotele [ Phys. 6,3 ] ha scritto che « la virtù è la disposizione di un essere perfetto all'ottimo: e chiamo perfetto l'essere che è [ ben ] disposto secondo la sua natura ».
Ora, ciò che è divino è superiore alla natura umana.
Quindi le virtù teologali non sono virtù umane.
2. Dire virtù teologali è come dire virtù divine.
Ma le virtù divine sono esemplari, come si è spiegato [ q. 61, a. 5 ], ed esse non sono in noi, ma in Dio.
Quindi le virtù teologali non sono virtù umane.
3. Si dicono teologali quelle virtù con le quali siamo ordinati a Dio, primo principio e fine ultimo delle cose.
Ma l'uomo è ordinato al primo principio e al fine ultimo in forza della stessa natura della ragione e della volontà.
Perciò non si richiedono gli abiti delle virtù teologali per ordinare a Dio la ragione e la volontà.
I precetti della legge riguardano gli atti delle virtù.
Ma nella legge di Dio si comandano atti di fede, di speranza e di carità, poiché sta scritto [ Sir 2,8ss ]: « Voi che temete il Signore, credete in lui »; e ancora: « sperate in lui ( … ); amatelo ».
Quindi la fede, la speranza e la carità sono virtù che indirizzano a Dio.
Quindi sono virtù teologali.
La virtù, come si è spiegato [ q. 5, a. 7 ], predispone l'uomo a quegli atti che lo indirizzano alla beatitudine.
Ora, esistono per l'uomo due tipi di beatitudine o felicità, come si disse [ q. 5, a. 5 ].
La prima, proporzionata alla natura umana, l'uomo può raggiungerla mediante i princìpi della sua natura.
La seconda, che sorpassa la natura umana, l'uomo può raggiungerla con la sola potenza di Dio, mediante una certa partecipazione della divinità: poiché, come dice S. Pietro [ 2 Pt 1,4 ], mediante Cristo siamo stati fatti « partecipi della natura divina ».
E poiché quest'ultima beatitudine sorpassa le proporzioni della natura umana, i princìpi naturali di cui l'uomo si serve per ben operare secondo la sua capacità non bastano a indirizzare l'uomo alla predetta beatitudine.
Perciò è necessario che da parte di Dio vengano elargiti all'uomo altri princìpi, che lo indirizzino alla beatitudine soprannaturale come dai princìpi naturali viene indirizzato, sia pure con l'aiuto di Dio, al fine connaturale.
E questi princìpi sono detti virtù teologali: sia perché hanno Dio per oggetto, in quanto da esse siamo indirizzati a Dio; sia perché sono infuse in noi da Dio soltanto; sia perché le conosciamo soltanto per rivelazione divina in base alla Sacra Scrittura.
1. A un essere si può attribuire una natura in due modi.
Primo, in maniera essenziale: e in questo senso le suddette virtù teologali sorpassano la natura dell'uomo.
Secondo, per partecipazione, cioè come il legno che brucia partecipa la natura del fuoco: e in questo senso l'uomo diviene partecipe della natura di Dio, come si è detto [ nel corpo ].
E così queste virtù vengono attribuite all'uomo secondo la natura partecipata.
2. Queste virtù vengono dette divine non perché rendano Dio virtuoso, ma perché noi grazie ad esse siamo resi virtuosi da Dio, e in ordine a Dio.
Perciò esse non sono virtù esemplari, ma tratte dall'esemplare.
3. La ragione e la volontà sono naturalmente ordinate a Dio in quanto egli è il principio e il fine della natura, però secondo le capacità della natura stessa.
Quindi per loro natura non sono sufficientemente ordinate a lui in quanto oggetto della beatitudine soprannaturale.
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