Summa Teologica - I-II |
Supra, q. 63, a. 2, ad 2; infra, q. 73, a. 1, ad 2; II-II, q. 24, a. 12; De Virt., q. 1, a. 1, ad 5
Pare che l'atto vizioso, cioè il peccato, non possa coesistere con la virtù.
1. I contrari non possono coesistere nel medesimo soggetto.
Ma il peccato da un certo punto di vista, come si è spiegato [ a. 1 ], è il contrario della virtù.
Quindi il peccato non può coesistere con essa.
2. Il peccato è peggiore del vizio, cioè l'atto cattivo è peggiore dell'abito vizioso.
Ma il vizio non è compatibile con la virtù.
Quindi neppure il peccato.
3. Secondo Aristotele [ Phys. 2,8 ] il peccato si verifica tanto nelle realtà naturali quanto nell'attività volontaria.
Ma nelle realtà naturali il peccato dipende sempre dalla corruzione di una virtù naturale: dice infatti il Filosofo [ ib. ] che « i mostri derivano dalla corruzione di qualche principio nel seme ».
Perciò anche nell'attività volontaria il peccato si verifica soltanto per la corruzione di qualche virtù dell'anima.
E così il peccato e la virtù sono incompatibili nel medesimo soggetto.
Il Filosofo [ Ethic. 2,3 ] insegna che la virtù si genera e si corrompe in forza di princìpi contrari.
Ma sopra [ q. 51, a. 3 ] abbiamo dimostrato che un solo atto virtuoso non causa la virtù.
Quindi neppure un solo atto peccaminoso può distruggerla.
Perciò le due cose possono coesistere nel medesimo soggetto.
Il peccato sta alla virtù come un atto cattivo sta a un abito buono.
Ma un abito non si trova nell'anima come la forma in un essere di ordine naturale.
Una forma naturale, infatti, produce per necessità l'operazione rispettiva: per cui l'atto della forma contraria non è compatibile con una data forma naturale: col calore, p. es., non è compatibile l'atto del raffreddamento, e con la levità non è possibile il moto verso il basso, se non per la violenza di una causa esterna.
L'abito invece non produce la sua operazione nell'anima per necessità, ma l'uomo « se ne serve quando vuole » [ cf. Averroè, De anima 3,18 ].
Per cui rimanendo l'abito in lui, l'uomo può non usarne, o può compiere un atto contrario.
In questo modo dunque, pur possedendo una virtù, uno può passare all'atto contrario del peccato.
L'atto del peccato quindi, confrontato con la virtù in quanto questa è un abito, non può corromperla, se è un atto unico: come infatti un abito non può essere generato da un unico atto, così non può esserne distrutto, secondo le spiegazioni date [ q. 63, a. 2, ad 2 ].
Se invece l'atto peccaminoso viene confrontato con la causa delle virtù, allora è possibile che certe virtù siano distrutte da un solo atto peccaminoso.
Infatti ogni peccato mortale è contrario alla carità, radice di tutte le virtù infuse in quanto virtù: perciò da un solo peccato mortale, con la perdita della carità, vengono distrutte conseguentemente tutte le virtù infuse, sotto l'aspetto di virtù.
E dico questo a motivo della fede e della speranza, i cui abiti informi rimangono dopo il peccato mortale; ma allora non sono virtù.
Invece il peccato veniale, che non è contrario alla carità e non la esclude, non esclude neppure le altre virtù.
Quanto poi alle virtù acquisite, esse non vengono mai distrutte da un unico atto di qualsiasi peccato.
Così dunque il peccato mortale non è compatibile con le virtù infuse; è però compatibile con le virtù acquisite.
Invece il peccato veniale è compatibile con le une e con le altre.
1. Il peccato non è direttamente contrario alla virtù, ma al suo atto.
Esso perciò è incompatibile con l'atto della virtù, ma può coesistere con il suo abito.
2. Il vizio è direttamente contrario alla virtù, come il peccato all'atto virtuoso.
Perciò il vizio esclude la virtù, come il peccato ne esclude l'atto.
3. Le virtù naturali agiscono per necessità: finché dunque la virtù è integra, non si può mai riscontrare un peccato nell'operazione.
Invece le virtù dell'anima non producono i loro atti per necessità: per cui il paragone non regge.
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