Summa Teologica - I-II |
In 2 Sent., d. 42, q. 1, a. 5, ad 2; In 4 Sent., d. 46, q. 1, a. 3
Pare che il peccato meriti una pena quantitativamente infinita.
1. Geremia [ Ger 10,24 ] così pregava: « Correggimi, Signore, ma con giusta misura, non secondo la tua ira, affinché tu non mi riduca al nulla ».
Ora, l'ira di Dio indica metaforicamente la vendetta della giustizia divina, e ridurre al nulla è una pena infinita, come è opera di una virtù infinita fare una cosa dal nulla.
Quindi secondo la vendetta divina un peccato viene punito con una pena infinita in gravità.
2. La gravità della pena corrisponde alla gravità della colpa, come sta scritto [ Dt 25,2 ]: « Secondo la gravità del peccato sarà la misura della pena ».
Ma il peccato che è commesso contro Dio è infinito, poiché il peccato è tanto più grave quanto maggiore è la persona offesa: come è un peccato più grave percuotere il sovrano che percuotere una persona privata.
Ora, la grandezza di Dio è infinita.
Perciò il peccato commesso contro Dio merita una pena infinita.
3. Una cosa può essere infinita in due maniere: nella sua durata e nella sua grandezza.
Ma la pena è infinita quanto alla durata.
Quindi lo è pure quanto alla grandezza.
Stando a questa tesi le punizioni dei peccati mortali sarebbero tutte uguali: poiché un infinito non può essere maggiore di un altro infinito.
La pena è proporzionata alla colpa.
Ora, nella colpa si devono considerare due aspetti.
Il primo è l'allontanamento dal bene eterno, che è infinito: e da questo lato il peccato è infinito.
Il secondo è la conversione, o adesione disordinata al bene transitorio.
E da questo lato il peccato è limitato, o finito: sia perché è tale il bene transitorio, sia perché l'adesione stessa è limitata, non potendo essere infinite le azioni della creatura.
Perciò dal lato dell'allontanamento corrisponde al peccato la pena del danno, che è infinita: è infatti la perdita di un bene infinito, cioè di Dio.
Invece dal lato della conversione disordinata corrisponde al peccato la pena del senso, che è limitata.
1. Non si addice alla divina giustizia annientare del tutto il peccatore, essendo ciò incompatibile con l'eternità della pena, che è secondo la divina giustizia, come si è dimostrato [ a. prec. ].
Si dice invece che è ridotto al nulla chi viene privato dei beni spirituali, secondo l'espressione di S. Paolo [ 1 Cor 13,2 ]: « Se non avessi la carità, non sarei nulla ».
2. L'argomento vale se si considera il peccato dalla parte dell'allontanamento: è così infatti che l'uomo pecca contro Dio.
3. La durata della pena corrisponde alla durata della colpa non quanto all'atto, bensì quanto alla macchia che essa produce, e che segna la durata dell'obbligazione alla pena.
Invece il rigore della pena corrisponde alla gravità della colpa.
Ora, una colpa irreparabile di per sé ha una durata infinita: perciò merita una pena eterna.
Dal lato della conversione però questa infinità non esiste: e così da questo lato la colpa non merita una pena infinita nella sua gravità.
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