Summa Teologica - I-II

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Articolo 3 - Se la consuetudine possa acquistare vigore di legge

II-II, q. 79, a. 2, ad 2; In 4 Sent., d. 33, q. 1, a. 1, ad 1; Quodl., 2, q. 4, a. 3; 9, q. 4, a. 2

Pare che la consuetudine non possa acquistare vigore di legge.

Infatti:

1. La legge umana, come si è visto [ q. 93, a. 3; q. 95, a. 2 ], deriva dalla legge naturale e dalla legge divina.

Ma le consuetudini degli uomini non possono cambiare né la legge naturale, né quella divina.

Quindi non possono cambiare neppure la legge umana.

2. L'insieme di molte cose cattive non può produrne una buona.

Ora, chi per primo comincia ad agire contro la legge fa una cattiva azione.

Perciò moltiplicando atti consimili non si produce una cosa buona.

La legge invece è una cosa buona, essendo la regola degli atti umani.

Quindi la legge non può essere sostituita dalla consuetudine in modo che questa ottenga vigore di legge.

3. Istituire le leggi spetta alle persone pubbliche, che hanno il compito di governare la società: perciò le persone private non possono istituirle.

Ma la consuetudine si instaura con gli atti di persone private.

Quindi essa non può acquistare vigore di legge, così da abrogare la legge.

In contrario:

S. Agostino [ Epist. 36 ] insegna: « Il costume del popolo e le istituzioni dei maggiori sono da considerarsi leggi.

E come vengono castigati i trasgressori della legge di Dio, così devono esserlo i violatori delle consuetudini ecclesiastiche ».

Dimostrazione:

Tutte le leggi emanano dalla ragione e dalla volontà del legislatore: la legge divina e quella naturale emanano dalla volontà razionale di Dio; quella umana dalla volontà dell'uomo regolata dalla ragione.

Ora, la ragione e la volontà dell'uomo nell'agire si manifestano sia con le parole che con i fatti: poiché ciascuno mostra di scegliere come un bene quanto egli compie col suo agire.

D'altra parte è chiaro che la legge può essere mutata o spiegata con la parola, in quanto questa esprime i moti interiori e i concetti della ragione umana.

Perciò anche mediante gli atti, i quali, specialmente se moltiplicati, creano la consuetudine, una legge può essere mutata e interpretata, e può essere prodotto qualcosa che abbia vigore di legge: in quanto cioè gli atti esterni così moltiplicati dichiarano in modo efficacissimo i moti interiori della volontà, e i concetti della ragione.

Infatti ciò che viene ripetuto più volte mostra di derivare da un giudizio deliberato della ragione.

E in base a ciò la consuetudine ha vigore di legge, abolisce la legge e interpreta la legge.

Analisi delle obiezioni:

1. La legge naturale e quella divina derivano, come si è detto [ nel corpo ], dalla volontà di Dio.

Perciò non possono essere mutate dalla consuetudine, che deriva dalla volontà umana, ma soltanto dall'autorità di Dio.

Quindi nessuna consuetudine può avere vigore contro la legge divina o la legge naturale: infatti S. Isidoro [ Synonym. 2,80 ] ammonisce: « L'uso ceda all'autorità: la legge e la ragione trionfino delle cattive usanze ».

2. Si è già detto [ q. 96, a. 6 ] che le leggi umane in certi casi sono inadeguate: perciò talora si può agire trascurando la legge, in quei casi cioè in cui la legge è inadeguata, senza che l'atto sia cattivo.

E quando questi casi si moltiplicano, per qualche mutazione degli uomini, allora la consuetudine sta a dimostrare che la legge è ormai inutile: come lo dimostrerebbe la promulgazione esplicita di una legge contraria.

Se invece rimane ancora il motivo che la rendeva utile, allora non prevale la consuetudine sulla legge, ma la legge sulla consuetudine; a meno che la legge non sia inutile per il solo motivo che non è « possibile secondo le consuetudini del paese », la qual cosa era una delle condizioni della legge [ Isid., Etym, 5,21 ].

È infatti difficile rimuovere le usanze di tutto un popolo.

3. Il popolo in cui si introduce la consuetudine si può trovare in due diverse condizioni.

Se è un popolo libero, capace di darsi delle leggi, il consenso comune della moltitudine espresso nell'osservanza di una consuetudine vale più dell'autorità del principe, il quale ha il potere di istituire le leggi solo come rappresentante del popolo.

Per cui, sebbene le singole persone non abbiano il potere di istituire le leggi, tuttavia l'intero popolo ha tale potere.

- Tuttavia anche nell'altro caso, in cui cioè il popolo non ha la libera facoltà di darsi le leggi, o di mutare quelle stabilite da un'autorità superiore, la consuetudine che prevale può acquistare vigore di legge in quanto viene tollerata da coloro che hanno il compito di imporre la legge: infatti questa tolleranza mostra che si approva l'uso introdotto dalla consuetudine.

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