Summa Teologica - II-II |
C. G., III, cc. 116, 117; In 1 Tim., c. 1, lect. 2
Pare che sulla carità non si debbano dare dei precetti.
1. La carità impone il modo agli atti di tutte le virtù su cui vengono dati i precetti, essendo essa la forma delle virtù, come si è visto [ q. 23, a. 8 ].
Ma il modo, come si dice comunemente, sfugge all'imposizione del precetto.
Quindi non si devono dare dei precetti sulla carità.
2. La carità, che « è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo » [ Rm 5,5 ], ci rende liberi, poiché sta scritto [ 2 Cor 3,17 ]: « Dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà ».
Ma l'obbligazione che deriva dai precetti è in contrasto con la libertà, dato che impone una necessità.
Quindi sulla carità non si devono dare dei precetti.
3. La carità, come si è visto sopra [ I-II, q. 100, a. 9, ad 2 ], è la prima fra tutte le virtù, a cui sono ordinati i precetti.
Se quindi vengono dati dei precetti sulla carità, questi dovrebbero trovarsi tra i precetti più importanti, cioè nel decalogo.
Ma qui essi non si trovano.
Quindi sulla carità non si deve dare alcun precetto.
Ciò che Dio esige da noi è materia di precetto.
Ma Dio esige dall'uomo, come afferma la Scrittura [ Dt 10,12 ], « che egli lo ami ».
Quindi si devono dare dei precetti sulla carità, che è l'amore di Dio.
Come si è già notato [ I-II, q. 99, aa. 1, 5; q. 100, a. 5, ad 1 ], il precetto implica l'idea di cosa dovuta.
Perciò in tanto un'azione ricade sotto un precetto, in quanto ha l'aspetto di cosa dovuta.
Ma una cosa può essere dovuta in due modi: direttamente o indirettamente.
È direttamente dovuto in ogni attività ciò che ne costituisce il fine, avendo esso di per sé natura di bene; è invece dovuto indirettamente ciò che è ordinato quale mezzo al fine: nel caso del medico, p. es., il dovere diretto è far guarire, mentre il dovere indiretto è somministrare la medicina adatta per guarire.
Ora, il fine della vita spirituale è l'unione con Dio, che si attua con la carità; e tutte le altre cose attinenti alla vita spirituale sono mezzi ordinati a questo fine.
Da cui le parole di S. Paolo [ 1 Tm 1,5 ]: « Il fine del precetto è la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera ».
Infatti tutte le virtù, i cui atti sono appunto materia dei precetti, sono ordinate a questo: o a purificare il cuore dal turbine delle passioni, come le virtù che hanno per oggetto le passioni; o a formare la buona coscienza, come le virtù che hanno per oggetto le azioni esterne; o a garantire il possesso di una fede sincera, come le cose riguardanti il culto di Dio.
Ora, per amare Dio sono richiesti questi tre elementi: infatti un cuore impuro viene distolto dall'amore di Dio a causa della passione che inclina verso le cose terrene, la cattiva coscienza rende odiosa la divina giustizia per il timore del castigo e la fede insincera trascina l'affetto verso un'idea falsa di Dio, separando dalla verità divina.
Ma in ogni genere di cose gli elementi che valgono di per sé e direttamente sono superiori a quelli che valgono in maniera indiretta.
Quindi, come dice il Vangelo [ Mt 22,38 ], il comandamento più grande è quello della carità.
1. Come si è detto sopra [ I-II, q. 100, a. 10 ] nel trattare dei precetti, il modo caratteristico dell'amore non è incluso in quei precetti che riguardano gli atti delle altre virtù.
Nel precetto, p. es.: « Onora il padre e la madre », non è incluso che ciò si faccia per amore di carità.
Però l'atto della carità è oggetto di precetti speciali.
2. L'obbligazione del precetto coarta la libertà solo in colui il cui spirito è avverso a ciò che viene comandato: il che è evidente in coloro che osservano i comandamenti soltanto per timore.
Ma il precetto della carità non può essere osservato se non sotto la spinta della propria volontà.
Esso perciò non è in contrasto con la libertà.
3. Tutti i precetti del decalogo sono ordinati all'amore di Dio e del prossimo.
Quindi i precetti della carità non dovevano essere enumerati fra i comandamenti del decalogo, essendo inclusi in tutti.
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