Summa Teologica - II-II |
Supra, q. 48; In 3 Sent., d. 33, q. 3, a. 1, sol. 4; In 6 Ethic., lect. 7
Pare che non sia giusto considerare la politica come una parte della prudenza.
1. L'arte regale di governo, come si è visto [ q. 48 ], è una parte della prudenza politica.
Ora, una parte non può essere divisa in contrapposizione al tutto.
Perciò la politica non va considerata come una specie distinta della prudenza.
2. Le specie degli abiti si distinguono secondo la diversità degli oggetti.
Ma le cose che un suddito esegue sono esattamente quelle che il principe comanda.
Quindi la politica, in quanto interessa i sudditi, non va considerata come una specie della prudenza distinta dalla prudenza regale.
3. Ogni suddito è una persona privata.
Ma qualsiasi persona privata può governare pienamente se stessa con la prudenza comunemente detta.
Quindi non si deve ammettere un'altra specie di prudenza denominata politica.
Il Filosofo [ Ethic. 6,8 ] afferma: « Per quanto riguarda la città, la prudenza architettonica è legislatrice; l'altra invece, che riguarda il particolare, conserva il nome comune di politica ».
Lo schiavo è mosso dal padrone col comando, e così pure il suddito dal principe, in modo diverso però da come gli esseri privi di ragione o di vita sono mossi dall'impulso dei loro motori.
Infatti gli esseri inanimati e irrazionali sono posti in azione solo da altre cause e non da se stessi: poiché non hanno il dominio dei loro atti mediante il libero arbitrio.
E così la bontà del loro comportamento non dipende da essi, ma dai loro motori.
Invece gli schiavi, come qualsiasi suddito umano, sono messi in azione dall'altrui comando in modo però da muovere se stessi mediante il libero arbitrio.
Perciò in essi si richiede una certa rettitudine di governo con la quale guidino se stessi nell'obbedire ai superiori.
E ciò costituisce la specie della prudenza che viene detta politica.
1. L'arte regale, come si è detto [ a. prec. ], è la specie più perfetta della prudenza.
Perciò la prudenza dei sudditi, che è al disotto di essa, conserva il nome comune di politica.
Come avviene anche nella logica, in cui un predicato esclusivo che non esprime l'essenza di una cosa conserva il nome comune di proprio.
2. Come sopra [ q. 47, a. 5; I-II, q. 54, a. 2 ] si è visto, è la diversità nella ragione di oggetto che diversifica gli abiti secondo la specie.
Ora, sia il re che i sudditi considerano le medesime azioni da compiere, ma il primo le considera sotto una ragione più universale che non il suddito: infatti molti in mansioni diverse ubbidiscono a un unico re.
Perciò l'arte regale di governo sta alla politica di cui parliamo come l'arte dell'architetto sta a quella dei muratori.
3. Con la prudenza comunemente detta l'uomo governa se stesso in ordine al bene proprio, mentre con la politica di cui parliamo lo fa in ordine al bene comune.
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