Summa Teologica - II-II |
De Malo, q. 8, a. 2; In 4 Ethic., lect. 8
Pare che la magnanimità non sia una virtù
1. Le virtù morali consistono tutte nel giusto mezzo.
Invece la magnanimità non consiste nel giusto mezzo, bensì in qualcosa di sommo: poiché, come dice Aristotele [ Ethic. 4,3 ], il magnanimo « si crede degno delle più grandi cose ».
Quindi la magnanimità non è una virtù.
2. Chi possiede una virtù le possiede tutte, come sopra [ I-II, q. 65 ] si è visto.
Invece uno può avere delle virtù senza la magnanimità: infatti il Filosofo [ l. cit. ] scrive che « chi è degno di piccole cose e si stima degno di esse, è moderato », ma non magnanimo.
Quindi la magnanimità non è una virtù.
3. La virtù, come si è visto [ I-II, q. 55, a. 4 ], è una buona qualità dell'anima.
La magnanimità invece implica certe disposizioni del corpo: poiché il Filosofo [ l. cit. ] insegna che « il magnanimo ha il passo lento, la voce grave e il parlare posato ».
Quindi la magnanimità non è una virtù.
4. Nessuna virtù è incompatibile con un'altra.
Ma la magnanimità è incompatibile con l'umiltà: infatti il magnanimo, come dice Aristotele [ l. cit. ], « si stima degno di cose grandi, e disprezza gli altri ».
Quindi la magnanimità non è una virtù.
5. Qualsiasi virtù ha delle proprietà degne di lode.
Invece il magnanimo ha delle proprietà riprovevoli:
prima di tutto « non si ricorda dei benefici ricevuti »;
secondo, « è ozioso e tardo »;
terzo, « con i più si serve dell'ironia »;
quarto, « non sa convivere con gli altri »;
quinto, « preferisce le cose belle e infruttuose a quelle fruttuose » [ cf. ib. ].
Perciò la magnanimità non è una virtù.
Nella Scrittura [ 2 Mac 14,18 ] si legge questa lode: « Nicanore, sentendo parlare del valore che avevano gli uomini di Giuda, e della loro grandezza d'animo nelle lotte per la patria », ecc.
Ora, degni di lode sono soltanto gli atti di virtù.
Quindi la magnanimità, a cui appartiene la grandezza d'animo, è una virtù.
E proprio della virtù umana custodire nelle cose umane la bontà di ordine razionale, essendo la bontà propria dell'uomo.
Ora, fra tutti i beni esterni dell'uomo l'onore occupa il primo posto, come sopra [ a. 1 ] si è detto.
Quindi la magnanimità, che impone nella brama dei grandi onori la moderazione della ragione, è una virtù.
1. Rispondiamo col Filosofo [ Ethic. 4,3 ] che « il magnanimo è estremo quanto alla grandezza », poiché tende alle più grandi cose, « ma è nel giusto mezzo in quanto vi tende come si deve », cioè seguendo la ragione: « infatti egli si stima nel suo giusto valore », come si legge nel testo citato, poiché non pretende onori più grandi di quelli che gli spettano.
2. La connessione delle virtù non va intesa secondo i loro atti, cioè nel senso che ogni persona virtuosa debba avere gli atti di tutte le virtù.
Poiché gli atti della magnanimità non competono a tutti i virtuosi, ma solo ai grandi.
Invece tutte le virtù sono connesse nelle loro cause o princìpi, che sono la prudenza e la grazia, in quanto abiti coesistenti inseparabilmente nell'anima, o in maniera attuale o come disposizioni prossime.
E così una persona a cui non spetta l'atto di questa virtù può avere l'abito della magnanimità: un abito cioè che la dispone a compiere quell'atto qualora il suo stato lo esigesse.
3. I moti o atteggiamenti del corpo sono diversi secondo i diversi pensieri e sentimenti dell'anima.
Ed è per questo motivo che la magnanimità è accompagnata da certi atteggiamenti del corpo.
Infatti la sveltezza deriva dal fatto che uno bada a molte cose, che cerca di sbrigare rapidamente; invece il magnanimo bada solo alle cose grandi, che sono poche e che richiedono grande attenzione: perciò i suoi movimenti sono lenti.
E così pure il tono alto della voce e il parlare vivace si addicono a quelli che vogliono discutere di tutto, ma non ai magnanimi, che si occupano solo delle cose grandi.
E come i suddetti atteggiamenti del corpo convengono ai magnanimi a motivo dei loro sentimenti, così pure essi si riscontrano naturalmente in quanti per natura sono predisposti alla magnanimità.
4. Nell'uomo c'è qualcosa di grande, che deriva dal dono di Dio, e ci sono dei difetti dovuti all'infermità della sua natura.
Ora, la magnanimità fa sì che l'uomo « si consideri degno di grandi onori » in base ai doni ricevuti da Dio.
Se dunque uno, p. es., è di grande virtù, la magnanimità fa sì che egli tenda a grandi opere virtuose.
E lo stesso si dica per l'uso di qualsiasi altro bene, p. es. della scienza o dei beni di fortuna.
Invece l'umiltà fa sì che uno si disprezzi in considerazione dei propri difetti.
- Parimenti la magnanimità disprezza gli altri in quanto destituiti dei doni di Dio: infatti essa non fa caso degli altri al punto di compiere qualcosa di riprovevole.
Invece l'umiltà onora gli altri e li stima superiori in quanto considera in essi i doni di Dio.
Perciò nei Salmi [ Sal 15,4 ] si legge: « Ai suoi occhi è spregevole il malvagio », e ciò si riferisce al disprezzo proprio del magnanimo, « ma onora chi teme il Signore », e ciò si riferisce all'atteggiamento rispettoso dell'umile.
- Così dunque è evidente che la magnanimità e l'umiltà non sono virtù contrarie, sebbene sembrino tendere a cose opposte: partono infatti da considerazioni diverse.
5. Le proprietà indicate non sono riprovevoli, ma lodevoli al massimo in quanto appartengono alla magnanimità.
Infatti la prima, che consiste nel « non ricordarsi dei benefici ricevuti », è da intendersi nel senso che il magnanimo non gradisce ricevere benefici senza renderne di maggiori.
Il che rientra nella perfezione della gratitudine, in cui egli vuole eccellere come anche negli atti di tutte le altre virtù.
- Parimenti si dice in secondo luogo che egli « è ozioso e tardo » non perché si rifiuti di compiere le cose che lo riguardano, ma nel senso che non si intromette in tutte le faccende che lo riguardano, bensì solo in quelle più grandi che sono degne di lui.
- Terzo, si dice inoltre che egli « si serve dell'ironia » non in quanto essa è un vizio contrario alla veracità, cioè nel senso che egli attribuisca a se stesso dei difetti che non ha, o neghi i propri meriti, ma nel senso che non fa mostra di tutta la sua grandezza, specialmente con la massa degli inferiori: poiché, come nota il Filosofo nello stesso luogo, è proprio del magnanimo « essere grande con i nobili e con i ricchi, e modesto con quelli di media condizione ».
- Quarto, si dice che « egli non sa convivere », cioè familiarmente, « se non con gli amici », poiché rifugge dall'adulazione e dalla simulazione, che sono proprie della pusillanimità.
Tuttavia egli convive con tutti, grandi e piccoli, « nella maniera dovuta », secondo le spiegazioni date [ ad 1 ].
- Quinto, si dice finalmente che « egli preferisce le cose infruttuose » non di qualsiasi tipo, ma « buone », cioè oneste.
Infatti in tutti i casi egli preferisce l'onesto all'utile, in quanto più nobile: poiché l'utile viene cercato per sopperire a delle deficienze, che sono incompatibili con la magnanimità.
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