Summa Teologica - III |
In 3 Sent., d. 1, q. 1, a. 3; In 1 Tim., c. 1, lect. 4
Pare che Dio si sarebbe incarnato anche se l'uomo non avesse peccato.
1. Se rimane la causa, rimane l'effetto.
Ma nell'incarnazione di Cristo, come dice S. Agostino [ De Trin. 13,17.22 ], oltre alla liberazione dal peccato « ci sono da considerare molte altre cause », a cui abbiamo già fatto cenno [ a. prec. ].
Quindi, anche se l'uomo non avesse peccato, Dio si sarebbe [ ugualmente ] incarnato.
2. Appartiene all'onnipotenza divina portare a compimento le sue opere e manifestarsi in qualche effetto infinito.
D'altra parte nessuna pura creatura può costituire un effetto infinito, essendo essa limitata per essenza.
Ora, solo nell'opera dell'incarnazione si manifesta un effetto infinito della potenza divina, vale a dire il congiungimento di realtà infinitamente distanti fra di loro, inquantoché l'uomo è divenuto Dio.
Nella medesima opera inoltre l'universo pare raggiungere la sua perfezione, per il fatto che l'ultima creatura, cioè l'uomo, viene congiunta con il primo principio, che è Dio.
Quindi anche se l'uomo non avesse peccato, Dio si sarebbe incarnato.
3. La natura umana non è stata resa dal peccato più capace di ricevere la grazia.
Eppure dopo il peccato essa è in grado di ricevere la grazia dell'unione, che è la massima grazia.
Quindi sarebbe stata capace di questa grazia anche se l'uomo non avesse peccato.
Né Dio avrebbe negato alla natura umana un bene di cui essa era capace.
Dio quindi si sarebbe incarnato anche se l'uomo non avesse peccato.
4. La predestinazione divina è eterna.
Ma di Cristo S. Paolo [ Rm 1,4 ] dice che « è stato predestinato quale Figlio di Dio con potenza ».
Perciò anche prima del peccato era necessario che per adempiere la predestinazione divina il Figlio di Dio si incarnasse.
5. Il mistero dell'incarnazione fu rivelato al primo uomo, come risulta dalle sue parole [ Gen 2,23 ]: « Questa volta è osso delle mie ossa », ecc., relative al matrimonio, che l'Apostolo [ Ef 5,32 ] considera « un grande mistero, in riferimento a Cristo e alla Chiesa ».
Ma l'uomo non poteva conoscere in precedenza la propria caduta, per la stessa ragione per cui non lo poteva l'angelo, come dimostra S. Agostino [ De Gen. ad litt. 11,18.23 ].
Quindi Dio si sarebbe incarnato anche se l'uomo non avesse peccato.
S. Agostino [ Serm. 174 ], spiegando le parole evangeliche [ Lc 19,10 ]: « Il Figlio dell'Uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto », dichiara: « Se l'uomo non avesse peccato, il Figlio dell'Uomo non sarebbe venuto ».
Inoltre a commento delle parole di S. Paolo [ 1 Tm 1,15 ]: « Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori », la Glossa [ ord. ] aggiunge: « Nessun altro motivo ebbe per venire tra noi Cristo Signore, se non quello di salvare i peccatori.
Togli le malattie, togli le ferite, e non c'è più bisogno di medicina ».
Ci sono in proposito opinioni diverse.
Alcuni dicono che il Figlio di Dio si sarebbe incarnato anche se l'uomo non avesse peccato.
Altri invece affermano il contrario.
E quest'ultima opinione pare che sia da preferirsi.
Le cose infatti che dipendono dalla sola volontà di Dio, al di sopra di tutto ciò che è dovuto alle creature, non possono venire alla nostra conoscenza se non attraverso la Sacra Scrittura, nella quale la volontà divina ci è manifestata.
Siccome dunque nella Sacra Scrittura il motivo dell'incarnazione viene sempre posto nel peccato del primo uomo, è meglio dire che l'opera dell'incarnazione fu disposta da Dio a rimedio del peccato, in modo che se non ci fosse stato il peccato non ci sarebbe stata l'incarnazione.
La potenza di Dio però non è racchiusa in questi limiti: Dio infatti si sarebbe potuto incarnare anche se non ci fosse stato il peccato.
1. Tutti gli altri motivi assegnati all'incarnazione rientrano nei rimedi del peccato.
Se infatti l'uomo non avesse peccato sarebbe stato illuminato dalla luce della sapienza divina e perfezionato da Dio nella rettitudine della santità, per l'acquisto di ogni conoscenza necessaria.
Ma poiché l'uomo, abbandonando Dio, era caduto al livello delle realtà materiali, fu opportuno che Dio, assunta la carne, gli offrisse il mezzo per salvarsi anche attraverso le realtà materiali.
Per questo, commentando le parole evangeliche [ Gv 1,14 ]: « Il Verbo si fece carne », S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 2 ] annota: « La carne ti aveva accecato, la carne ti risana.
Poiché Cristo venne apposta per estinguere nella carne i vizi della carne ».
2. L'infinita potenza di Dio si manifesta già nel modo di produrre le cose dal nulla.
- Al compimento poi dell'universo basta che le cose create siano ordinate naturalmente a Dio come al loro fine.
Che invece una creatura venga unita a Dio nella persona oltrepassa i limiti della perfezione naturale.
3. Si possono riscontrare nella natura umana due capacità.
La prima al livello della sua potenza naturale.
E tale capacità viene sempre soddisfatta da Dio, che provvede a ciascuna cosa secondo le sue capacità naturali.
- La seconda invece al livello della potenza divina, alla quale ogni creatura obbedisce al primo cenno.
E a quest'ordine appartiene la capacità umana di cui si parla nell'obiezione.
Ora, Dio non asseconda sempre tale capacità della creatura, altrimenti egli non potrebbe fare nelle cose se non ciò che fa, il che è falso, come si è visto nella Prima Parte [ q. 25, a. 5; q. 105, a. 6 ].
Nulla poi impedisce che la natura umana dopo il peccato sia stata innalzata a un livello superiore: Dio infatti permette il male per trarne un bene maggiore.
Da cui le parole di S. Paolo [ Rm 5,20 ]: « Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia ».
E nella benedizione del Cero pasquale si canta: « O felice colpa, che meritasti di avere un tale e così grande Redentore! ».
4. La predestinazione presuppone la previsione del futuro.
Come dunque Dio predestina che la salvezza di una determinata persona si abbia a compiere per le preghiere di altri, così pure predestinò l'incarnazione a rimedio del peccato umano.
5. Nulla impedisce che si riveli un effetto a chi non ha avuto la rivelazione della causa.
Il mistero dell'incarnazione poté dunque essere rivelato al primo uomo senza che egli fosse consapevole della sua futura caduta: infatti non sempre chi conosce un effetto ne conosce anche la causa.
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