Summa Teologica - III

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Articolo 2 - Se Cristo in questo mondo avesse dovuto condurre una vita austera

In Matth., c. 11

Pare che Cristo in questo mondo avrebbe dovuto condurre una vita austera.

Infatti:

1. Cristo predicò la perfezione della vita molto più di Giovanni.

Ma questi condusse una vita austera, per spingere gli uomini alla perfezione attraverso il suo esempio; infatti nel Vangelo [ Mt 3,4 ] si legge: « Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi, e si nutriva di locuste e di miele selvatico »; e il Crisostomo [ In Mt hom. 10 ] commenta: « Era straordinario vedere tanta resistenza in un corpo umano; e questo soprattutto attirava i Giudei ».

Pare quindi che Cristo avrebbe dovuto condurre una vita anche più austera.

2. L'astinenza è ordinata alla continenza; in Osea [ Os 4,10 ] infatti si legge: « Mangeranno senza mai saziarsi, quindi fornicheranno senza interruzione ».

Ma Cristo conservò la continenza e la inculcò agli altri, secondo le parole evangeliche [ Mt 19,12 ]: « Ci sono degli eunuchi che si sono fatti tali da sé per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca ».

Pare quindi che Cristo, nella sua persona e nei suoi discepoli, avrebbe dovuto vivere una vita austera.

3. È ridicolo che uno cominci una vita di sacrificio e poi se ne allontani, poiché gli si potrebbe applicare il motto evangelico [ Lc 14,30 ]: « Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire ».

Ora Cristo, dopo il battesimo, prese a vivere una vita austerissima, rimanendo a digiunare nel deserto « per quaranta giorni e quaranta notti » [ Mt 4,1s; Mc 1,13; Lc 4,1s ].

Non era quindi ragionevole che dopo tanto rigore tornasse alla vita comune.

In contrario:

Sta scritto [ Mt 11,19 ]: « È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve ».

Dimostrazione:

Come si è detto [ a. prec. ], era conforme allo scopo dell'incarnazione che Cristo non conducesse una vita solitaria, ma vivesse con gli uomini.

Ora, per chi vive assieme agli altri la cosa più opportuna è che si conformi ad essi nel modo di vivere, secondo le parole di S. Paolo [ 1 Cor 9,22 ]: « Mi sono fatto tutto a tutti ».

Perciò era convenientissimo che Cristo nel mangiare e nel bere si regolasse come gli altri.

Per cui S. Agostino scrive [ Contra Faustum 16,31 ]: « Di Giovanni si diceva che non mangiava e non beveva, poiché non usava il cibo dei Giudei.

Ma se il Signore avesse fatto lo stesso, confrontandolo con Giovanni non avrebbero detto che mangiava e beveva ».

Analisi delle obiezioni:

1. Il Signore durante la sua vita diede esempi di perfezione in tutte le cose che riguardano la salvezza.

Ora, l'astinenza dal mangiare e dal bere non riguarda direttamente la salvezza, poiché come dice S. Paolo [ Rm 14,17 ]: « il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda ».

E S. Agostino [ De quaest. Evang. 2,11 ], spiegando le parole evangeliche [ Mt 11,19 ]: « Alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere », scrive che i santi Apostoli « capirono che il regno di Dio non consisteva nel mangiare e nel bere, ma in una perfetta uguaglianza d'animo », in modo da non esaltarsi per l'abbondanza e non avvilirsi per l'indigenza.

E altrove [ De doctr. christ. 3,12.18 ] spiega che « in queste cose non è colpevole l'uso, ma la passione con cui uno se ne serve ».

Ora, sia l'uno che l'altro genere di vita è lodevole: vivere cioè lontano dal consorzio umano, osservando l'astinenza, e vivere tra gli uomini, seguendo il tenore di vita ad essi comune.

Perciò il Signore volle dare agli uomini l'esempio dell'uno e dell'altro genere di vita.

Giovanni poi, come nota il Crisostomo [ In Mt hom. 37 ], « non aveva da mostrare che la sua vita e la sua santità.

Cristo al contrario aveva in suo favore anche i miracoli.

Lasciando quindi che Giovanni si distinguesse col digiuno, Cristo seguì la via opposta, sedendo a mensa con i pubblicani e mangiando e bevendo con loro ».

2. Come gli altri uomini acquistano la virtù della continenza mediante l'astinenza, così anche Cristo reprimeva la carne in sé e nei suoi con la virtù della sua divinità.

Per cui, come si legge nel Vangelo [ Mt 9,14 ], « i Farisei e i discepoli di Giovanni digiunavano, ma non i discepoli di Cristo ».

E S. Beda [ In Mc 1, su 2,18 ] così spiega tale fatto: « Giovanni non beveva né vino né liquori poiché l'astinenza aumentava il merito in colui che non possedeva alcun potere naturale.

Il Signore invece, che per sua natura aveva il potere di perdonare i peccati, perché avrebbe dovuto allontanare coloro che egli poteva rendere più puri degli astinenti? ».

3. Come dice il Crisostomo [ In Mt hom. 13 ], « egli digiunò non perché ne avesse bisogno, ma per far comprendere a noi quale grande bene sia il digiuno, quale difesa costituisca contro il demonio e come, una volta ricevuto il battesimo, sia necessario praticarlo senza più abbandonarsi alla dissolutezza.

Nel suo digiuno però non andò più in là di Mosè e di Elia, affinché il corpo assunto non Paresse irreale ».

S. Gregorio [ In Evang. hom. 16 ] fa poi notare che nel digiuno di quaranta giorni, da noi osservato sull'esempio di Cristo, è racchiuso un secondo mistero, poiché « la virtù del decalogo si adempie nei quattro Vangeli: dieci per quattro infatti fa quaranta.

- Oppure perché il nostro corpo mortale è composto dei quattro elementi, e seguendo la sua inclinazione contraddiciamo ai precetti che il Signore ci ha dato nel decalogo ».

Oppure ancora, secondo S. Agostino [ Lib. LXXXIII quaest. 81 ], [ perché ] « tutta la sapienza consiste nel conoscere il Creatore e le creature.

Il Creatore è la Trinità: Padre e Figlio e Spirito Santo.

Delle creature invece alcune sono invisibili, come l'anima, alla quale viene attribuito il numero tre, per cui ci viene prescritto di amare Dio in tre modi, "con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente", altre invece sono visibili, come il corpo, a cui viene attribuito il numero quattro a causa del caldo, dell'umido, del freddo e del secco.

Il numero dieci, dunque, il quale indica tutto l'insegnamento, moltiplicato per quattro, che è il numero attribuito al corpo, in quanto esso deve venire praticato mediante il corpo, ci dà il numero quaranta ».

E così « il tempo nel quale gemiamo e soffriamo è di quaranta giorni ».

Che poi Cristo, dopo il digiuno nel deserto, sia ritornato alla vita normale, non è senza motivo.

È infatti quanto conviene alla vita di chi si impegna a comunicare agli altri il frutto della sua contemplazione; impegno che, come si è detto [ a. prec., ad 2 ], Cristo si era assunto: cioè dedicarsi prima all'orazione e poi discendere al piano dell'azione vivendo in mezzo agli altri.

Per cui anche S. Beda [ l. cit. ] afferma: « Cristo digiunò perché tu non ti sottraessi al precetto; mangiò invece con i peccatori affinché tu, contemplando la sua grazia, ne riconoscessi il potere ».

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