Supplemento alla III parte

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Articolo 1 - Se il sacerdote sia tenuto in tutti i casi a celare i peccati conosciuti sotto il segreto della confessione

Pare che non in tutti i casi il sacerdote sia tenuto a celare i peccati conosciuti sotto il segreto della confessione.

Infatti:

1. Come afferma S. Bernardo [ De praecept. et dispens. 2 ], « quanto è istituito per la carità non può contrapporsi alla carità ».

Ora, mantenere il segreto di confessione in qualche caso sarebbe contro la carità: come quando uno sa in confessione che una persona è eretica, e non riesce a farla desistere dal pervertire il popolo; oppure quando uno in confessione viene a conoscere l'affinità tra persone che intendono contrarre matrimonio.

Quindi costui è tenuto a svelare la confessione.

2. Ciò a cui si è obbligati solo per un precetto della Chiesa non va osservato quando dalla Chiesa viene dato un comando contrario.

Ora, il segreto della confessione fu introdotto solo da una disposizione ecclesiastica.

Se quindi la Chiesa comanda che chiunque conosce un dato peccato lo manifesti, chi lo conosce mediante la confessione è tenuto a parlare.

3. Si è più tenuti a salvaguardare la propria coscienza che la fama altrui: poiché la carità è ordinata.

Ma talora, celando dei peccati, uno reca danno alla propria coscienza: come quando viene chiamato a testimoniare per quei peccati ed è costretto a giurare di dire la verità; oppure quando un abate conosce dalla confessione di un priore da lui dipendente un peccato, occasionato dal medesimo priorato, che gli sarebbe causa di rovina se lo lasciasse in carica, per cui è tenuto a esonerarlo dall'ufficio per un dovere pastorale: però esonerandolo pare che sveli la confessione.

Quindi in certi casi è lecito svelare la confessione.

4. Un sacerdote in base alla confessione può convincersi che un suo penitente è indegno della prelatura.

Ora, ognuno è tenuto a opporsi alla promozione di persone indegne, quando ciò dipende da lui.

Con la sua opposizione però potrebbe far sospettare il peccato, e quindi svelare in qualche modo la confessione: è evidente quindi che talora è necessario svelare la confessione.

In contrario:

1. Nei Canoni [ Decretales 5,38,12 ] si legge: « Il sacerdote si guardi dal tradire il penitente con le parole, con i segni o in qualsiasi altro modo ».

2. Il sacerdote deve uniformare la propria condotta a quella di Dio, di cui è ministro.

Ora, Dio non svela, ma copre i peccati manifestati nella confessione.

Quindi neppure il sacerdote deve svelarli.

Dimostrazione:

Nei sacramenti gli atti che vengono compiuti esternamente stanno a significare quelli che si verificano interiormente.

Perciò la confessione [ esteriore ]con la quale uno si sottopone al sacerdote è il segno di quella interiore con la quale si assoggetta a Dio.

Ora, Dio ricopre il peccato di chi a lui si assoggetta con la penitenza.

Quindi ciò va significato nel sacramento della penitenza.

È quindi necessario che la confessione rimanga segreta, per cui pecca come profanatore del sacramento chi rivela la confessione.

E ci sono poi altri vantaggi di questo segreto: infatti in questo modo gli uomini vengono attirati maggiormente alla confessione; e confessano anche con maggiore semplicità i loro peccati.

Analisi delle obiezioni:

1. Alcuni dicono che il sacerdote non è tenuto a tenere sotto il segreto della confessione se non i peccati di cui il penitente promette di emendarsi; altrimenti egli può parlarne alle persone che possono giovarsene in bene e non in male.

Ma tale opinione è erronea, essendo incompatibile con la verità del sacramento.

Come infatti il battesimo rimane un vero sacramento anche se uno lo riceve con cattive disposizioni, e neppure cambia con ciò qualcosa di essenziale al sacramento, così la confessione non cessa di essere un atto sacramentale anche se colui che si confessa non intende emendarsi.

Quindi essa esige sempre il segreto.

Né il segreto della confessione è in contrasto con la carità.

Poiché la carità non esige che serva come rimedio al peccato ciò che uno ignora.

Ora, quanto si sa in confessione è praticamente ignorato: poiché uno lo sa non come uomo, ma come Dio.

Tuttavia nei casi suddetti uno deve procurare quei rimedi che sono possibili senza rivelare la confessione: ammonire, cioè, il penitente, e vigilare perché gli altri non siano pervertiti dall'eresia.

Può anche esortare il prelato a vegliare con più diligenza sul proprio gregge: però senza dire o lasciar trapelare nulla che possa tradire il penitente.

2. Il precetto di custodire il segreto di confessione è implicito nel sacramento stesso.

Come quindi è di legge divina l'obbligo di fare la confessione, e non si può esserne dispensati da alcuna licenza o comando umano, così nessuno può essere obbligato o autorizzato da un uomo a svelare la confessione.

Se quindi a uno venisse comandato sotto minaccia di scomunica di dire se è a conoscenza di quel dato peccato, non deve parlare: poiché deve pensare che ciò gli venga comandato sotto la condizione: « se ne è a conoscenza come uomo ».

E anche se venisse espressamente interrogato sulla confessione, non deve parlare.

Né per questo incorrerebbe nella scomunica, non essendo egli soggetto al superiore se non come uomo; ora, egli è a conoscenza di quei peccati non come uomo, bensì come Dio.

3. Un uomo può essere citato a testimoniare soltanto come uomo.

Perciò, senza pregiudizio per la coscienza, un confessore può giurare di non sapere quello che sa solo come Dio.

E così pure il prelato può lasciare senza punizione e senza altro rimedio un peccato che conosce solo come Dio.

Poiché egli non è tenuto a usare rimedi se non nel modo che gli si addice.

Per cui a quelle cose che vengono a lui deferite nel tribunale della penitenza deve rimediare, nei limiti del possibile, nell'ambito di tale tribunale.

Nel caso suddetto, p. es., l'abate deve insistere affinché il penitente rinunzi al priorato.

Oppure, se quello non vuole, può esonerarlo dalla carica per qualche altro motivo: in modo tale però da evitare ogni sospetto di violazione del segreto di confessione.

4. Uno può essere indegno della prelatura per molte altre cause, oltre che per il peccato: p. es. per mancanza di scienza, di età o di altre cose del genere.

Perciò chi si oppone non induce per questo a sospettare un delitto, né rivela così la confessione.

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