Supplemento alla III parte |
Pare che la soddisfazione non sia un atto di giustizia.
1. La soddisfazione mira a riconciliare con la persona che è stata offesa.
Ma la riconciliazione, essendo un atto di amore, appartiene alla carità.
Quindi la soddisfazione è un atto di carità e non di giustizia.
2. La causa dei nostri peccati è costituita dalle passioni che ci spingono al male.
Ora la giustizia, come insegna il Filosofo [ Ethic. 5,1 ], ha per oggetto non le passioni, ma le operazioni.
Avendo quindi la soddisfazione il compito di « distruggere le cause dei peccati », come è detto nelle Sentenze [ 4,15,1 ], sembra che non sia un atto di giustizia.
3. Premunirsi per il futuro non è un atto di giustizia, ma di prudenza, tra le cui parti rientra la cautela.
Ma questo è appunto il compito della soddisfazione, poiché spetta ad essa « non lasciare adito alle suggestioni dei peccati ».
Quindi la soddisfazione non è un atto di giustizia.
1. Nessuna virtù, al di fuori della giustizia, ha per oggetto ciò che è dovuto.
Ma la soddisfazione, come dice S. Anselmo [ Cur Deus homo 1,11 ], « rende a Dio l'onore che gli è dovuto ».
Quindi la soddisfazione è un atto di giustizia.
2. Nessuna virtù, al di fuori della giustizia, ha il compito di stabilire l'uguaglianza circa le cose esterne.
Ora, questo è proprio ciò che si compie mediante la soddisfazione, che stabilisce un'uguaglianza tra l'espiazione e l'offesa precedente.
Quindi la soddisfazione è un atto di giustizia.
Il giusto mezzo della giustizia, come insegna il Filosofo [ Ethic. 5, cc. 3,4 ], viene determinato secondo l'adeguazione di una cosa con un'altra in base a una certa proporzionalità.
Essendo quindi una tale adeguazione implicita nel termine stesso di soddisfazione [ satisfactio ], in quanto l'avverbio satis implica un'uguaglianza di proporzione, è evidente che la soddisfazione è formalmente un atto di giustizia.
L'atto di giustizia però, come dice il Filosofo [ Ethic. 5,5 ], regola o il rapporto di se stessi con altri, come quando uno restituisce a un altro ciò che gli deve, oppure il rapporto di due persone estranee, come quando il giudice fa giustizia tra due contendenti.
Ora, quando l'atto di giustizia regola il soggetto stesso rispetto ad altri, l'uguaglianza risiede in colui che agisce; quando invece regola i rapporti tra due estranei, l'uguaglianza si attua in chi subisce la sentenza.
Poiché dunque il termine satisfactio esprime l'uguaglianza di chi fa o agisce, esso esprime a rigore un atto di giustizia di se stessi verso un altro.
Ora, verso un altro uno può fare giustizia sia nell'ambito degli atti e delle passioni che in quello dei beni esterni, come anche l'ingiustizia viene fatta ad altri o sottraendo loro dei beni, o danneggiandoli con qualche atto.
E poiché l'uso dei beni esterni consiste nel donarli, l'atto di giustizia che li riguarda viene indicato con il verbo rendere, mentre il termine soddisfare indica chiaramente l'uguaglianza nell'ambito delle azioni, sebbene talora un termine venga usato per l'altro.
E poiché l'adeguazione non può aversi che tra realtà disuguali, conseguentemente la soddisfazione presuppone una disuguaglianza nell'ambito dell'agire che costituisce un'offesa: quindi la soddisfazione si riferisce a un'offesa che l'ha preceduta.
Ma nessuna parte della giustizia si riferisce a un'offesa precedente all'infuori della giustizia vendicativa, che ristabilisce l'uguaglianza in colui che viene a subire il giusto castigo: sia che si tratti del medesimo soggetto ad agire e a subire, come quando uno infligge una pena a se stesso, sia che si tratti di una persona diversa, come quando uno viene punito dal giudice, poiché la giustizia vendicativa si riferisce all'uno come all'altro caso.
E la stessa cosa fa la penitenza, che ristabilisce l'uguaglianza nel soggetto medesimo, il quale « applica a se stesso la pena »: per cui anche la penitenza è in qualche modo una specie della giustizia vendicativa.
E così risulta che la soddisfazione, che implica il ristabilimento dell'uguaglianza nel soggetto medesimo rispetto a una sua offesa precedente, è un atto di giustizia, rientrando in quella parte della giustizia che è appunto la penitenza.
1. La soddisfazione, come si è detto [ nel corpo ], è un compenso per l'ingiuria commessa.
Ora, come l'ingiuria inferita rientra direttamente nella disuguaglianza che colpisce la giustizia, e indirettamente nella disuguaglianza che ferisce l'amicizia, così la soddisfazione porta direttamente all'uguaglianza della giustizia, e indirettamente a quella dell'amicizia.
E poiché un atto promana immediatamente da quell'abito al cui fine è direttamente ordinato, mentre viene comandato da quello al cui fine tende come a termine ultimo, ne viene che la soddisfazione promana dalla giustizia ed è comandata dalla carità.
2. Sebbene la giustizia riguardi principalmente le opere esterne, tuttavia di riflesso riguarda anche le passioni, in quanto sono causa di quelle.
Ora, come la giustizia tiene a freno l'ira, affinché non si leda un altro ingiustamente, e la concupiscenza, perché non si commetta adulterio, così la soddisfazione può « distruggere le cause dei peccati ».
3. Qualsiasi virtù morale è sotto l'influsso della prudenza, poiché è da questa che riceve la natura di virtù: infatti il giusto mezzo, come risulta dalla definizione che della virtù dà Aristotele [ Ethic. 2,6 ], viene stabilito in tutte le virtù morali dalla prudenza.
Indice |