Supplemento alla III parte |
Pare che non sia esatta la definizione del matrimonio riferita dalle Sentenze [ 4,27,2 ], cioè: « L'unione maritale tra persone legittime fatta per una consuetudine indissolubile di vita ».
1. Per la definizione di marito è necessario ricorrere al termine matrimonio: poiché il marito è colui che è unito a una donna col matrimonio.
Ma nella definizione del matrimonio si parla di « unione maritale ».
Quindi in queste definizioni si fa un circolo vizioso.
2. Col matrimonio come l'uomo diviene marito di una donna, così la donna diviene moglie di un uomo.
Perciò non si può parlare di unione maritale piuttosto che di unione uxoria.
3. La consuetudine riguarda la condotta.
Ma spesso tra gli sposati si riscontrano condotte molto diverse.
Perciò nella definizione del matrimonio non si doveva includere l'espressione: « fatta per una consuetudine indissolubile di vita ».
4. Ci sono poi altre definizioni del matrimonio.
Poiché secondo Ugo di S. Vittore [ Summa sent. 7,6 ] il matrimonio è « il consenso legittimo per l'unione di due persone idonee ».
- Secondo altri invece è « la partecipazione a una vita in comune, e una comunanza secondo le leggi divine e umane ».
- E ci si domanda come differiscano tra loro queste definizioni.
Come si è già visto [ a. prec. ], nel matrimonio si possono considerare tre cose: la causa, l'essenza e gli effetti.
E in base ad esse sono state date tre definizioni del matrimonio.
Infatti quella di Ugo [ di S. Vittore ] è desunta dalla causa, cioè dal consenso, ed è evidente per se stessa.
Invece la definizione riferita dalle Sentenze mira all'essenza del matrimonio, che è l'« unione ».
E aggiunge la determinazione dei soggetti interessati, con le parole « tra persone legittime ».
Indica poi la differenza specifica con l'aggettivo « maritale »: poiché essendo il matrimonio un'unione in ordine a un dato scopo, tale unione viene specificata dall'oggetto a cui è ordinata, e precisamente da quanto riguarda il marito.
Inoltre indica il valore di questa unione, poichè è indissolubile, aggiungendo: « fatta per una consuetudine indissolubile di vita ».
L'altra definizione poi ha di mira gli effetti a cui è ordinato il matrimonio, cioè « una vita in comune » nell'ambito della famiglia.
E poiché ogni società è ordinata da una legge, viene indicato il diritto dal quale è regolata questa unione, cioè « la legge divina e umana ».
Invece le altre società, come quelle dei commercianti e dei soldati, sono istituite soltanto dalla legge umana.
1. Talora gli elementi primigeni che devono servire per la definizione non hanno un nome: e così in certe definizioni si ricorre a dati posteriori in se stessi, che però sono da noi più conosciuti; come nella definizione della qualità Aristotele [ Categ. 6 ] ricorre al termine quale, dicendo che « la qualità è ciò per cui siamo denominati quali ».
E lo stesso avviene nella definizione del matrimonio, nella quale si ricorre all'aggettivo maritale: nel senso che il matrimonio è « l'unione richiesta per i compiti propri del marito », che non potevano essere denominati con un solo vocabolo.
2. Come si è spiegato [ nel corpo ], con questa specificazione viene indicato il fine dell'unione suddetta.
E poiché secondo l'espressione dell'Apostolo [ 1 Cor 11,9 ] l'uomo « non fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo », di conseguenza la specificazione doveva essere desunta più dall'uomo che dalla donna.
3. Come la vita civile non è costituita dalle azioni private di questo individuo o di quell'altro, ma da quanto può interessare la società civile, così la vita coniugale non è altro che la convivenza relativa a tale società.
Perciò rispetto a tale vita la consuetudine degli sposi è unica e indissolubile; sebbene sia diversa rispetto agli atti personali di ciascuno.
4. La risposta appare chiara in base a quanto detto.
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