Supplemento alla III parte

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Articolo 1 - Se nell'anima separata rimangano le potenze sensitive

Pare che nell'anima separata rimangano le potenze sensitive.

Infatti:

1. Afferma S. Agostino [ De spir. et anima 15 ]: « L'anima si distacca dal corpo portando con sé tutto il senso, l'immaginazione, la razionalità, l'intelletto, l'intelligenza, l'irascibile e il concupiscibile ».

Ora il senso, l'immaginazione, l'irascibile e il concupiscibile sono potenze sensitive.

Quindi le potenze sensitive restano nell'anima.

2. Lo stesso Santo afferma ancora [ De eccl. dogm. 16 ]: « Riteniamo che solo l'anima umana sia una sostanza, nella quale anche quando è priva del corpo rimangono vivi il senso e l'intelletto ».

Quindi l'anima separata conserva le potenze sensitive.

3. Le potenze dell'anima o sono radicate nella sua essenza, come alcuni affermano, o per lo meno sono proprietà naturali della medesima.

Ma ciò che si trova nell'essenza di una cosa non se ne può mai staccare; né un soggetto è mai separato dalle sue proprietà naturali.

È quindi impossibile che l'anima separata dal corpo perda alcune potenze.

4. Non è integro ciò che manca di qualche parte.

Ma le potenze sono parti dell'anima.

Se quindi l'anima perdesse alcune delle sue potenze, dopo la morte non potrebbe dirsi completa, il che è inammissibile.

5. Le potenze dell'anima cooperano al merito più del corpo, essendo il corpo solo uno strumento, mentre le potenze sono i princìpi dell'atto.

Ora, se è necessario che il corpo sia premiato assieme all'anima, avendo cooperato al merito, molto più devono essere premiate, assieme all'anima, le sue potenze.

Quindi l'anima separata non può perderle.

6. Se l'anima separata perde una potenza sensitiva, bisogna che questa finisca nel nulla, non potendo ridursi a qualcosa di materiale, dato che non è composta di materia.

Ora, ciò che viene annichilato non torna più numericamente lo stesso.

Quindi l'anima non avrà alla risurrezione la medesima potenza sensitiva.

Ma secondo Aristotele [ De anima 2,1 ] come l'anima sta al corpo, così le potenze dell'anima stanno alle parti del corpo e la potenza visiva all'occhio.

Ora, se l'anima che si riunisce al corpo non è la stessa, neppure l'uomo che ne deriva è lo stesso.

Quindi logicamente l'occhio non sarebbe numericamente lo stesso se la sua potenza visiva non fosse la medesima.

Di conseguenza neppure una qualsiasi altra parte risorgerebbe numericamente identica.

E così neanche l'uomo completo sarebbe più il medesimo.

Non può quindi essere che l'anima separata perda le potenze sensitive.

7. Se le potenze sensitive andassero distrutte col corpo, si dovrebbero affievolire quando il corpo si indebolisce.

Ma ciò non avviene poiché, come dice Aristotele [ De anima 1,4 ], « se un vecchio prendesse l'occhio di un giovane, vedrebbe certamente come un giovane ».

Quindi neppure le potenze sensitive si perdono con la morte del corpo.

In contrario:

1. S. Agostino [ De eccl. dogm. 19 ] afferma che « l'uomo consta di due sole sostanze: l'anima e il corpo; l'anima con la sua razionalità, il corpo con i suoi sensi ».

Ora, le potenze sensitive appartengono al corpo.

Quindi non rimangono nell'anima dopo la corruzione di questo.

2. Aristotele [ Met. 12,3 ], parlando della separazione dell'anima, così si esprime: « Se alla fine rimane qualcosa, bisogna indagarlo.

Per certi elementi non sembra impossibile.

Per esempio se l'anima è di tale disposizione, non tutta, ma l'intelletto.

Tutta infatti sembra impossibile ».

Dalle quali parole sembra che non tutta l'anima si separi dal corpo, ma solo le potenze dell'anima intellettiva: quindi non quelle sensitive e vegetative.

3. Inoltre lo stesso Filosofo afferma [ De anima 2,2 ], parlando dell'intelletto: « La separazione avviene soltanto tra ciò che è perpetuo e ciò che è corruttibile: è chiaro dunque che le altre parti dell'anima non si separano, come alcuni affermano ».

Quindi le potenze sensitive non rimangono nell'anima separata dal corpo.

Dimostrazione:

Intorno a questo problema vi sono diverse opinioni.

Alcuni, pensando che tutte le potenze sono nell'anima come il colore nel corpo, ritengono che l'anima separata tragga con sé tutte le potenze.

Poiché, dicono, se l'anima mancasse di qualcosa, verrebbe a essere cambiata nelle proprietà naturali: le quali invece non possono cambiare, rimanendo lo stesso soggetto.

Ma questa opinione è falsa.

Essendo infatti la potenza ciò che ci rende adatti a fare o a patire qualcosa, e appartenendo allo stesso soggetto l'agire e il poter agire, è chiaro che la potenza appartiene allo stesso soggetto che agisce o patisce.

Perciò il Filosofo [ De somno et vigil. 1 ] dice che l'atto va attribuito a ciò che ne ha la potenza.

Ora, noi costatiamo che alcune operazioni aventi per princìpi le potenze dell'anima non appartengono, per essere esatti, all'anima, ma al composto, poiché non vengono esercitate se non mediante il corpo: come la vista, l'udito e simili.

Quindi tali potenze hanno come sede il composto, e l'anima come principio motore, essendo la forma il principio delle proprietà del composto.

Altre operazioni invece, come l'intendere, il considerare e il volere, l'anima le esercita senza organi corporei.

Essendo perciò queste azioni proprie dell'anima, le potenze relative si trovano in essa non solo in radice, ma anche come nella loro sede, o soggetto.

E poiché rimanendo un dato soggetto rimangono necessariamente anche le sue proprietà, mentre se il soggetto si corrompe anche queste subiscono la stessa sorte, è necessario che le potenze che agiscono senza alcun organo corporeo rimangano nell'anima separata; quelle invece che agiscono servendosi di organi corporei si corrompono assieme a questi.

E tali sono tutte le potenze che appartengono all'anima sensitiva e vegetativa.

Per tale motivo dunque alcuni distinguono fra le potenze sensitive dell'anima.

E dicono che queste sono di due specie: le une sarebbero gli atti [ o le forme ] degli organi, quasi emanazioni dell'anima nel corpo, e queste si corromperebbero con esso; le altre invece sarebbero la loro radice, e risiederebbero nell'anima, poiché l'anima per loro mezzo darebbe al corpo i sensi della vista, dell'udito, e così via: e queste rimarrebbero nell'anima separata.

Ma questa teoria non sembra ammissibile.

L'anima infatti solo per mezzo della sua essenza, e non mediante altre potenze, è radice di quelle potenze che sono atti di organi corporei: come qualsiasi forma, per il fatto stesso che informa la sua materia, è l'origine di quelle proprietà che sono naturalmente inerenti al composto.

Se infatti ci fosse bisogno di ammettere delle altre potenze affinché quelle potenze che perfezionano l'organo materiale possano profluire dall'essenza dell'anima, per lo stesso motivo bisognerebbe poi ammetterne delle altre mediante le quali possano profluire dall'essenza dell'anima tali potenze intermedie, e così si andrebbe all'infinito.

Se invece ci si deve fermare, è meglio fermarsi al primo passo.

E così altri affermano che le potenze sensitive, e simili, rimangono nell'anima separata solo in senso relativo, cioè come in radice, nel modo in cui le realtà originate dai princìpi sono nei princìpi stessi.

Infatti nell'anima separata rimane l'attitudine a infondere queste potenze non appena essa si riunisce al corpo.

Né tale attitudine, secondo le spiegazioni date, è da concepirsi come qualcosa di aggiunto all'essenza dell'anima.

E questa sembra l'opinione più ragionevole.

Analisi delle obiezioni:

1. Le parole di S. Agostino vanno interpretate nel senso che l'anima alcune di quelle potenze, quali l'intelletto e l'intelligenza, le porta con sé attualmente, altre invece solo in radice, come si è detto [ nel corpo ].

2. I sensi che l'anima porta con sé non sono quelli esterni, ma quelli interni, i quali appartengono alla parte intellettiva: poiché l'intelletto talvolta è chiamato senso, come si vede chiaramente in S. Basilio [ Hom. 12 in princ. Prov., n. 13 ] e in Aristotele [ Ethic. 6,11 ].

- Se poi si vuole riferire quel passo ai sensi esterni, allora vale la risposta data alla prima obiezioni.

3. Come è chiaro in base a quanto detto [ nel corpo ], le potenze sensitive non si rapportano all'anima come le proprietà essenziali al loro soggetto, ma come all'origine.

Perciò l'argomento non regge.

4. Le potenze o facoltà sono parti potenziali dell'anima.

Ora, la natura di un tutto potenziale esige che la virtù del tutto si trovi perfettamente in una parte, e nelle altre solo parzialmente: come la virtù dell'anima si riscontra perfettamente nella parte intellettiva, e nelle altre solo parzialmente.

Siccome dunque nell'anima separata rimangono le potenze della parte intellettiva, essa rimane integra e non diminuita, quantunque non vi siano più in atto le potenze sensitive: come il potere regale non è diminuito con la morte di un ministro che partecipava il suo potere.

5. Il corpo coopera al merito come parte essenziale dell'uomo che merita.

Non così invece le potenze sensitive, che appartengono al genere degli accidenti.

Quindi il paragone non regge.

6. Le potenze dell'anima sensitiva si dicono atti degli organi quasi fossero forme essenziali dei medesimi solo in forza dell'anima a cui appartengono: e sono atti degli organi in quanto li rendono idonei alle operazioni loro proprie, come il calore è l'atto del fuoco inquantoché lo rende capace di riscaldare.

Come quindi il fuoco sarebbe sempre numericamente lo stesso anche se fosse informato da un altro calore - come è evidente nel freddo dell'acqua, che non riappare numericamente identico dopo il riscaldamento, pur restando numericamente la stessa acqua -, così anche gli organi saranno numericamente gli stessi pur non essendolo numericamente le potenze.

7. Aristotele parla qui di tali potenze in quanto esistono radicalmente nell'anima: come è chiaro da quanto poi soggiunge, che cioè « i vecchi non subiscono qualcosa nell'anima, ma in ciò in cui essa si trova », vale a dire nel corpo.

E in questo senso le potenze dell'anima non si indeboliscono né si corrompono a motivo del corpo.

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