Supplemento alla III parte

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Articolo 2 - Se i morti possano essere aiutati dai vivi

Pare che i morti non possano essere aiutati dai vivi.

Infatti:

1. Dice l'Apostolo [ 2 Cor 5,10 ] che « tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male ».

Quindi dopo la morte, quando uno sarà privo del corpo, non potrà avere alcun vantaggio dalle opere altrui.

2. La stessa cosa ci viene suggerita da quanto si legge nell'Apocalisse [ Ap 14,13 ]: « Beati i morti che muoiono nel Signore, perché le loro opere li seguono ».

3. Solo chi è tuttora in istato di via può progredire nel bene; ma gli uomini dopo la morte non si trovano più in tale stato, poiché vanno applicate ad essi le parole di Giobbe [ Gb 19,8 ]: « [ Il Signore ] mi ha sbarrato la strada perché non passi ».

Quindi i morti non possono usufruire dei suffragi altrui.

4. Perché uno possa essere aiutato da un altro bisogna che vi sia una comunicazione di vita reciproca.

Ma stando al Filosofo [ Ethic. 1,11 ] non c'è alcuna comunicazione dei vivi con i morti.

Quindi i suffragi dei vivi non giovano ai morti.

In contrario:

1. Nel secondo libro dei Maccabei [ 2 Mac 12,46 ] si legge: « Santo e salutare è il pensiero di pregare per i morti, perché siano liberati dai loro peccati ».

Ciò invece sarebbe inutile se ad essi i suffragi non giovassero.

Quindi i suffragi dei vivi giovano ai morti.

2. Dice S. Agostino [ De cura pro mortuis 1 ]: « Non è da poco l'autorità della Chiesa universale che vanta la consuetudine di raccomandare le anime dei morti nelle preghiere fatte a Dio dal sacerdote all'altare del Signore ».

E tale consuetudine risale agli Apostoli, come afferma il Damasceno in un sermone intorno ai suffragi dei morti [ De suffr. mort. 3 ]: « Consapevoli dei divini misteri, i discepoli e i santi Apostoli del Salvatore stabilirono che durante gli adorabili e vivificanti misteri si facesse memoria di coloro che piamente si addormentarono nel Signore ».

E ciò è chiaro anche in base a quanto si legge in Dionigi [ De eccl. hier. 7,2 ], il quale non solo ricorda il rito con cui nella Chiesa primitiva si pregava per i morti, ma asserisce anche [ op. cit. 7,3,6 ] che i suffragi dei vivi giovano ai morti.

Quindi tale verità va creduta senza alcun dubbio.

Dimostrazione:

Ciò che unisce i membri della Chiesa è la carità, che si estende non solo ai vivi, ma anche ai morti che muoiono nella carità, la quale, come dice S. Paolo [ 1 Cor 13,8 ], non finisce con la vita del corpo: « La carità non avrà mai fine ».

Inoltre i morti vivono nella memoria dei vivi: per cui l'intenzione di questi ultimi può indirizzarsi a beneficio di quelli.

Per cui tali suffragi possono giovare ai morti in due modi, come anche ai vivi: per l'unione nella carità e per l'intenzione ad essi diretta.

Non bisogna credere però che i suffragi dei vivi valgano a mutare lo stato di miseria in quello di felicità, o viceversa.

Essi valgono solo per ottenere una diminuzione della pena, o qualcosa del genere, senza che lo stato dei morti venga mutato, suffragi gli siano validi dopo la morte.

Per cui se questi gli giovano anche allora, è sempre in dipendenza da ciò che egli ha fatto mentre era nel corpo.

Oppure l'espressione dell'Apostolo, seguendo il Damasceno [ l. cit. ], va riferita alla retribuzione della gloria o della pena eterna nel giudizio finale, in cui ciascuno sarà retribuito solo in rapporto a quanto operò mentre era nel corpo.

Nel frattempo però i defunti possono essere aiutati dai suffragi dei vivi.

2. Il testo si riferisce espressamente alla conseguenza dell'eterna retribuzione, come appare chiaro dalla premessa: « Beati i morti », ecc.

Oppure si può dire che le opere fatte per loro sono in qualche modo opere loro, come si è detto [ a. prec. ].

Analisi delle obiezioni:

1. Mentre l'uomo è in questa vita merita che i suffragi gli siano validi dopo la morte.

Per cui se questi gli giovano anche allora, è sempre in dipendenza da ciò che egli ha fatto mentre era nel corpo.

Oppure l'espressione dell'Apostolo, seguendo il Damasceno [ l. cit. ], va riferita alla retribuzione della gloria o della pena eterna nel giudizio finale, in cui ciascuno sarà retribuito solo in rapporto a quanto operò mentre era nel corpo.

Nel frattempo però i defunti possono essere aiutati dai suffragi dei vivi.

2. Il testo si riferisce espressamente alla conseguenza dell'eterna retribuzione, come appare chiaro dalla premessa: « Beati i morti », ecc.

Oppure si può dire che le opere fatte per loro sono in qualche modo opere loro, come si è detto [ a. prec. ].

3. Le anime, sebbene dopo la morte non siano in stato di via in senso proprio, possono tuttavia esserlo in qualche modo, in quanto cioè sono trattenute dal ricevere l'ultima retribuzione.

Perciò puramente e semplicemente la loro via è « sbarrata », poiché non possono più passare da uno stato all'altro per mezzo delle opere; tuttavia non è « sbarrata » nel senso che non possano ricevere aiuti, dato che non sono ancora giunte alla felicità eterna, per cui sotto questo aspetto si trovano ancora in stato di via.

4. Tra i vivi e i morti non ci possono essere comunicazioni nelle opere della vita civile, delle quali parla Aristotele, poiché i morti sono ormai fuori di tale vita.

Ci possono tuttavia essere delle comunicazioni quanto alle opere della vita spirituale per mezzo dell'amore di Dio, « presso il quale le anime dei morti vivono ».

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