Supplemento alla III parte |
Pare che alla risurrezione l'anima non riprenderà lo stesso corpo di prima.
1. S. Paolo [ 1 Cor 15,37 ] afferma: « Quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano ad es., o di altro genere ».
Ora, qui l'Apostolo paragona la morte alla semina e la risurrezione alla germinazione.
Quindi non è identico il corpo che viene deposto nel sepolcro e quello che viene riassunto alla risurrezione.
2. A ogni forma corrisponde una data materia secondo la sua condizione, come a ogni agente corrisponde un dato strumento.
Ora, il corpo sta all'anima come la materia sta alla forma, e lo strumento all'agente.
Ma l'anima del risorto non si troverà nelle condizioni attuali: poiché o vivrà una vita tutta celeste, alla quale aderì nel mondo, oppure sarà ridotta a vivere come i bruti, se nel mondo assecondò i bassi istinti.
Sembra perciò che l'anima non debba riprendere lo stesso corpo, ma un altro che sarà o celeste o animalesco.
3. Il corpo umano dopo la morte si dissolve nei suoi elementi, come si è detto [ q. 78, a. 3 ].
Ma questi elementi non convengono più con il corpo umano che in essi si è dissolto se non nella materia prima, come tutti gli altri elementi consimili.
Ora, se il corpo venisse ricostituito con elementi consimili, ma non identici, non sarebbe numericamente lo stesso.
Perciò anche se viene ricostituito con gli stessi elementi non può dirsi numericamente identico a quello di un tempo.
4. Non è possibile che una cosa sia la stessa numericamente se non lo sono anche le sue parti essenziali.
Ora la forma del composto, che è una parte essenziale del corpo umano in quanto sua forma, non potrà tornare a essere la stessa nella risurrezione.
Quindi non sarà numericamente identico neppure il corpo.
- Prova della minore del sillogismo.
Ciò che si riduce assolutamente al nulla non può tornare a essere numericamente identico.
È evidente infatti che non ci può essere identità numerica tra cose che hanno un essere diverso; ora l'essere interrotto, che è l'atto dell'ente, è diverso come qualsiasi altro atto interrotto.
D'altra parte la forma del composto umano, essendo corporea, con la morte cade nel nulla; e così pure le qualità contrarie, che danno luogo alla composizione.
Quindi la forma del composto non può tornare a essere numericamente quella di prima.
1. Dice Giobbe [ Gb 19,26 ]: « Nella mia carne vedrò Dio, mio salvatore ».
Ora, qui si tratta della visione di Dio dopo la risurrezione, come risulta chiaro da quanto precede: « Nell'ultimo giorno risusciterò dalla terra ».
Quindi il corpo che risorgerà sarà numericamente identico a quello di prima.
2. Come dice il Damasceno [ De fide orth. 4,27 ], « la risurrezione è il sorgere per la seconda volta di chi è caduto ».
Ma a cadere con la morte è proprio il corpo che ora abbiamo.
Quindi sarà lo stesso a risorgere.
Intorno a questo argomento già sbagliarono i filosofi e tuttora sbagliano alcuni eretici moderni.
Alcuni filosofi infatti sostennero che le anime separate si sarebbero ricongiunte al corpo, ma in questa loro teoria incorsero in un duplice errore.
Primo, riguardo al modo di questa ricomposizione.
Alcuni infatti ritennero che l'anima separata si sarebbe riunita al corpo naturalmente per via di generazione.
- Secondo, riguardo al corpo con cui l'anima si ricongiunge.
Questa ricongiunzione infatti, a loro giudizio, non avverrebbe con il corpo sepolto dopo la morte, ma con un altro, o della medesima specie, o di una specie diversa.
Avverrebbe con un corpo di specie diversa per l'anima che mentre era nel corpo visse una vita bestiale: nel qual caso dopo la morte l'anima passerebbe dal corpo dell'uomo a quello di una bestia ad essa affine nella bestialità; nel corpo di un cane, ad es., se fu dedita alla lussuria; nel corpo di un leone, se fu rapace e violenta, e così via.
Qualora invece l'anima sia vissuta nel corpo facendo il bene, godrebbe innanzitutto dopo la morte di una certa felicità, e dopo alcuni secoli vedrebbe appagato il suo desiderio di riunirsi a un corpo umano della stessa specie.
Ma questa opinione deriva da due falsi presupposti.
Il primo sta nel fatto che costoro ritengono che l'anima non sia unita essenzialmente al corpo, come la forma alla materia, ma sia unita ad esso solo accidentalmente, come il motore a ciò che è mosso, o come l'uomo al suo vestito.
Per cui ammettevano la preesistenza dell'anima, prima dell'infusione in un corpo prodotto per generazione naturale; e inoltre la possibilità dell'unione con corpi diversi.
Il secondo falso presupposto sta nell'ammettere una differenza solo accidentale fra l'intelletto e il senso: per cui si dice che l'uomo ha l'intelletto, a differenza degli altri animali, solo per il fatto che, avendo una complessione fisica equilibratissima, ha facoltà sensitive più perfette.
E così costoro poterono ammettere che l'anima umana transmigrasse in una bestia, soprattutto se quest'anima era effettivamente vissuta in modo bestiale.
- Ma ambedue questi presupposti sono demoliti da Aristotele [ De anima 2,1; 3,3 ].
E dopo la loro demolizione risulta chiara anche la falsità delle opinioni suddette.
E allo stesso modo vengono confutati gli errori di certi eretici.
Alcuni di essi infatti caddero nelle medesime opinioni.
- Altri invece opinarono che le anime debbano ricongiungersi con dei corpi celesti, oppure con dei corpi sottili come il vento.
Così pensava un certo vescovo di Costantinopoli, a quanto riferisce S. Gregorio [ Mor. 14,56 ] commentando le parole di Giobbe [ Gb 19,26 ]: « Nella mia carne vedrò Dio », ecc.
E oltre a ciò, questi errori degli eretici possono essere confutati in base al fatto che essi pregiudicano la verità della risurrezione insegnataci dalla Sacra Scrittura [ Gv 5,25.28; 1 Cor 15,51 ].
Non si potrebbe infatti parlare di risurrezione se l'anima non tornasse nello stesso corpo: poiché risurrezione significa appunto « sorgere di nuovo », e d'altra parte sorgere spetta a ciò stesso che è caduto.
Perciò la risurrezione riguarda più il corpo, il quale morendo cade, che non l'anima, che continua a vivere dopo la morte.
Se quindi l'anima non riprendesse lo stesso corpo non si potrebbe parlare di risurrezione, ma di assunzione di un altro corpo.
1. Il paragone corrisponde solo in parte, ma non in tutto.
Nella semina del grano infatti il grano che viene seminato non è identico numericamente a quello che nasce, e ciascuno ha caratteristiche diverse: poiché al primo, ad es., manca il guscio, che troviamo invece nel secondo.
Il corpo dei risorti al contrario è numericamente lo stesso, ma con altre qualità: poiché prima era mortale, e risorgerà immortale.
2. L'anima del risorto e quella di chi vive in questo mondo non differiscono in qualcosa di essenziale, ma solo riguardo allo stato di miseria o di gloria, che sono aspetti accidentali.
Perciò non è necessario che risorga un altro corpo, ma basta che esso sia dotato di altre qualità, in modo da armonizzarsi col nuovo stato dell'anima.
3. Ciò che noi concepiamo inerente alla materia prima che essa si unisca alla forma, rimane anche dopo la rottura di questa unione: poiché la perdita di ciò che sopravviene lascia intatto ciò che precede.
Ora la materia degli esseri corruttibili, prima della forma sostanziale, ha delle dimensioni indeterminate, che le permettono di essere divisa in modo da poter ricevere diverse forme nelle sue diverse parti, come dice il Commentatore [ Phys. 1, 63; De subst. orbis 1 ].
Ora, queste dimensioni restano identiche anche dopo la separazione della forma sostanziale dalla materia.
Perciò la materia esistente sotto quelle dimensioni, da qualsiasi forma venga attuata, ha maggiore identità con ciò che da essa fu generato che non una qualche parte di un'altra materia esistente sotto qualunque forma.
Sarà dunque così la stessa materia che prima costituiva il corpo umano che sarà chiamata a ricostituirlo.
4. Come la qualità semplice non è la forma sostanziale di un corpo semplice elementare, ma una sua proprietà e una disposizione che rende la materia adatta a tale forma, così la forma della mescolanza, derivante dalle qualità semplici che si equilibrano, non è la forma sostanziale del corpo misto, ma una proprietà e una disposizione alla forma sostanziale.
Ora il corpo umano, oltre a questa forma della mescolanza, non ha altra forma sostanziale all'infuori dell'anima razionale, perché se avesse un'altra forma sostanziale antecedente sarebbe quella a dargli l'essere sostanziale e a costituirlo sostanza; e così l'anima verrebbe in un corpo già costituito nel genere della sostanza.
In tal caso dunque l'anima starebbe al corpo come la forma dei corpi artificiali sta ai materiali da essa strutturati, poiché questi corpi sono nel genere della sostanza in forza della loro materia.
Ne risulterebbe quindi che l'unione dell'anima col corpo sarebbe accidentale, come falsamente opinarono gli antichi filosofi, confutati da Aristotele [ De anima 2,2 ]; e così i nomi che designano il corpo umano e le singole sue parti non sarebbero più equivoci [ a morte avvenuta ], contro quando insegna Aristotele [ ib., c. 1 ].
Dal momento dunque che l'anima razionale rimane, nessuna forma sostanziale del corpo umano è completamente annientata.
Né il mutamento delle forme accidentali può costituire un qualcosa di numericamente diverso.
Perciò il corpo umano risorgerà numericamente identico: poiché numericamente identica ne sarà la materia che si riunirà all'anima, come si è detto nella analisi precedente.
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