La teologia mistica di San Bernardo

Introduzione

Étienne Gilson, San Bernardo e la storia della spiritualità

di Jean Leclercq

La théologie mystique de saint Bernard, pubblicata in prima edizione nel 1954, resta il più bei libro che sia mai stato scritto sull'abate di Chiaravalle, anche se non rappresenta l'ultima parola; ma chi potrà mai dirla?

Certamente non ha chiarito tutto.

Da allora sono apparse opere più erudite su aspetti particolari della vita e dell'opera di san Bernardo, ma non ce ne sono state di più penetranti, di più sintetiche, né di meglio scritte.

La sua qualità letteraria ha contribuito, almeno quanto il suo contenuto dottrinale, al suo successo o, più esattamente, al suo influsso.

Questo libro si colloca in una duplice evoluzione: quella del suo autore e quella degli studi medievali del tempo in cui egli lo scrisse, così fortemente segnati dalla sua persona e dalla sua opera.

A motivo della mia età avanzata, sono stato invitato a ricordare qui questo maestro e amico, e il periodo in cui io fui suo discepolo, mentre egli raggiungeva l'apice della propria scienza e della propria fama.

Accettare è stato un dovere, perché non si può apprezzare l'importanza di questo libro se non lo si colloca nel suo contesto.

In effetti, si può dire che fu Gilson a far considerare seriamente, negli ambienti universitari del nostro secolo, la teologia del medio evo in generale e quella di san Bernardo in particolare.

Questo campo sembrava riservato agli ecclesiastici.

Alcuni vi eccellevano, ma i risultati dei loro lavori non uscivano da un ambito molto ristretto.

Nel 1927 Charles Homer Haskins poteva ancora pubblicare un'opera - che resta un classico - su La rinascita del XII secolo senza dedicarvi un solo capitolo alla teologia.

Ma qualche anno dopo Gilson cominciava a imporre all'attenzione dei medievalisti l'interesse offerto dai teologi, una volta che si accetti di leggerli.

Non è questo il luogo per delineare una biografia di Gilson: l'opera è stata intrapresa, con una cura che ne giustifica la durata, dal Pontificio Istituto di Studi medievali di Toronto che egli stesso ha fondato.

Per il nostro scopo basterà ricordare le grandi tappe della sua scoperta del medio evo, arricchendole con alcuni ricordi personali.

I. L'autore

Nacque in Borgogna nel 1884.

Quando scoppiò la prima Guerra Mondiale, aveva avuto il tempo di sostenere, su Cartesio, una duplice tesi che fu pubblicata in due volumi nel 1913.1

Preparandola - lo confessava lui stesso - aveva capito che non si poteva comprendere il pensiero di questo fondatore della filosofia moderna senza conoscere le fonti che aveva avuto a disposizione e l'uso che ne aveva fatto.

Cartesio lo aveva orientato verso la scolastica.

I suoi studi furono interrotti dagli anni del servizio militare.

Al suo ritorno li riprese e si assistette allora al susseguirsi dei suoi Etudes de philosophie medievale, nel 1921, della sua Philosophie du moyen àge e del suo primo Thomisme nel 1922.

Il successo di queste tre opere fu immediato.

Continuarono a essere ripubblicate.

Egli d'altra parte non smise di riscrivere l'ultima, la quale divenne sempre più voluminosa, ed egli accettava volentieri che si scherzasse sui suoi successivi " tomismi ".

Come Cartesio l'aveva condotto a san Tommaso, questi gli fece avvertire la necessità di studiare i suoi contemporanei e le sue fonti.

Apparvero allora opere su La philosophie de S. Bonaventure, poi una Introduction a S. Augusti.

A proposito di entrambi andava subito ai problemi essenziali e dominava con ordine e chiarezza una informazione immensa.

Divenuto professore al College de France, sceglieva ogni anno, come materia d'insegnamento, un autore o un tema nuovo; questo ci è valso una successione regolare e ininterrotta di studi su sant'Anselmo, san Bernardo, Abelardo, Dante, Petrarca, Duns Scoto o sulla storia delle idee nella Città di Dio.

Un giorno si scusò di affermare ciò che appariva lapalissiano: « Non ci sarebbe stato il XIII secolo se non ci fosse stato il XII ».

Il suo bisogno di una comprensione integrale della scolastica lo spinse a scoprire - perché è questo il termine che si impone - la qualità dottrinale degli autori precedenti.

La chiarezza e la semplicità con le quali affrontava i problemi più astratti erano sconcertanti, al punto da diventare offensive per alcuni intellettuali.

Ero studente a Roma quando lui e Jacques Maritain ricevettero i loro primi due Dottorati « honoris causa » dall'Angelicum, ampliato nella nuova Aula magna, affollata per la circostanza.

Il giorno successivo egli tenne, nella grande sala del Palazzo della Cancelleria, anch'essa affollata, una conferenza pubblica sull'essere e l'essenza.

Uno dei nostri professori, che si affaticava sul medesimo argomento con un linguaggio più difficile, si alzò quasi subito e uscì per protestare contro una tale disinvoltura nell'introdurre elementi chiarificatori in un campo che sembrava riservato ai professionisti dell'astrazione più complessa.

In un altro testo ho avuto occasione di riferire i miei ricordi su Maritain,2 ma poiché è appena stato nominato, è forse questa la sede per segnalare che questi due maestri, amici tra loro, avevano lo stesso dono di chiarire le questioni oscure.

Gilson aveva la più alta stima per « Jacques ».

Un giorno, a una delle nostre domande, diede questa risposta: « Non accetterò di far parte dell'Académie Française finché non vi sarà Maritain ».

Negli anni Trenta, eruditi come Pierre Mandonnet e Dom Andre Wilmart si dedicavano all'inventario, all'edizione, allo studio critico dei testi di san Tommaso e di molti altri scrittori.

Gilson era il pensatore che, partendo da questo materiale documentario, faceva rivivere degli uomini.

Si pensi alla parola proferita in Ezechiele: « Profetizza! Fa' rivivere queste ossa inaridite! »

Già un intero gruppo di discepoli e di ammiratori - Marie Dominique Chenu, Marie -agdeleine Davy, Marie Thérèse d'Alverny e altri - era da lui animato e, quando necessario, controllato.

Non posso dimenticare i primi corsi di quello che divenne il suo Dante et la philosophie nel quale, con la franchezza concessa dall'amicizia, fece letteralmente a pezzi una magnifica costruzione di Mandonnet su Dante le théologien.

Essa era fondata in parte su una simbolica dei numeri.

Ora, spiegava Gilson, ho rifatto tutti i calcoli; le operazioni erano sbagliate.

Egli si esprimeva con forza, ma anche con tatto, e per questo se ne accettava la lezione.

Al termine di ogni sua lezione al College de Franco, lo si seguiva in quella che veniva chiamata la « boutique », la libreria filosofica Joseph Vrin, situata non lontano, in piazza della Sorbona.

Ci si ritrovava tra amici e si poteva « chiacchierare ».

Io avevo seguito al Sant'Anselmo di Roma un corso di Anselm Stolz, in parte diretto contro l'interpretazione che Gilson dava dell'argomento detto ontologico di sant'Anselmo.

Mentre alcuni vi vedevano un puro esercizio di dialettica destinato a « dimostrare » l'esistenza di Dio, il mio antico professore aveva preteso che il pensiero si muovesse solo sul piano dell'esperienza spirituale.

Gilson, con buon senso, insegnava che poteva essere entrambe le cose, una forma nuova, originale, di « gnosi » - nel senso migliore del termine - che non usava categorie chiare e conosciute prima.

È necessario dire che, lasciandomi convincere, non ho perso nulla della mia ammirazione e del mio riconoscimento per il mio maestro romano?

Sia che si trattasse dell'averroismo o della nozione di filosofia cristiana - problemi a quel tempo molto dibattuti -, una sorprendente combinazione di genio e di senso comune permetteva spesso a Gilson di prendere le distanze dagli eruditi che avevano sicuramente maneggiato più varianti di lui.

Un giorno non avrebbe scritto che non bisogna avere un manoscritto al posto del cuore?

Poco dopo, a partire dalla fine degli anni quaranta, iniziò una discussione sulla formula regio dissimilitudinis - sulle sue possibili origini plotiniane, agostiniane o altre -; fu lui che, avendo partecipato all'ufficio corale insieme ad alcuni agostiniani, in occasione della festa del loro patrono, osservò che uno dei responsori conteneva quelle due parole, le quali avevano continuato ad essere recitate ogni anno dal medio evo in poi: era quindi necessario cercare altrove?

Ciò che affascinava in Gilson, oltre alla sua forza di penetrazione, era lo spirito di sintesi: non si riteneva obbligato a preferire sempre un autore o un sistema di pensiero a un altro: sceglieva con libertà.

Accordava uguale ammirazione a Cartesio e alla scolastica, a san Bonaventura e a san Tommaso, a san Bernardo e ad Abelardo.

Un esempio di questo atteggiamento: un giorno mi confidò: « Ho dato a mio figlio tre nomi di santi del medioevo: Bernardo, Francesco e Domenico ».

Nelle collane che aveva fondato e nei suoi Archives d'histoire doctrinale et littéraìre du moyen àge, accettava volumi e articoli che trattavano opere e periodi molto diversi.

Aveva l'arte di incoraggiare e di stimolare.

Quante volte, durante le nostre conversazioni, mi suggerì di dare alle stampe un testo o di redigere un articolo che egli avrebbe poi pubblicato.

La qualità umana che conservava in tutte le sue ricerche storiche appariva nei saggi che scriveva sulla musica o sulle arti plastiche, su problemi di psicologia o di attualità sociale e politica.

Tutti venivano immediatamente raccolti nei suoi volumi di Etudes d'art et de philosophie che conservano tutto il loro sapore.

Era contento di aiutare così il suo amico Joseph Vrin a finanziare, con libri di ampia diffusione, le opere erudite, talvolta voluminose, che gli faceva accettare nelle sue collane filosofiche.

Dedicò poi a Vrin, in segno di riconoscenza, il proprio La théologie mystique de saint Bernard.

Egli stesso aveva avuto degli inizi difficili.

Quando ebbe fatto accettare a Vrin di pubblicare la mia tesi su Jean de Paris et l'ecclesiologie du XIII siede, la cui stampa fu disturbata dalla guerra, mi consolò degli errori tipografici mai corretti che sarebbero rimasti.

Perché, diceva, quando aveva composto il suo primo Thomisme per stamparlo aveva trovato solo un piccolo laboratorio mal attrezzato, poco abituato a quel genere di letteratura, ma gli errori di stampa non avevano impedito che il libro venisse letto.

Mi sarà permesso, in questa sede, di evocare un altro incontro, il cui influsso fu decisivo per tutta la mia attività a partire dagli anni quaranta?

Lavorando al Dipartimento dei manoscritti della Biblioteca Nazionale di Parigi e trovandovi molte testimonianze inedite di ogni epoca, ero incerto sull'orientamento da dare a questi studi.

La scolastica del XIII e del XIV secolo e l'ecclesiologia del XV erano attraenti quanto la « monastica » dell'XI e XII.

In un giorno d'angoscia telefonai a Gilson.

« Venga a trovarmi », mi rispose.

Per tutto il pomeriggio non smise di pormi di fronte a problemi riguardanti la cultura monastica.

Alla fine il suo consiglio fu sicuro: un sufficiente numero di ricercatori si stava occupando della scolastica; egli sperava che qualcuno si specializzasse nello studio degli antichi monaci.

Subito misi in cantiere Jean de Fécamp, poi Pierre de Celle, che egli fece entrare nella sua collana di Etudes d'histoire de la spiritualité.

Più tardi, quando potei inviargli L'amour des lettres et le désir de Dieu, ero in grado di assicurargli che quel libro, senza di lui, non sarebbe mai stato scritto.

Richard William Hunt un giorno mi avrebbe detto alla Bodleian Library di Oxford: « Non sapremo mai ciò che dobbiamo a Gilson ».

È quindi giusto che i discepoli che a lui sopravvivono, assolvano questo debito di riconoscenza.

Agli occhi di alcuni egli sembrava avere, a suo tempo, un carattere difficile; io non me ne accorsi mai.

L'ho sempre conosciuto come un uomo piacevole, un conoscitore di ogni sorta di cose buone.

Era annoverato con onore tra gli Chevaliers du Taste-Vin, che si riunivano nella Cantina di Cìteaux a Digione.

Nel suo discorso di accoglienza all'Académie Française, ironizzò bonariamente sulle difficoltà che si incontrano nel governare un popolo, il suo, per il quale ad ogni qualità di vino corrisponde un formaggio appropriato.

Durante la guerra mi era capitato di portargli, nella penuria alimentare parigina, formaggi, ricevuti dalla mia provincia d'origine, la cui invenzione risaliva, secondo la tradizione, ai monaci dell'Abbazia di Marolles.

Questa persona così umana era un buon cristiano.

Il primo ricordo che conservo di lui mi venne da un sacerdote che aveva trascorso le proprie vacanze estive nel villaggio di Vermenton.

Ogni mattina, alla Messa, c'era solo un parrocchiano, il quale lasciava la chiesa appena terminato il ringraziamento.

Il sacerdote s'informò nel villaggio e gli dissero che era Gilson.

Anche lui, più tardi, mi parlò più di una volta dell'emozione provata quando, durante la Grande Guerra, uno dei suoi compagni, caduto accanto a lui sul campo di battaglia, gli domandò di ascoltare la sua confessione.

Egli rifiutò, ma il morente iniziò subito e il sergente Gilson non poté che pregare per lui.

Quando negli anni sessanta mi capitò di soggiornare all'Istituto di Studi medievali di Toronto, dove egli veniva ancora regolarmente, constatai che quelli che lì lo vedevano vivere, avevano per lui una autentica venerazione.

Uno di essi mi disse: « Noi lo consideriamo un santo ».

La sua fede e il suo senso dell'uomo spiegano il suo interesse sia per la scienza che per la santità.

Ciò apparve chiaramente quando inaugurò la cattedra di Storia della spiritualità all'Institut Catholique di Parigi.

Era il momento in cui, stimolato dal nostro comune amico, Andre Combes, si entusiasmava per Teresa di Lisieux.

Infatti, questo medievalista era sensibile a tutte le testimonianze dalle quali emanava, in ogni epoca, una intensa partecipazione al mistero di Cristo.

L'esposizione che fece quel giorno, e che aprì una nuova collana, fu, oltre che una lezione di metodo, un programma di vita.

II. Analisi e sintesi

Prima di Gilson san Bernardo era ammirato, ma non veniva considerato seriamente dai teologi.

Lo si riteneva un « autore devoto », nulla di più.

Ora un grande universitario laico scopre e mostra che possiede una dottrina, e fa apparire il termine « teologia » nel titolo di un libro che lo riguarda.

Possiamo immaginare quale rivoluzione ciò abbia rappresentato?

Nelle prime righe della sua prefazione, Gilson afferma chiaramente quale era stato il suo progetto: studiare la « sistematica » della « dottrina » di san Bernardo su un punto preciso: la « teologia su cui si fonda la sua mistica ».

Punto centrale, è vero, a partire dal quale avremmo assistito allo sviluppo di tutto il resto.

Ci si accorse allora che c'è, in san Bernardo, una autentica dogmatica.

Sin dall'inizio, pur con ferma cortesia, Gilson si crede obbligato a contraddire lo storico della spiritualità il cui manuale, ristampato più volte e tradotto in varie lingue, faceva testo: P. Pourrat, il quale a quel tempo insegnava nel più illustre dei Grandi Seminari di Francia, quello di Sainti-Sulpice.

Egli, come tutti, aveva non solo ignorato, ma espressamente negato il carattere « sintetico » e « scientifico » del messaggio di san Bernardo, considerato come esclusivamente « pratico ».

Ma Gilson aveva la capacità di leggere i testi con stupore, in qualche modo ingenuamente, come se nessuno li avesse letti prima di lui, senza tener conto di ciò che era stato scritto su di essi.

Si era così accorto che san Bernardo era « un teologo la cui capacità di sintesi e il cui vigore speculativo lo avvicinano ai più grandi ».3

Chi si esprimeva così aveva scritto varie opere su sant'Agostino, san Tommaso, san Bonaventura, Cartesio: ce n'era a sufficienza per conferirgli autorità quando ebbe il coraggio di rompere con una intera tradizione nell'interpretazione di un mistico del XII secolo.

Questo fu il contributo decisivo di Gilson.

Vero pioniere, egli aprì un campo d'esplorazione insospettato prima di lui.

Tutto quanto fu fatto in seguito si deve alla sua iniziativa.

Assistette con gioia a tutto quel lavoro, incoraggiando con benevolenza i ricercatori, ma fidandosi di loro e non intervenendo più.

Circa venti anni più tardi, quando si stava preparando il Congresso organizzato in occasione dell'VIII centenario di san Bernardo, che doveva tenersi - e si tenne - a Digione nel 1953, io lo invitai a presiederlo o almeno a parteciparvi.

Si scusò con una modestia non falsa, dichiarandosi soddisfatto di seguire quegli studi con simpatia, ma a distanza e senza lasciare il proprio ritiro estivo - quasi un eremo - di Vermenton.

Quando apparvero gli atti, si assegnò loro un titolo ispirato al suo: Saint Bernard théologien.

Sin dal discorso inaugurale mi ero sentito in dovere di rendergli omaggio4 e l'indice dei nomi permette di constatare che il suo nome fu uno di quelli citati più frequentemente.

Non contento di constatare « il genio speculativo di san Bernardo »,5 i cui testi « si spiegano esattamente e tecnicamente come le pagine più dense di sant'Anselmo e di san Tommaso d'Aquino »,6 Gilson si impegnò a mettere in chiaro il suo « metodo »;7 tale preoccupazione di chiarezza si distacca dal « fondo scuro del misticismo » che Haskins era pronto a riconoscere agli autori cistercensi.8

Poiché Gilson era uno storico, inizia stabilendo una cronologia che gli permetta di collocare san Bernardo nell'evoluzione del « problema dell'amore » nel XII secolo.

Anche questa formula era apparsa nel titolo di un'opera che aveva aperto nuovi orizzonti su quel periodo.9

Ma il suo autore, Pierre Rousselot, un giovane gesuita di belle speranze, era stato falciato, come tanti altri eruditi e scrittori di sicuro avvenire, dalla Grande Guerra.

Gilson riprese la fiaccola e nello stesso tempo, sulla base di una precisa cronologia, rivelò l'esatta relazione che esisteva tra Bernardo e altri testimoni della teologia mistica del XII secolo, in particolare Guglielmo di Saint-Thierry.

Quest'ultimo era già stato oggetto di alcuni studi dottrinali: Andre Wilmart strappava ai manoscritti i segreti sulla successione delle sue opere.

Tuttavia lo sviluppo delle ricerche teologiche a suo riguardo sarebbe stato legato all'impulso dato da Gilson.

San Bernardo è un uomo - « questo uomo scarno, dal viso pallido sotto i capelli rossi che infiammavano sulle guance gli ardori nascosti dell'anima ».10

Ha una storia ulteriore, si forma lentamente.

A trentacinque anni, quando inizia a pubblicare i suoi primi trattati, ha raggiunto la piena maturità: Gilson - e questa conclusione è stata successivamente confermata - non riconosce più in lui, in seguito, alcuna evoluzione.

L'abate di Chiaravalle, da quel momento, acquista rilievo su uno sfondo culturale, ecclesiale e monastico da cui non lo si può isolare.

Il suo storico comprende immediatamente ciò che lo lega al passato umanistico: l'influsso che la sua concezione dell'amicizia riceve da Cicerone.

La cronologia della sua lettura del De amicitia ha potuto essere successivamente precisata,11 ma prima era stato necessario accorgersi del fatto.

Da qui sarebbe derivata una intera concezione dell'amore, la quale costituì la ricchezza di san Bernardo e di tutta la scuola cistercense, ma che proiettò anche qualche luce sui romanzi di Chrétien de Troyes e permise di considerare in modo positivo « il dramma passionale di Eloisa e Abelardo, più fecondo di idee di quanto normalmente si supponga »:12 Gilson gli avrebbe ben presto dedicato uno dei suoi libri più penetranti e commoventi.

Nello stesso tempo apriva piste sulle quali altri sarebbero andati più lontano di lui, talvolta troppo lontano.

Aveva ragione nel sottolineare l'influsso di Origene, che resta innegabile.

Suggeriva quello di Gregorio di Nissa e di Massimo il Confessore.

Senza saperlo, lanciava, per così dire, una sorta di moda, quella che consiste nell'orientalizzare all'eccesso i cistercensi del XII secolo e contro la quale è stato ora necessario reagire.13

Allo stesso modo le pagine dedicate alla regio dissimilitudinis avrebbero dato inizio a una vasta serie di ricerche, alcune delle quali di grande interesse, in particolare quelle di Pierre Courcelle.

Questa formula, derivata da Platone, si trovava in sant'Agostino e, lo si è già detto, nell'ufficio della sua festa.

Certamente il vescovo di Ippona è stato letto; ma Gilson, che aveva voluto far educare il proprio figlio dai benedettini, ha avuto l'occasione, che alcuni non hanno dimenticato, di dar loro la prova del fatto che conosceva la loro Regola: la ritrova in san Bernardo, e san Benedetto lo conduce a Cassiano.

Procedendo con ordine, arriva così alle origini di una tradizione che non ha solo carattere letterario, ma che è ancora vivente.

Gilson sa opporsi con fermezza a semplificazioni falsificatrici, come quella di George Gardon Coulton che, troppo a lungo, aveva fatto testo in alcuni ambienti di lingua inglese.

Conia inoltre ammirevoli sentenze che, in francese, sono divenute quasi proverbi per parlare della conciliazione tra la rinuncia e il gusto del bello.14

L'itinerario dalla carità all'estasi è tracciato da san Bernardo nel suo trattato Sull'amore di Dio ( De diligendo Deo ).

Anche là, contrariamenteè a luoghi comuni troppo facili, l'importanza, il « valore » del corpo è alla base di un'antropologia decisamente positiva, che non si finisce mai idi ammirare.15

Tutto ciò è possibile solo tenendo conto della « terminologia tecnica » di Bernardo.

Una grande attenzione viene quindi dedicata ai termini, il cui significato è stabilito con rigore.

Fa quindi piacere vedere applicato a un autore mistico un metodo filologico che non deve essere riservato agli scritti profani; anche questo, quando Gilson lo fece, era ancora una novità.

Il suo libro è chiaro, solidamente costruito, facile da seguire.

Nel testo, o nelle note, sono spiegati moltissimi temi, senza troppa erudizione.

Questi dati sono stati così ben assimilati e poi ordinati, che ne risulta un testo di una bellezza straordinaria.

Ma Gilson non ignora i pericoli della letteratura: non ne è vittima, controlla la propria arte e il proprio stile.

Il tutto termina con pagine luminose sull'unione mistica.

Dopo questa lettura si possono affrontare direttamente le opere di san Bernardo: vi si ritroveranno e vi si riconosceranno molti elementi sparsi, ma si saprà secondo quale ordine essi si organizzano in una sintesi coerente.

III. Ricchezze ulteriori

Il libro di Gilson avrebbe potuto terminare sulle vette dell' « amore puro ».

Tuttavia, cammin facendo, lo storico aveva sollevato alcuni problemi che sembravano marginali, ma a proposito dei quali ha voluto far confluire, in una serie di appendici, tutto ciò che ancora percepiva o intravedeva.

In seguito egli stesso e altri avrebbero scavato più profondamente quei solchi.

Egli ha avuto il merito di far sorgere i problemi.

Anzitutto le sue due pagine sulla Curiosits hanno sottolineato l'importanza di questo concetto che, successivamente, è stato utilmente inventariato e confrontato con l'uso che ne aveva fatto la tradizione.16

Poi l'excursus intitolato Abelardo tratta in realtà soprattutto di Eloisa la quale, se ciò era necessario, viene di colpo riabilitata.

Tutto l'essenziale del libro di Gilson su Abelardo e su di lei si trova già in questa seconda appendice.

È significativo il fatto che abbia intitolato un'opera Eloisa ed Abelardo,17 concedendo a lei il primo posto.

Di fatto, avremmo mai avuto la meravigliosa corrispondenza scambiata tra di loro, senza questa partner, che non ne è una complice e che eguagliò il maestro e persino lo superò?

Il povero Berengario di Tours, che si credette obbligato ad attaccare Bernardo per difendere Abelardo, ne ha ricavato solo del ridicolo per se stesso.

Gilson lo ha affermato senza compiacenza nella sua terza appendice e alcune recenti ricerche hanno confermato il fondamento di questo giudizio.18

Ma le due appendici più arricchenti sono quelle che riguardano l'amore cortese e Guglielmo di Saint-Thierry.

Riguardo alla seconda è già stato notato che Gilson ha aperto la strada a una serie di ricerche che proseguono ancora, particolarmente negli Stati Uniti.

Infatti vi è un aspetto della sua opera che, di passaggio, bisogna segnalare: il suo influsso si esercitò contemporaneamente nei paesi di lingua inglese e francese; prima ancora di fondare l'Istituto di Studi medievali di Toronto, andò in America per tenere delle conferenze.

In Gran Bretagna aveva tenuto ad Aberdeen quelle « Gifford lectures » che divennero L'esprit de la pbilosophie au moyen àge.

La teologia di san Bernardo fu dapprima presentata all'« University College of Wales ».

Poi, a partire da quel crocevia che è Toronto, da dove andava a parlare in altri luoghi o dove si andava a consultarlo e ad ascoltarlo, egli suscitò, nella generazione che seguì quella di Haskins, un interesse intelligente per gli autori che lui stesso scopriva.

Era fiero di appartenere all'« Académie Canadienne Francaise ».

Nel Québec, e in tutto il paese, come negli Stati Uniti, il suo influsso fu profondo.

Oggi, Guglielmo di Saint-Thierry è senza dubbio l'autore del XIIi secolo più studiato e questa « Guglielmologia », se ci si può esprimere così, è produttiva soprattutto nel Nuovo Mondo, dove è ad alto livello.

Quando il Papa accordò il titolo di « Pontificio » all'Istituto di Toronto, riconobbe i servizi da lui resi alla cultura cattolica in questa vasta parte dell'universo.

Quanto all'amore cortese, Gilson prese ugualmente posizione riguardo all'edizione de La Queste du Saint Grani di Albert Pauphilet.19

Il fatto che uno specialista della filosofia e della teologia del medio evo, amico di Martin Grabmann e di Clemens Baeumker, di cui parlava volentieri, fosse capace di scrivere con competenza anche sulla letteratura cortese, era e resta una rarità.

In ognuno di questi campi esistevano illustri esperti, ma generalmente non si conoscevano o addirittura si misconoscevano.

L'intuizione di Gilson fu di capire che non si poteva comprendere san Bernardo senza considerare, così come si direbbe oggi, il suo ambiente « socio-culturale » e la letteratura nella quale esso si era espresso.

Con la propria inesorabile lucidità, Gilson scopre immediatamente che in ragione della propria vera natura, l'amore cortese non può in nulla essere assimilato all'amore mistico.

In seguito si è potuto sostenere, talvolta con un'erudizione impressionante, il prò e il contro.

Ora che tutto è stato detto, sembra proprio che il buon senso, ancora una volta, abbia visto giusto: tra questi due modi di amare esiste una differenza essenziale, a proposito della quale Gilson è radicale.

Ciò non esclude affatto che tra queste due letterature e i loro autori siano esistite relazioni e anche influssi.

Essi hanno potuto, e anche dovuto, utilizzare in parte il medesimo linguaggio.

Quello di Bernardo è quasi unicamente biblico.

Le analisi degli stati d'animo, anche quando sono formulate, da entrambe le parti, nel linguaggio dell'amore umano, sono molto più approfondite in Bernardo e in Guglielmo che non nei loro contemporanei profani.

Esse hanno contribuito, presso i successori di questi ultimi, a un affinamento progressivo.

Bernardo ha potuto ricevere dai romanzi alcuni temi che, d'altra parte, sono comuni a tutte le letterature d'amore.

Egli, a sua volta, ha direttamente o indirettamente ispirato il Graal?

Si continua a discuterne.

La risposta va data a proposito di ciascun « ciclo » e, in ognuno di essi, di ciascun testo.

Gilson ha avuto il merito di liberare il terreno da risposte premature.

Questo settore è uno di quelli nei quali si desidererebbe maggiormente una sintesi.

Prima di arrivarvi, occorre ancora dedicarsi a minuziosi confronti tra i testi, i temi, le idee sull'amore - la malattia, il languore e la forma di morte che causa - e sul matrimonio, in ognuno dei poeti e romanzieri, trovieri e trovatori, filosofi, teologi, mistici, storici, canonisti e così via.20

Ne siamo ancora lontani.

Era necessario cominciare.

Questo fu il ruolo di Gilson.

Allo stesso modo, in questi ultimi dieci anni, un'intensa controversia ha rimesso in causa l'autenticità della corrispondenza tra Abelardo ed Eloisa.

Questo capolavoro non sarebbe dovuto a un anonimo falsario del secolo successivo?

Una immensa erudizione è stata utilizzata per sostenere o rifiutare questa ipotesi.

Alla fine l'unanimità si è orientata a favore dell'autenticità, sostenuta da Gilson con una semplice argomentazione derivante sia dall'intuito che dall'erudizione: è troppo bello per non essere vero.

Su questo punto egli era d'accordo, avendolo consultato, con un « amabile erudito benedettino » che non nominò affatto, ma che era facile identificare come un insigne esperto di critica testuale: Dom Andre Wilmart.21

Il senso critico e il buon senso si erano incontrati; si sarebbe tentati di aggiungere, pensando a un salmo, e rimanendo in una serie appropriata di immagini, che si erano abbracciati.

In tutta la sua Théologie mystique de saint Bernard, vi è un punto sul quale Étienne Gilson non ha mai fatto concessioni: ciò che si potrebbe chiamare il radicalismo di Bernardo, la generosità incondizionata, senza limiti, del suo amore per Dio, in base al quale si avvicina o si allontana, secondo i casi, dagli altri letterati o teorici dell'amore del suo tempo.

Quel folle amore è quello di Dio stesso, quello che è apparso nell'Incarnazione, che viene continuamente diffuso dallo Spirito Santo nel cuore delle donne e degli uomini che lo accolgono.

È quello di Bernardo, quello che egli voleva far nascere nei propri lettori.

Amore attivo e impegnato, come si diceva allora nel vocabolario di Emmanuel Mounier, che noi ammiriamo insieme a lui.

Gilson desiderava vedere il maggior numero possibile di laici come lui presenti, in base alla propria competenza professionale, nelle funzioni secolari della società, per testimoniarvi Cristo e la sua Chiesa.

Egli si è spiegato in un articolo della rivista « La vie intellectuelle ».

Questo è il più grande ricordo che lascia a coloro che hanno gioito per il suo insegnamento e per la sua amicizia, della quale non era affatto avaro.

Egli ha splendidamente scritto sulla schola caritàtis: nella sua persona e nella sua opera ha saputo unire « scuola » e « carità ».

Indice

1 Index scolastico-cartésien, Alcan, Paris 1913; La liberto chez Descarles et la théologie, Alcan, Paris 1913.
Più tardi sarebbe seguito: Etudes sur le ròle de la pensée medievale dans la formation du système cortesie", Vrin, Paris 1930
2 Maritain e Merlo" come li ho conosciuti, in AA.W., Contemplazione e ricerca nella società secolarizzata, Massimo, Milano 1984, pp. 17-29
3 Vedi sotto, p. 2
4 Introduction. S. Bernard et la théologie monastique du xil' siede, in S. Bernard théologien. Actes du Congrès de Dijo". 15-19 septembre 1953, in " Analecta Sacri Ordinis Cisterciensis ", 9 (1953), p. 8
5 Vedi sotto, p. 34
6 Vedi sotto, p. 2
7 Vedi sotto, p. 38
8 Vedi sotto, p. 5
9 P. Rousselot, Pour l'histoìre du probleme de l'amour au moyen àge, Aschen-dorff, Munster-in-Westfalen 1908
10 E. Gilson, La mystique de la gràce dans la Queste du Saint-Graal, in Les idées et les lettres, Vrin, Paris 1932, pp. 83-84
11 R. Gelsomino, S. Bernardo di Chiaravalle e il De amicitia di Cicerone, in Ana-lecta monastica, v, Pontificium Institutum S. Anselmi - Herder, Roma 1958 (Studia Anselmiana, 43), pp. 80-186.
Con il titolo Cicerone precursore di Ornalo, in I monaci e l'amore nella Trancia del xn secolo, Jovence, Roma 1984, sono tornato sull'argomento
12 Vedi sotto, p. 15
13 La più recente messa a punto, in questo senso, è di G. Madec, A propos des sources de Guillaume de Saint-Thierry, in " Revue des études augustiniennes ", 24 (1978), pp. 302-309
14 La formula divenuta più celebre è quella nella quale Gilson dice dei cistercensi " che hanno rinunciato a tutto tranne che a scrivere bene ".
Parlare di questa qualità letteraria dei cistercensi costituiva ancora, all'epoca di Gilson, una innovazione. Da allora sono stati svolti studi precisi su questo argomento, per esempio da D. Sabersky-Bascho, Studien zur Paronomasie bei Bernhard co" Clairvaux, Univer-sitatverlag, Freiburg Schweiz 1979
15 Con il titolo Thè Lave of Beaufy as a M-eans ani an Expression of thè Lave of Truth, in " Mittellateinisches Jahrbuch ", 16 (1981), pp. 62-72, ho citato alcuni testi
16 È ciò che ho tentato di fare con il titolo " Curiositas " et le retour a Dieu chez .S. Bernard, in Bivium.
Homenaje a Manuel Diaz y Diaz, Gredos, Madrid 1983, pp. 133-141
17 L'esempio è stato seguito da R. Pernoud, Héloìse et Abélard, Michel, Paris 1970 (tr. it. Eloisa e Abelardo, Jaca Book, Milano 1984)
18 In I monaci e l'amore nella Francia del xn secolo ho indicato la bibliografia
19 La mystique de la gràce dans la Queste du Saint-Graal, in Les idées et les let-fres, Vrin, Paris 1932, pp. 59-91
20 Con il titolo For an interdisciplinary Study of Lave and Marriage in thè Twelfth Century, preparato per l'University of West Virginia Press, ho tentato di proporre un programma di ricerche, così come in Monks on Marriage.
A Twelfth Century View, Seabury, New York 1982 (tr. it. I monaci e il matrimonio.
Un'indagine sul XII secolo, SEI; Torino 1984)
21 E. Gilson, Hélóise et Abélard. Elude sur le moyen àge et l'humanisme, Vrin, Paris 1933, p. 9 (tt. it. Eloisa e Abelardo, Einaudi, Torino 1950, p. 17)