Carlo Demaria |
Spesso, si attardava in ufficio, ben oltre i consueti orari di lavoro, verificando che tutti i lavori fossero stati eseguiti in maniera inappuntabile: prendeva queste precauzioni per evitare che, all'indomani, qualche improvvisa "magagna" potesse mettere nei guai i colleghi più giovani ed inesperti ( Sig.ra Salomone ).
Evidentemente, teneva molto a mantenere in ufficio un clima di operosa serenità, prevenendo, con sana prudenza cristiana, le situazioni equivoche che avvelenano i rapporti tra dipendenti e superiori.
Fu in azienda che Carlo ebbe modo di conoscere Padre Agostino Gandolfo, il noto Gesuita della Chiesa dei SS. Martiri, allora Cappellano della STET, che l'avrebbe assistito spiritualmente fino alla fine dei suoi giorni.
Il tempo libero di Carlo Demaria era interamente consacrato all'apostolato e all'insegnamento.
Fin da giovane, insieme al fratello Alessandro, aveva svolto lezioni di Catechismo: si era dedicato con costanza a questo impegno e nella maturità si sarebbe occupato in particolare dei ragazzi della Parrocchia di S. Giuseppe Cottolengo, nell'allora periferia torinese.
All'impegno catechistico alternava quello assistenziale.
Trascorreva le domeniche con i barboni della Messa del Povero: quest'iniziativa, tuttora viva, consisteva nella assistenza settimanale agli sbandati della città.
Ogni domenica, duecento, trecento barboni, venivano lavati, sbarbati e sfamati da alcuni volontari.
A Torino la Messa del Povero contava su due o tre punti di ristoro: ricordiamo la sede gestita dalle Suore dell'Opera Pia Lotteri di Via Villa della Regina, la sede di Via Colombini ed il ricovero comunale di Via Moncrivello, situato presso alcuni capannoni militari in disuso risalenti alla I Guerra Mondiale ( pur tra mille traversie la Messa del Povero resiste gagliardamente ancora oggi in Largo Tabacchi ).
Alla Messa del Povero l'alto dirigente della STET non si vergognava di applicare i suoi molti talenti a compiti umilissimi come il taglio della barba e altre analoghe mansioni che apparivano in stridente contrasto col suo status sociale ( Suor Vincenza Caselli ).
Tutto questo, evidentemente, non bastava ad esaurire la solida e concreta laboriosità di Carlo Demaria.
Il Nostro decide così di tuffarsi nell'attività scolastica.
Il primo contatto con gli ambienti della Casa di Carità avviene presso la Parrocchia di Nostra Signora della Pace intorno al 1925.
Con l'anno scolastico 1929-1930 inizia ufficialmente l'attività didattica: Carlo, per ovvi motivi d'ufficio, seguirà i ragazzi dei corsi serali dedicandosi prevalentemente all'insegnamento della matematica; gli ultimi anni invece lo vedranno concentrarsi su materie meno tecniche, come Religione e Cultura.
Demaria prese molto sul serio l'impegno assunto con la Casa di Carità: in breve tempo conseguì, infatti, l'abilitazione alla docenza e l'iscrizione all'albo degli insegnanti.
Il suo stile didattico era improntato alla chiarezza e all'efficacia espositiva.
A differenza di tanti guru della pedagogia post-modema aveva un'unica preoccupazione: essere compreso.
La sua missione consisteva nell'inculcare metodi di apprendimento utili alla soluzione dei problemi immediati.
"Aveva un modo di spiegare - dicevano i suoi allievi di matematica - che faceva entrare le cose nella testa senza tanti bla, bla, bla" ( Sig. Prono, ex allievo della Casa di Carità di via Feletto ).
Accompagnava inoltre le scolaresche in visita al Cottolengo, intendendo così spiegare agli allievi come nulla nella vita, a cominciare dal dono della salute, possa essere dato per scontato.
L'attività didattica del Demaria, come quella di tutti gli altri colleghi della Casa di Carità, era assolutamente gratuita e non retribuita: il Catechista infatti intendeva l'insegnamento come una vera e propria missione "intra moenia", un'opera da attuarsi nella propria città, nel proprio quartiere, nel proprio ambiente, ma con lo stesso spirito con cui i missionari educavano i giovani di Paesi esotici e lontani.
Per Carlo Demaria i quartieri industriali di Torino erano realmente Terra di Missione.
Il tempo, però, non gli bastava mai in quanto troppo spesso, dopo otto ore di duro lavoro, si recava a scuola col pensiero fisso di dover tornare alla sera in ufficio per verificare, come detto, che tutto fosse in ordine.
Questo orario tiranno gli pesava parecchio, così, un giorno, uscendo dalla Casa di Carità di Via Brin, al termine di un' Adunanza, manifestò all'attuale Presidente dell'Unione Catechisti una sua segreta speranza: "Una volta in pensione, intendo dedicarmi completamente alla Casa di Carità".
Purtroppo questo desiderio di dedizione "a tempo pieno" rimase, per una serie di tragiche circostanze, inappagato: ciononostante, grazie ad una fede profonda e consapevole non smetteva mai di considerarsi come un missionario in giacca e cravatta, temporaneamente prestato alla STET, ma sempre più proteso con la mente e col cuore all'apostolato giovanile.
Aveva, insomma, profondamente interiorizzato l'ammonimento paolino sulla carità, a cui era stata intitolata, per espresso consiglio di Fra Leopoldo Musso ofm ( 1850-1922 ), la scuola dei suoi ragazzi.
Non si trattava di attivismo fine a se stesso: Demaria cercava anche di comunicare una "gentilezza d'animo" che mettesse a proprio agio studenti e colleghi.
Nessuna posa professorale: solo la preoccupazione di rendersi utile.
Questo era il senso attualissimo della sua testimonianza di carità. Sacrifici e sobrietà si rispecchiavano anche in uno stile di vita spartano: Margherita, la sorella maggiore, amava ricordare che mentre i colleghi della STET viaggiavano su "macchinoni" di lusso» Carlo, testardamente, si ostinava a rimandare l'acquisto dell'auto recandosi in ufficio a piedi ( Sig.ra Salomone ).
Demaria praticamente non andava mai in vacanza; d'estate dedicava qualche giorno, con gli altri Catechisti, alle ferie e ai ritiri spirituali ( sovente a Ronco Canavese ); per il resto le uniche occasioni "mondane" erano rappresentate da qualche gita trascorsa in compagnia della famiglia del fratello Alessandro a Collaretto Castelnuovo ( Santuario di S. Elisabetta ).
La sua era una forma di ascesi semplice, ma efficace.
Alla cuginetta ancora in tenera età, egli amava ripetere "Guarda, Carolina, prendi in considerazione un tuo difetto e poi combattilo per tutto l'anno; eliminato questo passa al successivo e così via di seguito per tutta la vita" ( Sig.ra Salomone ).
Gentilezza e bontà d'animo erano le qualità che più impressionavano i suoi interlocutori: uomo di poche parole, non lo si poteva certo definire di carattere chiuso.
Diciamo che non amava inflazionare i discorsi con i luoghi comuni della chiacchiera di circostanza.
La sua concretezza si manifestava in episodi molto rivelatori.
Durante la guerra, nei giorni bui dell'occupazione tedesca, insieme al Cardinal Fossati ed altri giovani attivisti cattolici, percorse più volte i sotterranei di Torino per mettere in salvo i giovani partigiani perseguitati dalla terribili rappresaglie naziste ( Sig.ra Salomone ).
Anche il suo impegno presso la Messa del Povero travalicava il semplice volontariato assistenziale: in un'occasione, ad esempio, si adoperò personalmente per arredare la cameretta di uno sbandato.
Questi, dopo essere stato abbandonato dalla moglie aveva perso il ben dell'intelletto e trovatesi in mezzo ad una strada era stato costretto a spartire un modesto locale con un altro poveraccio.
Avuto il permesso dalla cugina, Carlo affittato un carretto, consegnò ai due indigenti il mobilio che era stato lasciato dalla defunta sorella della madre.
In questo modo la spoglia cameretta poté trasformarsi finalmente in un'abitazione civile ( Sig.ra Salomone).
Quel povero diseredato, che pranzava quasi sempre al Cottolengo, rimase molto affezionato alla famiglia di Carlo, cercando, con visite saltuarie e piccoli doni, di ripagare un gesto di carità che, in un modo o nell'altro, gli aveva restituito la dignità di essere umano.
Per un certo periodo Demaria ospitò in casa anche due aspiranti seminaristi ( Sig.ra Salomone ): aveva molto a cuore, infatti, il problema delle vocazioni, e quando poteva si sforzava di trovare "nuovi operai" per la vigna del Signore; anzi, sovente invitava i suoi stessi familiari a pregare per la buona riuscita delle nuove vocazioni ( Sig.ra Salomone ).
In più occasioni, infine, aveva utilizzato la sua posizione per trovare un lavoro a giovani disoccupati.
Il profilo morale del personaggio sarebbe incompleto se non rammentassimo che buona parte delle sue retribuzioni finivano in opere di beneficenza.
Questa vita cristianamente "integralista" - nei contenuti più che nelle apparenze - fiorì in seguito all'incontro con personalità eccezionali.
Oltre alla dura esperienza familiare che lo costrinse a vivere la povertà sulla propria pelle e a risalire con le proprie forze la china del disagio sociale, sembra che, all'origine della sua scelta di vita, ci sia stata, la figura esemplare di Fratel Teodoreto.
I primi rapporti col Fratello, probabilmente, risalgono all'adolescenza, quando Carlo frequentava la scuola di Via La Salle.
La "carità praticata" dal fondatore dell'Unione Catechisti ha costituito sicuramente un modello d'azione fondamentale, venendo a corroborare, con la sua serena perseveranza, la naturale "compassione" che Carlo doveva nutrire per tutti i giovani studenti-operai ansiosi di diventare parte attiva della società.
In questo senso possiamo dire che l'adesione all'Unione Catechisti ha costituito il necessario inquadramento spirituale di una vita che tanti sforzi consacrava, quotidianamente, all'apostolato laicale.
Carlo compì il suo noviziato nel 1930 ed emise i primi voti nel 1932 a Chieri; in seguito, nel 1949, formulò i voti perpetui a Castelvecchio, dinanzi al Cardinal Fossati, nell'ambito del primo gruppo che l'Unione Catechisti, dopo l'erezione a Istituto Secolare, aveva preparato per le professioni perpetue.
La corretta e rigorosa formazione dei Catechisti costituiva la premessa ideale per una impostazione coerentemente cristiana dell'educazione, se non del recupero, giovanile.
Anche se in contesti diversi, il Catechista leggeva negli occhi dei ragazzi di periferia le frustrazioni e i sogni che aveva vissuto lui stesso in prima persona.
Questa motivazione "esistenziale", questa tensione di riscatto sociale avevano trovato il giusto incanalamento nella pedagogia cristiana: il successo di tale formula, libera da ogni interpretazione cinica o materialista delle ingiustizie sociali, andava trasmessa ai giovani nei "fatti" della vita.
Questo permette di fissare i poli opposti del suo modus vivendi; l'estrema discrezione, se non laconicità, del suo dire e la grandissima intensità del suo operare.
Carlo parlava coi fatti: ma il suo era un parlare cristiano, nutrito dalla preghiera.
Il tecnico iscritto all'albo dei Revisori di Conti, il docente di matematica, non si stancava mai di esortare i giovani all'adorazione del SS. Crocifisso.
Non c'è contraddizione tra Fede e Ragione insegna il regnante Pontefice ( Enciclica "Fides et Ratio" ).
Non c'è contraddizione tra competenza tecnica e preghiera: questo insegnava Carlo Demaria.
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