La figura e la formazione del Catechista "Qualificato"

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L'apostolato è compito di ogni cristiano

Tutti i cristiani partecipano del fine della Chiesa: "Questo è il fine della Chiesa: con la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, rendere partecipi tutti gli uomini della salvezza operata dalla redenzione e per mezzo di essa ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo.

Tutta l'attività del Corpo Mistico ordinata a questo fine si chiama "apostolato", che la Chiesa esercita mediante tutti i suoi membri, naturalmente in modi diversi: la vocazione cristiana è infatti per sua natura anche vocazione all'apostolato".1

Tutto il corpo "… secondo l'energia propria ad ogni singolo membro .. contribuisce alla crescita del corpo stesso".2

Anche questo spiega perché tutti i cristiani "vengono consacrati per formare un sacerdozio regale e una nazione santa onde offrire sacrifici spirituali mediante ogni attività e testimoniare dappertutto il Cristo".3

La parte dei fedeli laici nella missione della Chiesa è "propria" e perciò insostituibile e "assolutamente necessaria", vale a dire indispensabile, così che "non può mai venir meno nella Chiesa".4

Da tali solenni dichiarazioni occorre per intanto rilevare che qualsiasi discorso o iniziativa che si riferisca ai catechisti e al loro ruolo nella Chiesa non può svolgersi in modo da "dequalificare" o "depotenziare" la missione apostolica di ogni cristiano in quanto cristiano.

Al contrario, si dovrà procedere in modo da accrescere la consapevolezza e l'impegno apostolici di tutti i cristiani.

Intanto, però, nonostante un certo fiorire di iniziative di evangelizzazione, si registra un ulteriore affievolirsi del senso apostolici dell'essere cristiani.

Di frequente poi, invece che di " apostolato " si preferisce parlare di "presenza nel mondo", "di servizio", all'uomo, di "animazione" di ambienti e di strutture, di malintesa "testimonianza".

Certo è che l'apostolato comprende tutto ciò, ma non può ridursi semplicemente a questi atteggiamenti o funzioni, tant'è vero che può esserci una " presenza " al mondo nient'affatto apostolica e così via.

Si ribatte sostenendo che se la "presenza" al mondo è autentica, se autentico è il servizio all'uomo o l'"animazione": queste non possono non risultare che naturalmente apostoliche.

Si deve tuttavia controbattere che soltanto quando una "presenza", un "servizio", una "animazione", una "testimonianza" sono "apostolici", allora soltanto sono pienamente "autentici" in quanto giungono a superare e a risolvere ogni ambiguità e ogni ambivalenza manifestando il Cristo.

La verità è che oggi si è avvinti dalle suggestioni fenomeniche dovute alla trasformazione sempre più rapida e globale del quadro di vita e dei rapporti della umana convivenza; si è sempre più presi dalle vicende umane e secolari colte nelle loro apparenze funzionali e coinvolgenti, ma sempre meno penetrate nell'intimo.

Così il condizionamento delle apparenze si fa sempre più pressante e suggestivo turbando profondamente l'equilibrio biologico, psichico, " esistenziale " dell'uomo, il suo stesso "esserci" in quanto viene sempre più contraddetto e negato il suo "essere", sino alle soglie del dissolvimento, della disperazione.

L'uomo ridotto al "sentire", al "sopravvivere", all' "esserci", a un "fascio di diritti e di doveri" astrattamente concepiti, non può quasi più "intendere", "comprendere", "scegliere", "vivere" cosicché gli riesce sempre più difficile giungere a "liberarsi" e a "liberare".

Una riprova di tale situazione è data dallo stesso linguaggio: di fronte alla realtà diveniente colta soltanto come complesso fantasmagorico di apparenze si parla ormai pressoché esclusivamente di "fattori", di "variabili", di "funzioni", di "operatori", di  azioni e relazioni", di "traguardi", di "strutture", quasi non più si parla di "cause", di "essenze", di "fini", di "comunione" e così via.

L' "ordine" concepito come conservazione paralizzante e repressiva, oppure la "contrapposizione dialettica" affermata come cause del progresso umano e sociale, sono in fondo i modelli di convivenza tra i  quali ci si dibatte.

Il mondo, il secolo appaiono non solo come un "per sé", un autonomo complesso di fenomeni interagenti, ma come un "da sé", cioè come una presenza processuale che ha dal suo stesso mutare la causa della sua esistenza e il volto del suo apparire.

Il mondo è considerato come realtà in quanto muta continuamente e muta per poter mutare ancora, realtà che esiste in forza del suo stesso mutamento.

L'uomo poi, è un certo tipo di mutamento, più suggestivo e interessante, poiché può mutare ciò che lo circonda e volgerlo a servizio della sua stessa mutazione.

È qualcosa che esiste soltanto in quanto muta e in forza del suo stesso mutamento.

L'uomo non è "qualcuno" che essendo muta e muta per essere sempre meglio e di più quel "qualcuno" che già è, in radice.

Non è "un essere" che muta e deve mutare proprio per essere sempre di più, ma è uno speciale tipo di mutamento che non suppone qualcuno che muti, ma che diventa e appare come "qualcuno" intensificando e ampliando il suo non essere altro che mutamento.

Il mondo, l'uomo sono un "in sé" e un "per sé" in quanto mutamenti, anzi sono "sa sé" assoluti in quanto posti in essere da se stessi: "da sé" hanno origine appunto come mutamenti.

Certo il mondo, l'uomo appaiono come "principiati" e continuamente "riprincipiati", però si nega che tale loro radicale "essere principiati" sia dovuto ad altro che non al mutamento a cui sono ridotti.

Il mondo e l'uomo sono"principiati" senza posa dal loro stesso mutamento.

L'uomo è ridotto perciò alle sue espressioni e ai suoi comportamenti, l'uomo non si manifesta nelle sue espressioni e comportamenti, ma l'uomo "è" le sue espressioni e i suoi comportamenti.

Influire su tali espressioni, condizionare tali comportamenti diventa l'esclusivo modello di riferimento per ogni azione verso l'uomo, azione politica, economica, culturale, religiosa.

Si può perciò comprendere come una simile "visione" dell'uomo e del mondo diano luogo a interpretazioni e ad azioni errate come quelle che si riscontrano circa l'essenziale apostolicità dell'essere cristiani, e alle rovinose cadute di tensione e di impegno apostolico da parte dei cristiani.

Un primo gruppo di storture apostoliche è costituito dalla identificazione di Dio, del Cristo con l'uomo, con la storia.

Cristo è l'uomo e la storia, semplicemente.

L'apostolato è servire l'uomo con cui Cristo si è identificato, non Cristo nell'uomo e l'uomo in Cristo, ma puramente e semplicemente servire l'uomo, con il quale Cristo si è confuso e nel quale si è dissolto.

L'apostolato non è più manifestare Cristo all'uomo affinché l'uomo si incorpori in Cristo, ritrovandosi e realizzandosi sino in fondo in Lui e per Lui.

L'apostolato diventa servizio all'uomo senza alcun rinvio a Cristo o relazione con Cristo, all'uomo così come "ci pare", non all'uomo così come "è" ed "è chiamato ad essere" manifestato sempre più e meglio in Cristo Signore e per Lui.

Diventa servizio alla mia opinione sull'uomo, all'uomo-mia opinione; peggio per l'uomo se egli, in se stesso, è altro rispetto all'opinione che di lui concepisco.

Il secondo gruppo di travisamenti si può riassumere nell'apostolato ridotto a mediazione, non la mediazione di Cristo, ma la mediazione dell'uomo.

Mediazione tra il "da sé" che è Dio, che è Cristo e il "da sé" che è l'uomo o il mondo.

L'azione apostolica consisterebbe nell'avvicinare questi due "da sé" o, meglio, nell'"adattare" il "da sé" che è Cristo al "da sé" che è l'uomo e nel convincere l'uomo dell'attualità di Dio attraverso l'adattamento all'uomo che io ne faccio.

Insomma, si tratterebbe di "aggiornare" Cristo rispetto all'uomo in modo da renderglielo attuale, interessante, utile.

Il terzo gruppo è quello dell'"apostolato-presenza-al-mondo".

Il cristiano "si limita" a vivere accanto all'uomo di oggi, cerca di condividere la di lui situazione e condizione, ma sotto l'aspetto fenomenico, cioè sociologico, comportamentale, ambientale.

Cioè, non si apre all'uomo, non si dona a lui, non lo riceve dentro di sé; si vuole diventare apostoli semplicemente facendosi come gli altri, sotto l'aspetto esteriore e fenomenico.

L'attenzione però è a se stessi non al Cristo né all'uomo considerato nella sua individualità e densità personale.

Lo sforzo è di "fare come gli altri" e così essere "presente" agli altri.

Da questo tipo di "presenza" e attraverso ad essa, Cristo può irradiarsi sugli altri, ma come se fosse un fatto meccanico, un affare tutto suo.

Quello che conta è di mettersi nelle stesse condizioni degli altri, di fare le stesse loro esperienze.

Tale apostolato-presenza tende ad essere fine a se stesso, a rinchiudersi più o meno in se stesso, senza che in effetti Cristo sia manifestato e comunicato, senza che la vita di Cristo si riproduca nell'apostolo e per mezzo dell'apostolo si comunichi, senza che si realizzi una effettiva liberazione redenzione, senza che si stabilisca una vera comunione.

Un quarto gruppo di equivoci è sotteso dalla concezione dell'apostolato ridotto ad una equivoca animazione.

Animare è azione di chi anima, di chi concorre a dare vita; animare è un singolare rapporto stabilito dall'animatore verso l'animato.

"Animazione cristiana" è quell'azione vivificante che muove da Cristo, dal suo Spirito, come da principio di vita, che facendo di un uomo un suo collaboratore, per mezzo di questi si comunica ad altri uomini e ai loro rapporti e alle loro attività ordinandole al Padre, per Cristo Signore, facendole così autentica espressione di libertà liberatrice.

L'animazione cristiana insomma è quell'animazione vivificante, e perciò fattiva, propulsiva, ordinatrice, finalizzatrice, che muove da Cristo, che si sviluppa radicata in Cristo e in vista di Cristo.

Ma, purtroppo, spesso è l'uomo che si considera principale o esclusivo principio di animazione.

Ma senza Cristo l'animazione diventa "agitazione".

Spesso si parla di animazione "cristiana" perché è l'uomo che si pone come principio-di-animazione anche se da un lato cerca di guardare a ciò che Cristo ha insegnato e dall'altro cerca di ordinare e di sviluppare la realtà temporale secondo l'insegnamento di Cristo.

Non mancano apostoli dell'animazione che non guardano più a Cristo ma che si limitano a "fare bene" ciò che fanno, secondo le esigenza e le regole intrinseche all'azione che svolgono, al compito che assolvono, alla realtà verso cui si prodigano.

Questi cristiani si riducono ad essere soltanto uomini, facendo della qualificazione di "cristiano" un semplice ornamento, una sorta di etichetta.

Anzi, si condannano ad essere sempre meno uomini e a non contribuire a far crescere gli uomini in quanto uomini e il mondo e la storia in quanto tali, poiché il senso ultimo e pieno dell'attività umana, la sua funzione definitivamente benefica e feconda deriva unicamente da Cristo.

Il loro errore sta nel non aver compreso l'essenziale relazionalità e riferibilità dell'uomo, del mondo, della storia a Dio mediante la necessaria mediazione del Cristo.

Se l'uomo non si apre a Dio, non vive in relazione con Lui per mezzo di Cristo, non si oltrepassa riferendosi a Dio, allora non si "apre" ma si chiude in se stesso e su se stesso, non riesce a riconoscersi e a realizzarsi pienamente e sicuramente in quanto uomo, né può contribuire alla crescita rinnovatrice del mondo in quanto totalità ordinata e ordinabile pur nel suo disordine e nella sua contradditorietà, né allo sviluppo della storia in quanto cammino dell'umanità verso la liberazione, verso la pienezza.

L'uomo diventa sempre più uomo, e così il mondo e la storia, soltanto se si oltrepassa continuamente verso quella comunione con Dio, quell'unità con Dio che è il traguardo finale non più oltrepassabile poiché è pienezza raggiunta e piena fruizione.

Invero, le posizioni suaccennate contengono sicuramente qualcosa di valido.

L'apostolato è anche servizio, è anche presenza, è anche animazione, l'apostolato comporta queste funzioni ma ad esse non si riduce.

L'apostolato è innanzi tutto "missione", missione dal Padre, per il Figlio incarnato, nello Spirito Santo.

L'apostolato è un mandato, mandato che trae, ricevendoli, dal mandante il compito, la forza, la fecondità per ciò che è mandato a fare, per sé e per coloro a cui è mandato.

L'apostolo è mandato a manifestare-comunicare il Cristo, e il di lui mistero, con tutto se stesso: parola, comportamento, attività.

L'apostolo è mandato per Cristo Signore a ordinare il mondo a Dio, ordinandosi lui stesso con lo svolgere tale funzione ordinatrice.

"L'apostolicità" connota di sé tutte le forme di espressione-manifestazione del cristiano e tutti i suoi rapporti.

Li connota, informandoli senza alterarli, anzi, riscattandoli dalla colpa e dalla conseguente ambiguità e ambivalenza involutive, aprendoli a sensi, significati, funzioni, fecondità "divini" e nel contempo umanissimi che da sé soli non potrebbero conseguire.

Sia che parli di Dio o di Cristo, sia che parli in vista di scopi attinenti a questo o a quel campo della  vita, sia che operi atti di culto diretti e propri, sia che lavori per far fronte a questa o a quella necessità, il cristiano in quanto apostolo manifesta, celebrandolo, sempre, il mistero di Cristo.

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1 Apostolicam actuositatem 2.
2 Ef 14,16
3 Apostolicam actuositatem 3.
4 Apostolicam actuositatem 1.