Gli Istituti secolari

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Valutazione di questa legislazione

La legislazione sugli istituii secolari è un fatto nuovo e importante, che avrà certamente un grande influsso sull'evoluzione di questi istituti, invitati ad approfondire il loro carisma e a vivere una secolarità consacrata sempre più autentica.

I cc. 711 e 713-715 riprendono in forma concreta la dottrina del Concilio.

Se gli istituti di laici consacrati in pieno mondo con la loro vita e con l'approfondimento della loro dottrina hanno dato alla Chiesa una migliore coscienza della natura e della missione del laicato, definendo la sua condizione secolare, il Codice ha messo in maggior luce ciò che è la secolarità consacrala dei chierici come quella dei laici, pur non giungendo a chiarire pienamente la secolarità degli istituii di sacerdoti; lavoro che dovrà essere oggetto di una ulteriore riflessione dottrinale, partendo dalla vita e dall'esperienza di questi istituii, del resto non molto numerosi.

Alcuni istituti saranno costretti a fare una scelta: parecchi sono secolari solo di nome; tra questi, alcuni formeranno un movimento ecclesiale, altri saranno riconosciuti come società di vita apostolica; qualche altro come prelatura personale.

La vocazione degli istituii secolari è difficile.

La loro vita nascosta, la loro azione a modo di lievito non soltanto nel mondo ma nel cuore del laicato o dei presbiteri diocesani, rende la loro posizione nella Chiesa riservata, talvolta ignorata; il che diminuisce l'informazione diretta su questo tipo di vita consacrata: clero e religiosi lo ignorano ancora troppo per saper discernere le chiamale a questo genere di vita.

I canoni del Codice hanno il vantaggio di rispettare a! meglio l'identità di ciascun istituto; in questo senso rappresentano un modello.

Gli istituti religiosi non godono ancora di una simile flessibilità e di una vera ricerca di adattamento ai carismi diversi che determinano la loro identità.

Il livellamento che è prevalso non soltanto nel Codice del 1917 ma già prima, continua a farsi sentire.

La Chiesa intera deve prendere coscienza dell'impatto dei carismi: la sua legislazione deve aprirsi alla loro diversità.

Se si vuol dare ai carismi la possibilità di esprimersi, occorrerà dare questa flessibilità del diritto non solo agli istituti di vita consacrata, ma a tutte le forme comunitarie ecclesiali, e anzitutto alle chiese particolari, e in esse alle parrocchie e ad altre comunità ecclesiali.

Esse potranno in tal modo vivere la loro identità in una autonomia relativa, secondo il loro diritto proprio e il loro governo.

Da questo punto di vista, il Codice riflette il Concilio.

Ma il Concilio non è riuscito a trarre le conclusioni della sua dottrina.

Il Codice ha iniziato questa evoluzione, e se è il « Codice del Concilio » e il suo « ultimo documento », come dice Giovanni Paolo II, resta un Codice di transizione, e permette allo Spirito di continuare l'opera che ha iniziato, superando un giorno le norme conciliari e le sue opzioni, per condurre a maturità una visione nuova della comunione ecclesiale nel mondo.

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