Giovedì santo 2008
Nell'Eucaristia, dono di amore e di vita di Gesù agli uomini, ci immergiamo nel suo amore e rimaniamo in lui per portare molto frutto
L'annuale ricorrenza del Giovedì Santo ci ricorda in un modo particolarmente intimo e profondo l'amore del Signore e fin dove esso giunge.
Il Giovedì nel quale Gesù celebrò con gli Apostoli la sua ultima Cena viene chiamato santo per l'inimmaginabile dono che Gesù ci ha fatto.
Si è alla seconda settimana del mese di Nisan, Gesù si trova a Gerusalemme per celebrare con gli Apostoli l'ultimo banchetto pasquale, e col cuore riboccante di tenerezza Gesù dona se stesso agli Apostoli quale segno del massimo amore, incorporandosi in essi e donando la vita per loro.
Ecco come S. Luca ci descrive tale fatto: "Venne il giorno degli azzimi, nel quale si doveva immolare la Pasqua.
Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: « Andate e preparate per noi la Pasqua, perché possiamo mangiare ».
Essi andarono … e prepararono la Pasqua.
Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: « Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più finché essa non si compia nel Regno di Dio ».
… Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: « Questo è il mio corpo che è dato per voi: fate questo in memoria di me ».
Allo steso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: « Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi ». ( Lc 22,2-20 )
Gesù, come risulta da queste parole e da questi fatti divinamente semplici, mantiene la promessa fatta a Cafarnao, e compie un triplice grandioso prodigio:
- Anticipa nel sacramento dell'eucaristia la sua passione e morte redentrice;
- Nel pane e nel vino eucaristico ci fa incorporare in Lui, e ci da la risurrezione e la vita;
- Istituisce il sacerdozio ministeriale
Attraverso la lavanda dei piedi, che precedette la sua ultima Cena con gli Apostoli, Gesù ci mostra con quali atteggiamenti di amore e umiltà dobbiamo accostarci a lui che si dona a noi in cibo: il suo Corpo immolato, quale cibo che ci incorpora in Lui e ci da forza, e il suo Sangue versato, quale bevanda che ci redime da ogni colpa e ci da vita.
Con questi gesti estremamente semplici Gesù volle perpetuare nei secoli il memoriale della sua passione con la quale si offrì al Padre come Agnello senza macchia per la nostra salvezza, e quale pegno perché vivessimo in eterno.
Questo è un grande mistero di amore per il quale Cristo ci nutre e ci santifica comunicandoci lo Spirito Santo, che ci trasforma a immagine della sua gloria.
I sentimenti di amore e di misericordia che devono muovere la vita dei suoi discepoli, Gesù ce li aveva già presentati con le parabole della misericordia.
Con la parabola del buon samaritano, Egli ci aveva ricordato come I'amore che dobbiamo avere per il prossimo in necessità non va frenata dal porre delle domande, ma constata semplicemente che c'è un disagio da soccorrere.
Per quanto possibile, siamo chiamati a soccorrere, per amore, chi è nel bisogno; è questo che ci deve spingere ad agire, a prescindere dal sapere, dall'appartenenza religiosa o sociale od altro.
È la carità di Gesù che ci deve indurre a chinarci su chi ha bisogno di assistenza o semplicemente di una parola buona o di un sorriso.
Con la parabola del buon samaritano Gesù ci mette in guardia da quella religiosità legale e senza cuore che può condurre anche quelli che dovrebbero essere di esempio per gli altri a comportarsi in modo disumano.
La misericordia di Dio, espressione della sua carità, caratterizza l'autenticità di ogni atteggiamenti religioso.
Al di fuori della carità non può che esserci ipocrisia, indifferenza ed egoismo.
Con la parabola del Padre buono e misericordioso, Gesù ci presenta un altro prezioso insegnamento mostrandoci l'amore del Padre nei confronti di un suo figlio che si era allontanato da casa.
Con questa parabola Gesù ci svela il volto del Padre che apre le braccia e riaccoglie il figlio che si era perso, ma che ora è ritornato.
Ogni uomo e ogni donna è un bene da accogliere e amare per quanto male abbia fatto, e quindi va aiutato a reinserirsi nella propria dignità di figlio di Dio.
Che non ci accada di trovarci nella condizione del figlio maggiore, incapace di gioire per il ritorno a casa di suo fratello!
Le parabole della misericordia ci ricordano che, come figli di Dio , dobbiamo avere e coltivare in noi i suoi stessi sentimenti di amore, manifestati attraverso l'accoglienza e il perdono dato e ricevuto.
Solo il perdono di Gesù vince in noi la più o meno visibile separazione con i fratelli causata dal peccato; solo il perdono dato e ricevuto ci riconduce nella comunione dei figli di Dio.
Nessuno di noi può dire di essere senza peccato.
Se dunque tutti siamo peccatori con che coraggio ardiamo puntare il dito verso un nostro fratello che si comporta male, senza porgergli invece la mano per aiutarlo a rialzarsi ed essere reinserito nella sua dignità di figlio di Dio?
Il nostro atteggiamento inTeriore di cristiani dovrà essere pertanto quello di avere gli stessi sentimenti di Gesù, il quale "pur essendo di natura divina, non considerò un privilegio geloso la sua uguaglianza con Dio ma umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce". ( Fil 2,5-8 )
Da queste riflessioni scaturite alla luce della Parola di Dio derivano i seguenti atteggiamenti pratici, cose da fare o da non fare, e precisamente:
- non vantarsi, ne insuperbirsi;
- non cercare il proprio interesse;
- non adirarsi;
- non essere invidiosi;
- non mormorare, né spettegolare sul conto degli altri;
- non mancare di rispetto;
- non diffamare le persone;
- non tener conto del male ricevuto;
- non godere dell'ingiustizia;
- compiacersi della verità;
- essere pazienti;
- essere benigni
Soprattutto ricordiamo che "la carità tutto copre, tutto crede, tutto spera, e tutto sopporta". ( 1 Cor 13,7 )
La lettera ai Romani ci dice inoltre: "La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda.
Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore.
Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell'ospitalità.
Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite.
Rallegratevi con quanti sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto.
Abbiate in voi i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili." ( Rm 12,5 )
Questo è il sublime insegnamento di Gesù, espresso con le seguenti fondamentali parole: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni gli altri". ( Gv 13,34-35 )
L'amore sommo che ci è rivelato nella passione e morte del Signore, è la sintesi del Vangelo; per questo Gesù in tutta la sua vita terrena, e segnatamente nell'imminenza del suo sacrificio, ci ricorda l'essenzialità del nostro rimanere in Lui e nel suo amore se vogliamo portare frutto: "Ogni tralcio che in me non porta frutto, ( il Padre ) lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché frutti di più". ( Gv 15,2 )
Soggiunge ancora Gesù: "Come il tralcio non può far frutto da sé, così anche voi se non rimanete in me.
lo sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla …
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". ( Gv 15,4-11 )
Perché, pur conoscendo questi preziosi insegnamenti, talvolta ci pesa il rimanere in Gesù, cioè nel suo amore?
Come possiamo vicendevolmente aiutarci, per non essere troppo radicati nelle realtà terrene, al punto di non pensare con maggiore attenzione alla vita eterna?
Come possiamo assecondarci a migliorare i rapporti tra noi quando ci accorgiamo che questi non riproducono quanto proposto da Gesù proprio il Giovedì Santo, come ci richiamano i testi citati?
Necessitiamo quindi anche noi di quelle potature ivi annunciate - che non dobbiamo temere - perché la nostra forza non viene da noi, ma dallo Spirito Santo.
Se in qualche momento di crisi spirituale ci cogliesse un pensiero di pessimismo circa il raggiungimento della santità alla quale Dio ci chiama, faremmo un grande torto a Gesù, perché la santità non siamo noi a darcela, ma è opera dell'amore misericordioso del Signore che ci nutre e ci sostiene perché diventiamo perfetti.
In questo giorno benedetto riscopriamo le virtù teologali donateci nel Battesimo, per viverle con maggiore intensità e correre gioiosi con il Signore.
Impegniamoci, carissimi Catechisti, in questo giorno a dare una svolta rivoluzionaria alla nostra vita, per viverla come si conviene ai santi.
Rinnoviamo la volontà di lasciarci santificare da Gesù con una determinazione non fatta di sole parole ma di gesti concreti.
Chissà che, così facendo, anche noi non esperimentiamo la gioia profonda di sentire accanto a noi la presenza del Signore e di irradiarla tanto da stimolare dei giovani a unirsi a noi per condividere la nostra vita.
Una tale radicale conversione potrà apparire utopia, ma anche le utopie possono diventare realtà se siamo veramente incorporati in Gesù, perché Dio è fedele e dona largamente il suo Spirito a chiunque glielo chiede con passione e con fede.
Coraggio, dunque, e potremo aggiungere anche questo vittorioso risultato alle meraviglie operate da Dio.
Perché i nostri limiti e le nostre miserie non ci scoraggino nel rispondere all'amore di Gesù, ci è di sostegno quanto dichiarato dal Papa nell'enciclica sulla speranza, in merito all'amore di Dio che brucia le nostre colpe.
Scrive il Papa: "La prospettiva del Giudizio già nei primissimi tempi, ha influenzato i cristiani fin nella loro vita quotidiana come criterio secondo cui ordinare la vita presente, come richiamo alla loro coscienza e, al contempo, come speranza nella giustizia di Dio".
Ed ancora: "Il giudizio di Dio è speranza sia perché è giustizia, sia perché è grazia".
Le parole del Papa sono illuminanti e consolanti per chi, nonostante la sua debolezza, ha desiderato in qualche modo di restare unito a Gesù: "Il nostro modo di vivere non è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia eternamente, se almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e verso l'amore.
In fin dei conti, questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di Cristo.
Nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male del mondo in noi … il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana, mediante una trasformazione certamente dolorosa, come attraverso il fuoco.
È tuttavia un dolore beato, in cui il patire santo del suo amore ci penetra come fiamma, consentendoci alla fine di essere totalmente noi stessi e con ciò totalmente di Dio ". ( Spe salvi, n. 41ss ).
In un giornata come questa tutto ci parla in un modo particolarmente toccante dell'amore del Signore.
Mossi da questo amore siamo invitati a rinnovare in un contesto di umiltà e di gioia spirituale il nostro più sincero amore a Lui per averci amati fino al dono di se stesso in cibo e bevanda, quale pegno della vita futura che rifulgerà in noi, resi simili a Lui come fratelli e in Lui conglorificati.
È anche particolarmente importante in un giorno come questo aprire gli occhi del cuore per vedere di quante attenzioni siamo circondati dai nostri fratelli.
A loro in un giorno cosi solenne dove tutto ci parla di amore, va anche il nostro sincero grazie.
Solo un residuo filo di superbia potrebbe farci desistere dal dire il nostro sincero grazie a chi ci ha fatto del bene.
Facciamolo dunque, perché anche un tenue disordinato amor proprio, alla luce dell'insegnamento di Gesù, non ha alcun motivo di sussistere.
Da parte mia posso testimoniare che senza la presenza paterna e materna del Signore che ha camminato e che cammina tuttora al mio fianco, io non avrei in alcun modo potuto condurre la guida dell'Unione.
È Lui che mi ha dato la forza di continuare a rimanere al mio posto nonostante non siano mancate e non manchino delle difficoltà anche gravi.
È lui che mi ha aperto la bocca facendomi parlare al momento opportuno, cosa che in passato ho sempre decisamente evitato a motivo della mia povertà spirituale e della mia timidezza.
Ora è giunto II momento di ringraziare innanzitutto il Signore che ha voluto servirsi di me nonostante i miei limiti, di ringraziarlo per avermi sostenuto nelle molteplici e non sempre facili attività, e per aver messo al mio fianco dei confratelli e dei collaboratori che mi hanno sostenuto e che hanno svolto molti dei miei compiti.
Cosa avrei potuto fare senza di toro?
A tutti va dunque il mio fraterno e sincero ringraziamento, specialmente a chi opera nel silenzio, noto solo a Dio.
Questa Santa Pasqua porti a tutti un rinnovato entusiasmo di camminare sulla via della santità rimuovendo tutto ciò che potrebbe dividerci.
Il nostro amore verso l'amabilissimo nostro Signore sia sempre più esteso e senza misura, e così pure la nostra carità fraterna non abbia limiti, perché solo in tal modo la nostra gioia sarà piena e diventeremo nel mondo una sempre più perfetta testimonianza del suo amore.