Ritiro del 13/10/1996
1 - Vivere quello che abbiamo pregato
2 - Movimento trinitario
3 - Vocazione alla luce di Gesù Cristo
4 - La vocazione è una teofania
5 - Siamo salvati per grazia
6 - Origine della tua vocazione
7 - Conoscere noi stessi
8 - "Io ho scelto voi"
9 - Sei tu la vigna
10 - Fino a che non rinasciamo dall'alto
11 - Segni per riconoscere i nostri frutti
12 - Importanza di un serio discernimento
13 - Differenza tra carità e compassione
14 - Tempo in cui Dio si manifesta
15 - Potrebbe esserci un infiltrato
16 - L'amore di Dio è caris
17 - Essere servo del Signore
Innanzi tutto cerchiamo di vivere quello che abbiamo pregato nel versetto alleluiatico.
Ve lo rileggo perché diventi veramente quello che vogliamo fare: "Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo ci conceda lo spirito di saggezza perché possiamo conoscere qual'è la speranza della nostra chiamata".
Qui c'è, in poche parole, tutta la riflessione di oggi: non siamo noi ad aver scelto questa domenica per incontrarci, ma è il Signore che ci aveva già pensato da tempo e predisposto che questo versetto potesse essere per noi profezia.
Abbiamo qui un movimento trinitario:
"Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo" - Gesù Cristo è davvero nostro Signore? -
"ci conceda lo spirito di sapienza" - sapere, che indica il sapore, quindi il gustare -
"perché possiamo conoscere" - quindi vivere e sperimentare -
"qual'è la speranza della nostra chiamata".
Siamo dunque stati chiamati e abbiamo una speranza, perché abbiamo gustato la signoria di Gesù Cristo che ci rivela Dio Padre: questo deve essere tutto quello che dobbiamo cercare di vivere oggi.
Non intendo dire che questo già non tentiamo di farlo e magari da tanti anni, però, come Maria, anche noi abbiamo bisogno ogni giorno di ripetere il nostro "SI'" , ma il rischio è che il nostro sì diventi un'abitudine e non sia più una cosa vissuta, una cosa reale, concreta; diventi una cosa stentata e uno dei motivi per cui si fanno periodicamente dei ritiri è quello di ritornare alla fonte.
Non per niente la prima volta che ci siamo incontrati la riflessione era: "Ritorno alla sorgente", alla sorgente del nostro esistere, di quello che siamo e di quello che stiamo facendo.
Il tema generale della giornata è questo: "Vocazione alla luce di Gesù Cristo per il mondo di oggi" e la riflessione prevede appunto questi tre momenti: la vocazione, la luce, il mondo.
Questa mattina vogliamo riflettere sulla vocazione e potremmo cominciare da questo: ritorna all'origine di te stesso.
Il primo passo biblico è: "Perciò ecco l'attirerò nel deserto e lì parlerò al suo cuore" ( Os 2,16 ).
Un tempo, che può essere più o meno lontano, noi abbiamo accolto la chiamata del Signore; poi le molte faccende ci hanno trasformato in "Marta", mentre forse dovevamo essere un poco di più "Maria" e allora abbiamo dato per scontato quell'unico evento che fonda tutto il nostro esistere cristiano, che è la chiamata del Signore.
Torna alla tua origine, non dare più nulla per scontato in questo momento, neanche il tuo cammino, il tuo grado di devozione o di profondità spirituale.
Non entrare nello scrupolo, però non dare nulla per scontato; sii umile davanti a Dio e non giudicare gli altri o te stesso.
La prima cosa che dobbiamo ricordare è che la vocazione è una teofania, una manifestazione di Dio, una rivelazione luminosa, potente, gloriosa.
Due esempi: la vocazione di Mosé all'Oreb mentre sta pascolando il gregge, e la vocazione di Isaia.
In che situazione si trovava Mosé?
In una situazione di estrema prostrazione: non era più un principe reale, non era stato riconosciuto dai suoi fratelli di razza, aveva ucciso un egiziano, era stato costretto a fuggire dall'Egitto e va a finire nel deserto.
E proprio qui, dove non ha più niente a cui aggrapparsi, Dio gli viene incontro.
C'è una cosa importante: se vogliamo incontrare Dio, dobbiamo avere il coraggio di perdere tutto, di spogliarci di tutto, anche di quello che è meritevole, buono e santo, ma che abbiamo conquistato con le nostre forze.
Il Signore farà sempre così con ciascuno di noi: tutte le prove che ci concede sono perché noi ci sganciamo da ogni forma di possesso, anche sul nostro cammino spirituale.
Non dobbiamo mai dimenticare che siamo salvati per grazia e i meriti sono in risposta e non possono venire prima della grazia, poiché, dice san Paolo, nessuno di noi ha meritato questa salvezza.
Non potevamo meritarcela, l'abbiamo ricevuta gratuitamente quando ancora eravamo peccatori.
Mosè in questo stato di prostrazione, di solitudine assoluta si ritrova a pascolare un gregge ( un lavoro, per la mentalità di un egiziano, il più umile che si potesse immaginare ) e quando ha toccato la disfatta più completa, ecco che lo attira una luce.
Sul monte Oreb c'è qualcosa che brilla e, avvicinandosi, scorge un roveto ardente che non si consuma: ecco la teofania di Dio.
Non è Mosè che va a cercare Dio, è Dio che si mostra per primo, è lui che, come leggiamo in tutta la Scrittura, si china verso gli uomini come un padre che "accosta un bimbo alla sua guancia".
Dio si presenta, attira, si manifesta e ci affascina.
Torna un po' all'origine della tua vocazione. Perché sei qui adesso?
La tua vocazione è stata una manifestazione di Dio, oppure lo sconforto e la compassione per gli altri ( e su questo bisogna che siamo veramente onesti )?
Badate bene: io non dico che la compassione per la situazione del mondo non sia importante, ma non può essere all'origine della vocazione.
Uno non segue il Signore perché c'è il male nel mondo; il Signore non è un ripiego, non è che tu segua lui, perché non puoi seguire nessun'altra via.
Al Signore non possiamo e non dobbiamo offrire gli scarti, come faceva Caino, perché il prezzo che pagheremmo sarebbe troppo alto: essere raminghi e solitari per tutta la faccia della terra.
E questo è sicuramente quello che noi non vogliamo che accada.
Dunque è importante ritornare continuamente, nel tuo cammino spirituale personale - che però poi si ripercuote su tutta la comunità, come è ovvio - a quel momento in cui hai avuto la tua teofania.
Quando è stato? cosa successe quella volta? che cosa hai provato nel tuo cuore, nella tua intelligenza, nel tuo sentimento, nel tuo spirito?
Una cosa molto bella che potete fare è quella di avere il coraggio di tornare a quel momento, che solo voi conoscete, di speciale intimità con Dio.
È stato durante un'eucaristia? un'adorazione eucaristica? un'ascensione in montagna?
Certamente per ognuno c'è stato un modo diverso, però ognuno di noi sa che quella fu la volta in cui Dio lo ha visitato.
Se vogliamo che la nostra attuale vocazione rifiorisca dobbiamo ritornare alle origini, dobbiamo mantenere acceso il fuoco di allora; aggiungendo certamente altra legna, ma il fuoco che brucia deve essere quello di allora, perché il fuoco che accese il nostro cuore non fu il nostro fuoco.
Ci sono tre elementi importanti che dobbiamo conoscere di noi stessi: l'intelligenza, la volontà e l'amore.
Con l'intelligenza capisco, valuto la situazione in cui sono, con la volontà prendo una decisione; ma quello che rende piacevole quello, per cui mi sono deciso è l'amore.
Vi faccio un esempio, molto semplice.
Se un giorno io mi alzo e dico: Oh, è una bella giornata, c'è il sole, si potrebbe fare una gita in montagna.
Con la mia intelligenza comincio a ragionare: per fare la gita devo preparare questo e quello.
Dopo che ho tutto chiaro il progetto, dovrò pur prendere una decisione.
Ma l'intelligenza non prende decisioni, le prende la volontà, la quale però non decide secondo il suo gusto, ma secondo la coscienza.
Se la coscienza è piena di amore di Dio, sceglierà sempre nell'ottica di Dio; se invece è una coscienza debole, frustrata, menomata, la volontà sceglierà una volta in un modo e un'altra in un altro.
Secondo i teologi moralisti ( semplifico al massimo ) la coscienza è "il luogo della presenza di Dio".
Dio non abita né l'intelligenza né la volontà, ma la coscienza che è il luogo dove ci siamo io e Dio insieme, dove Dio parla con me e io parlo con Dio.
Ora se, come dice Giovanni, Dio è amore, la tua coscienza dovrebbe essere piena di amore e quello che ti fa decidere a fare quella famosa gita è l'amore, una gratificazione, cioè la gioia che ne provi, o che puoi dare a qualcun altro.
All'inizio di ogni vocazione ci sono questi tre elementi che agiscono insieme: l'intelligenza per cui abbiamo valutato se quel tipo di vita con tutti i suoi impegni e con tutte le sue gratificazioni si addiceva al nostro carattere, al nostro modo di vivere; e dopo una meditazione che può essere stata lunga, solitaria, ma spesso - e per fortuna - guidata da un padre spirituale, si è dovuta prendere una decisione e prima della decisione, abbiamo sentito il bisogno di lasciarci riempire dell'amore di Dio, perché senza questo amore noi non avremmo preso nessuna decisione.
Altra cosa su cui riflettere è allora il fatto che il primo passo lo fa Dio, non noi: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché portiate molto frutto e il vostro frutto rimanga". ( Gv 15,16 )
Dunque Dio ci sceglie, Dio ci chiama non per lasciarci chiusi in noi stessi, ma perché portiamo molto frutto, questo frutto rimanga e perché tutto questo avvenga, ci costituisce.
Non è vero che Dio ti sceglie e poi fai tutto da solo: qui c'è scritto che ti costituisce.
Cosa significa? Significa che Dio ti sceglie e poi ti dà con la sua grazia delle facoltà o delle capacità adatte per fare quello che lui si aspetta da te.
Avere la grazia non significa che automaticamente questa grazia farà quello che il Signore si aspetta, perché la grazia è sempre vincolata alla tua libertà e alla tua volontà.
Se il Signore ti ricolma di beni, ma tu non li usi, fai come quel servo malvagio, che prende il talento e lo nasconde sotto terra.
"Vi ho costituiti", dunque, "perché andiate": l'intimità con Dio ti proietta all'esterno, verso il mondo; "e portiate molto frutto", ma perché un tralcio porti frutto deve rimanere sempre legato alla vite, perché è la radice che porta la linfa, non i rami.
Una parentesi: se non c'è frutto abbondante, cosa c'è che non va?
Nella mia vita c'è un frutto abbondante?
Non solo nei tuoi confronti, perché evidentemente stai crescendo nello spirito: ami il Signore, lo adori, preghi volentieri, ecc.; ma i frutti non se li mangia la vigna, se li mangiano gli altri.
Ora se tu sei la vigna, ci sono i frutti?
C'è qualcuno che può cibarsi della tua santità?
Se non c'è questo frutto abbondante, cosa c'è in te che impedisce questo mirabile raccolto?
Che cosa stai facendo o non facendo, per avere un grande raccolto?
Perché ci sono milioni di persone che, come a Ninive, non sanno distinguere la destra dalla sinistra.
Giona fu mandato a loro - e non ci voleva andare -, ma poi obbedì e cosa è successo?
Che anche se non voleva, ha passato tre giorni a girare per Ninive dicendo: Convertitevi, se no questa città sarà distrutta.
E lui, che diceva quelle cose solo per obbedienza, ha visto che l'essere costituito in Dio ha portato molto frutto.
Così come Mosè che non aveva nessuna voglia di tornare in Egitto e ha trovato tutte le scuse per non andarci: non so parlare… balbetto… mi hanno cacciato via…
E a tutto questo Dio risponde assicurandolo solo della sua assistenza.
E sappiamo cosa avvenne per l'obbedienza di Mosè.
Dio ci ha costituiti per portare frutto, ma fino a che non rinasciamo dall'alto, questo frutto potrebbe essere o scarso o carnale.
A Nicodemo fu detto che doveva rinascere dall'alto, se voleva la salvezza e lui ha chiesto: "Cosa vuol dire rinascere dall'alto?".
E gli apostoli chiesero a Gesù, che aveva detto loro dopo la sua risurrezione: "Restate in città finché non sarete rivestiti di potenza dall'alto", ( Lc 24,39 ) precisamente questo: Cosa vuol dire essere rivestiti di potenza dall'alto?
Prima riempiti di Dio, poi lui ti rivestirà di potenza dall'alto, cioè ti rivestirà del suo Spirito.
Solo così puoi portare frutto, questa è l'ottica di Dio; altrimenti il tuo frutto può anche esserci, ma come frutto esclusivamente del tuo impegno, del tuo sforzo.
E quali sono i segni per riconoscere se i nostri frutti sono spirituali o carnali?
Il primo è l'abbondanza, perché la messe è del Signore non nostra, e poi il fatto di essere distaccati da quello che facciamo; il ruolo che tu occupi attualmente non deve essere la ragione della tua vita: può essere importante e gratificante, oppure umile e nascosto, ma non è il fine della tua vita.
Il fine della tua vita è dare il tuo cuore a Dio: allora i frutti saranno abbondanti e spirituali; se il nostro cuore non è di Dio e facciamo delle cose, non siamo liberi da noi stessi.
Non dico che questo avvenga intenzionalmente, troppe volte avviene con le migliori intenzioni.
Ci sono persone che fanno del bene e ne fanno tanto, apparentemente perché amano il Signore, ma in realtà perché amano essere riconosciuti, essere ricercati, applauditi, riveriti.
E questo forse inconsciamente, perché le ferite della vita lasciano delle tracce dentro di noi; come i fatti belli e gratificanti ci rassicurano e ci rafforzano, così le umiliazioni e le sofferenze possono lasciare in noi un senso di inferiorità.
Voi capite bene come è pericoloso che una persona, vittima di un senso di inferiorità, si metta a fare del bene al prossimo, perché inconsciamente ne viene gratificato, perché si sente emarginata.
Questa è una vera vocazione? Chi sta cercando quella persona: Dio o se stessa?
Di qui l'importanza di un serio discernimento e di un cammino umile di guarigione.
Noi non siamo puri spiriti: quelli si chiamano angeli, noi siamo uomini e sappiamo bene che la natura umana sarà senz'altro trasfigurata, ma è anche ferita.
Se non lasciamo guarire le nostre ferite rischiamo che la vocazione che abbiamo non possa produrre i frutti che Dio si aspetta, per un nostro vizio di forma.
Perché non abbiamo fatto di tutto per essere liberi da noi stessi o dalle circostanze o dagli eventi, che, volenti o nolenti, ci hanno in qualche modo costretto .
Se una persona ce l'ha con me, io posso fare uno sforzo di volontà e apparire gentile, ma il mio cuore ( e io lo so ) dentro sente sempre avversione.
Ora, non è molto meglio guarire il cuore in modo da non sentire neanche più quell'avversione e vivere la vera carità?
Ecco la differenza tra la carità e la compassione.
La compassione è un ottimo sentimento umano ed è anche un cammino spirituale, ma non arriva mai alla carità, questo fuoco dell'amore di Dio, questa "potenza che scende dall'alto" in noi e ci trasfigura .
Quando si vive in comunità, è molto facile pestarsi i piedi l'uno con l'altro.
È solo quando si vive insieme che si capisce se si ama davvero o a parole; è solo quando c'è la correzione fraterna in atto che tu capisci se stai vivendo nello Spirito o no.
La correzione fraterna è una delle cose più difficili da operare, perché , guarda caso, quando c'è qualcosa da correggere, io sono a posto e chi sbaglia sono sempre gli altri.
Questi sono i frutti della carne, non dello Spirito; tu non puoi ammettere di aver sbagliato, hai un'alta stima di te stesso; non ti metti nella luce di Cristo crocifisso, ma della tua individualità.
E questo impedisce che la chiamata di Dio in te fruttifichi.
Allora Dio fa il primo passo, è sempre stato così ed è la sua storia.
Ora due frasi importanti: il tempo è lo spazio in cui Dio manifesta se stesso; la nostra vita è lo spazio in cui Dio incide la storia.
Quale storia? La storia della salvezza.
E quale tempo? Il nostro tempo, per difficile e arido che esso sia.
Guardiamo i due lati di questa medaglia.
È vero che il nostro tempo è molto arido, ma è pure vero che anche un deserto, quando c'è l'acqua, fiorisce; e fiorisce molto più velocemente di un prato, perché ha in sé tutte quelle energie che nessun altro ha sfruttato prima.
Se il nostro tempo è così arido non dobbiamo lasciarci sopraffare dallo sconforto, dobbiamo invece dire: Che meraviglia! il Signore mi ha dato un terreno ancora non coltivato di modo che appena potrò gettare il suo seme ( non il mio ) questo deserto fiorirà.
Ma io devo essere consapevole di me stesso, di chi sono e di che cosa ci faccio in questa vita, di che cosa si aspetta Dio da me e che cosa sono io per lui.
Queste sono delle domande che sembrano scontate, ma sono fondamentali.
Se non ce le facciamo tutti i giorni della nostra vita, inutilmente preghiamo, inutilmente celebriamo, inutilmente facciamo apostolato.
Sottilmente potrebbe esserci un infiltrato che ci suggerisce di fare queste cose per il nostro tornaconto.
Avete sentito il Vangelo di oggi: "Il re entrò per vedere i commensali" - ma allora vuol dire che Dio viene a vedere dove siamo, viene vicino, ci guarda, quindi non siamo lasciati in balia di noi stessi - ne scorge uno che non indossa l'abito nuziale e gli dice: "Amico, tu qui sei un infiltrato, tu non hai niente a che fare con questi che hanno accettato il mio invito, che hanno sentito la mia chiamata e sono venuti; vai fuori di qui".
"Poi dice ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori". ( Mt 22,11-13 )
Vuol dire che Dio ha dato ai suoi servi il potere di legare gli infiltrati e se chi ci infiltra la debolezza o lo sconforto è il demonio, noi abbiamo il potere, per la parola di Dio, di essere liberi anche da queste tentazioni.
Ma c'è anche un altro insegnamento: anche nella casa di Dio si può trovare qualche infiltrato.
Io credo che questa non sia una novità per nessuno, ma se per caso lo fosse, dobbiamo sapere che ci sono vari gradi di creature.
Alcune sono totalmente spirituali e sono gli angeli da una parte e i demoni dall'altra, i quali, come ci insegnano le parabole ( specialmente Mt 12 ) vanno continuamente nei luoghi più diversi, per creare scompiglio.
E c'è uno spirito particolare, che si chiama spirito di religione, che vive all'interno delle comunità, che vive addirittura all'interno della Chiesa e questo spirito crea astio, crea divisione, crea amor proprio, orgoglio, crea giudizio nei confronti degli altri.
Dinanzi a questo spirito negativo, il Re in mezzo a noi ci dice.
Avete occhi per vedere: avete il potere di essere liberi.
Ci sono i frutti della carne?
Vuol dire che c'è un infiltrato, legatelo e buttatelo via, perché "nel nome di Gesù ogni ginocchio si piega nei cieli, sulla terra e sotto terra".
Ma andiamo avanti.
L'amore di Dio è caris, che ha in sé anche la radice di kalòos, bellezza; dunque l'amore di Dio è bello, è caldo, è luminoso, è maestoso ed è personale.
Tutto questo è nella tua storia, è quel famoso giorno che tu sai, che devi ricordare per riscoprire e risentire di nuovo la bellezza di quell'incontro, il calore della vicinanza di Dio: quando ti sei sentito amato, quando non ti sei sentito giudicato.
Dio si è rivelato, rivelando te a te stesso, perché l'amore è luminoso; la luce del roveto ardente fa chiedere a Mosè: "Chi sei?".
"Io sono colui che sarò", ( Es 3,14 ) cioè vedrai chi sono ogni giorno della tua vita.
Ma allora la vocazione è qualcosa di ogni giorno della vita.
L'amore è maestoso, ti fa sperimentare la maestà di Dio, ed è personale.
Questo amore è la molla che ti ha fatto decidere allora.
Domandati: questa molla c'è ancora? scatta ancora in me? ogni volta che ripenso a quel giorno mi ritorna l'energia o il desiderio grande innanzi tutto di amare lui e poi di farlo amare?
È l'amore che ti muove non il dovere, non il dolore del mondo, se no è compassione è filantropia, è ricerca di te stesso.
Questo amore dà anche la verità su se stessi.
Se vuoi essere servo del Signore devi ricercare la verità su te stesso; se non lo fai, devi essere cosciente di non voler servire Dio, perché la verità su te stesso ti fa paura; e se qualcuno cerca di correggerti e tu non lo accetti, hai già scelto chi vuoi servire: non Dio ma l'io.
Se poi quel fratello quando ti ha corretto ha sbagliato nel modo oppure ha sbagliato completamente, non sta a te giudicarlo.
A te sta solo l'amarlo, perché con la stessa misura con cui misurate, sarete misurati.
La prima cosa che Dio rivela è chi sei tu per lui e che posto occupi nel suo progetto; poi ti conferma, poi ti costituisce e poi ti invia.
Un piccolo suggerimento per finire, che siete liberi di seguire o di non seguire.
Ognuno racconti a se stesso per iscritto quello che accadde in quel giorno, che lui solo conosce, perché alla fine di tutto quello che avrete scritto voi possiate glorificare Dio per quello che ha iniziato con voi, in voi, per il mondo.