Cenacolo N° 47
Ci sono Varie risposte possibili.
Una è riamare Dio!
E questo è il primo e più grande comandamento della legge!
Ma tutto questo viene dopo prima c'è un'altra cosa da fare.
Altra risposta possibile è: amarci tra noi come Dio ci ha amati!
Non dice forse l'evangelista Giovanni che,se dio ci ha amati, "anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri" ( 1 Gv 4,11 )
Ma anche questo, viene dopo; prima c'è un'altra cosa da fare.
Cosa c'è prima? Credere all'amore di Dio!
"Noi abbiamo creduto all'amore che Dio ha per noi" ( 1 Gv 4,16 ).
La fede dunque è essenziale.
Per credere all'amore di Dio occorre però una fede speciale; non si tratta di una fede semplice assenso dell'intelletto a una verità.
É ben altro.
É la fede-stupore, la fede incredula ( un paradosso ): la fede che non sa capacitarsi di quello che crede, anche se lo crede.
Come è possibile che Dio, sommamente felice nella sua quiete eterna, abbia avuto non solo il desiderio di crearci, ma anche a venire di persona a soffrire in mezzo a noi?
Come è possibile questo?
Ecco questa è la fede incredula, la fede-stupore, che esprime lo stupore della primitiva Chiesa: "Mi ha amato e ha dato se stesso per me!".
"Così Dio ha amato il mondo!".
Ci crediamo davvero che Dio ci ama?
No, noi non ci crediamo veramente, o almeno non ci crediamo abbastanza!
Che se ci credessimo, subito la vita, noi stessi, le cose, gli avvenimenti, tutto si trasfigurerebbe davanti ai nostri occhi.
Oggi noi saremmo con lui in paradiso, perché il paradiso non è che questo: gioire dell'amore di Dio.
Ma noi, come si è detto, non crediamo che veramente Dio ci ama; il mondo ha reso sempre più difficile credere all'amore.
Troppi tradimenti, troppe delusioni … sicché, si va sempre più ingrossando la schiera di coloro che non riescono a credere all'amore di Dio; anzi, in nessun amore …
Sul piano personale c'è poi la tentazione della nostra indegnità che ci fa dire: "Si, questo amore di Dio è bello, ma non è per me!
Come può Dio amare uno come me che l'ha tradito, dimenticato?
Io sono un essere indegno …".
Ma la parola di Dio ci dice: "Qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri, Dio è più grande del nostro cuore" ( 1 Gv 3,20 ).
( cfr. Il potere della croce di R. Cantalamessa )
Usiamo in famiglia più parole belle, più gesti affettuosi, più segni di consolazione e tenerezza, più regali, più attenzione alle difficoltà e alle sofferenze degli altri famigliari e più presenza e partecipazione.
Mi baci con i baci della tua bocca!
Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!
Quanto è soave il tuo amore ( Ct 1,2; Ct 4,1.10 ).
La tenerezza è l'amore che si manifesta al di là delle parole, si manifesta attraverso una carezza, un gesto, uno sguardo, una parola.
La tenerezza è quel sentimento profondo che è scritto in tutti noi, che ci fa sentire di amare e di essere amati.
Il termine tenerezza è così tanto evocativo perché esprime quello che è l'essere più profondo di tutti noi.
Noi siamo esseri di tenerezza perché siamo creati ad immagine e somiglianza di Dio, infinita tenerezza.
A livello coniugale la tenerezza suppone una comunicazione paritaria, matura, orientata a mettere avanti il meglio di sé.
Soprattutto orientata all'accoglienza, al dono, alla condivisione.
La differenza fra la tenerezza e gli altri sentimenti è che negli altri sentimenti io mi domando che cosa tu mi devi dare o mi stai dando, nella tenerezza si rovescia la domanda: che cosa sto facendo io perché tu sia felice?
Vedete sono due modi di porsi la domanda tendenzialmente opposti.
Nel primo caso io cerco l'altro che deve darmi qualcosa di sé.
Se non mi dà qualcosa, se non mi dà quello che io voglio, lo rifiuto, con collera, con tristezza, con ansia.
Nel caso della tenerezza io mi metto in un atteggiamento di dono, di cosa posso fare io perché tu sia felice.
Se tutti due i coniugi si dispongono a questa domanda, se tutti due i coniugi si mettono in questo atteggiamento di tenerezza altruista, di dono, di accoglienza tutti e due sono felici …
Se la coppia, se due sposi imparano l'arte della tenerezza, imparano questo linguaggio carezzevole, se a loro volta sono tenerezza per i figli, ecco che la comunità familiare si edifica come comunità della tenerezza ad immagine della Trinità.
( Mons. Carlo Rocchetta )