Cenacolo N° 49
Il giorno di Pentecoste, Pietro, levatosi in piedi con gli altri undici, tenne al popolo un discorso che si può riassumere in tre parole.
Tre parole che hanno, però, ognuna la forza di un tuono: « Voi avete ucciso Gesù di Nazaret! Dio lo ha risuscitato! Pentitevi! » ( cf At 2,23ss ).
Il mio desiderio è di raccogliere queste tre parole e farle rivivere in mezzo a noi, con la speranza che esse riescano a trafiggerci il cuore, come trafissero il cuore delle persone che le ascoltarono dalla bocca degli apostoli.
Quei tremila, ai quali Pietro rivolse quella terribile accusa, non erano stati certamente tutti sul Calvario a battere i chiodi; forse, non erano stati neppure davanti al pretorio di Pilato a gridare: « Crucifige! ».
Perché allora si dice che avevano « ucciso Gesù »?
Perché appartenevano al popolo che l'aveva ucciso.
Perché non avevano accolto la notizia che Gesù andava recando: « È venuto il regno di Dio: convertitevi e credete al Vangelo! ».
Perché, forse, quando Gesù passava per le strade di Gerusalemme, avevano abbassato la tenda del loro negozietto per non avere noie …
Fin qui, noi rievochiamo queste cose, ma ci sentiamo abbastanza al sicuro.
La cosa - ci sembra - riguarda coloro che vissero in Palestina al tempo di Gesù, non noi.
Siamo come il re David, il giorno che ascoltò, dal profeta Natan, il racconto del grande peccato commesso in città e alla fine gridò, furibondo: « Chi ha fatto questo merita la morte! » ( 2 Sam 12,5 ).
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, ci si è appassionati molto al problema della responsabilità della morte di Cristo, anche a causa della tragedia vissuta dal popolo ebraico.
I libri e le rappresentazioni sul processo di Cristo non si contano.
Grandi conseguenze scaturivano dalla risposta data a quel problema, anche per la partecipazione dei cristiani alle lotte di liberazione in varie parti del mondo.
Il problema della morte di Cristo è diventato un problema essenzialmente storico e, come tale, neutrale.
Ci interessa, cioè, indirettamente, per le conseguenze che se ne possono trarre per l'oggi; non direttamente, come parte in causa.
In ogni caso, non come imputati, ma, semmai, come accusatori.
Alcuni accusano, della morte di Gesù, il potere religioso, cioè gli ebrei del tempo; altri il potere politico, cioè i romani, facendo, così, di Gesù, il martire di una causa di liberazione; altri, infine, accusano gli uni e gli altri insieme.
Si è come a un processo, in cui ognuno ripete, più o meno consciamente, dentro di sé, la frase di Pilato: « Io sono innocente del sangue di costui! » ( Mt 27,24 ).
Ma cosa rispose, quel giorno, il profeta Natan a David?
Rispose, con il dito puntato verso di lui: « Tu sei quell'uomo, o re! ».
La stessa cosa la parola di Dio grida a noi che cerchiamo di sapere chi ha ucciso Gesù: « Tu sei quell'uomo!
Tu hai ucciso Gesù di Nazaret!
Tu eri là quel giorno; tu hai gridato con le folle: "Via, via: crocifiggilo!".
Tu eri con Pietro quando lo rinnegava; eri con Giuda quando lo tradiva; eri con i soldati che lo flagellavano; tu hai aggiunto la tua spina alla sua corona, il tuo sputo al suo volto! ».
Questa certezza appartiene al nucleo più essenziale della nostra fede: « Cristo è stato messo a morte per i nostri peccati » ( Rm 4,25 )
( cfr. Il potere della croce di R. Cantalamessa )
La verità, nei suoi vari aspetti di sincerità, onestà, lealtà, trasparenza, umiltà, concretezza, è un caposaldo dell'amore. senza di essa tutto è illusorio ed effimero, tutto è tradimento e finzione …
La carità non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. ( 1 Cor 13,6 )
L'amore è vero quando crea il bene delle persone e delle comunità, lo crea e lo dona agli altri.
Soltanto chi, nel nome dell'amore, sa essere esigente con se stesso, può anche esigere l'amore dagli altri.
Perché l'amore è esigente.
Lo è in ogni situazione umana; lo è ancor più per chi si apre al Vangelo.
Non è questo che Cristo proclama nel "suo" comandamento?
Bisogna che gli uomini di oggi scoprano questo amore esigente, perché in esso sta il fondamento veramente saldo della famiglia, un fondamento che è capace di "tutto sopportare".
Secondo l'Apostolo, l'amore non è in grado di "sopportare tutto", se cede alle "invidie", se "si vanta", se "si gonfia", se "manca di rispetto".
Il vero amore, insegna San Paolo, è diverso: "Tutto crede, tutto spera, tutto sopporta".
Proprio questo amore "tutto sopporterà".
Agisce in esso la potente forza di Dio stesso, che "è amore".
Vi agisce la potente forza di Cristo, Redentore dell'uomo e Salvatore del mondo.
( Beato Giovanni Paolo Il )
Se voglio amare l'altro, devo stimarlo, accettarlo com'è, e non esigere che sia più di quello che è, né che sia diverso, adatto ai miei gusti.
Se voglio amare l'altro, devo rispettarlo in tutta la sua persona, riconoscergli tutta la sua libertà, desiderare per lui la sua spontaneità.
Se voglio amare l'altro, devo scoprirlo, e saper svelare, anche sotto i difetti, le qualità profonde, i doni e i talenti, la nobiltà dell'anima.
Se voglio amare l'altro, devo cogliere, nella vita quotidiana, nuove ragioni per apprezzare il suo valore, comprendendolo e trattandolo meglio.
Cristo, che ci fai amare, mostraci il cammino dell'autentico amore, dello sguardo positivo che sceglie il bene, e del rispetto profondo del mistero altrui.
( Jean Galot )