Nessuno ci toglierà il Crocifisso
N° 31 - Novembre 2003
Carissimi amici,
quell'anima abbracciata al Crocifisso rappresenta ciascuno di noi che trova la sua salvezza in Gesù, Gesù Crocifisso, l'espressione più alta dell'infinito amore di Dio per ciascuno di noi.
Rifiutare il Crocifisso è rifiutare l'amore di Dio.
In questo numero faremo alcune riflessioni sul fatto che alcuni vogliono togliere il Crocifisso dagli ambienti pubblici, ma soprattutto invitiamo a riflettere su quanto noi cristiani cattolici dobbiamo maggiormente corrispondere all'amore di Gesù che in Croce ha dato tutto se stesso per la nostra salvezza.
Ci risiamo un'altra volta. I primi a voler togliere il Crocifisso dai luoghi pubblici furono quelli della rivoluzione francese.
A Notre-Dame di Parigi, al suo posto, misero una ballerina che chiamarono "la dea ragione".
I frutti si videro subito: non la fraternità promessa, ma le stragi del "terrore" e il genocidio della Vandea, con migliaia di morti ammazzati, le guerre e le razzie di Napoleone in Europa.
Ci provarono "alla grande" i comunisti di Lenin, Stalin e compagni in Unione Sovietica dal 1917 in poi, e i loro soci in Spagna, in Messico, nei paesi dell'Est europeo, a cacciar via Gesù da ogni dove.
I risultati: milioni di uccisi, intere società distrutte.
Tolto il Cristo, si fa una cosa sola: si ammazza l'uomo.
Il martirologio della Chiesa Cattolica ha pagine gloriose di eroismo, di santità, di vite, anche di giovanissime vite, immolate per Lui, Gesù, il più amato, il più seguito, il Tesoro, il vero unico Tesoro dell'umanità.
Un esempio: nel dicembre 1920, il congresso dei socialisti di Novara deliberò di abolire il Crocifisso dalle scuole dei comuni da loro amministrati.
Il Vescovo di Novara, Mons. Giuseppe Gamba ( in seguito Cardinale Arcivescovo di Torino ) mobilitò i suoi preti, i giovani, i credenti della sua diocesi, del Piemonte e della Lombardia, i quali scesero in piazza a gridare che il Crocifisso non si tocca.
E nessuno lo toccò.
Ogni tanto il pessimo discorso di togliere il Crocifisso ritorna come se il farlo fosse una conquista civile.
Negli anni '80, meno di vent'anni fa, quando qualcuno aveva di nuovo la voglia di farlo, nella scuola dove insegnava lo scrivente, un allievo mi domandò: "Se lo tolgono, lei che cosa fa?".
Risposi: "Mi metterò un grande Crocifisso al collo e verrò ogni giorno a scuola così".
Se mi togli Gesù, mi strappi il cuore: è meglio morire, piuttosto che stare senza di Lui.
Oggi, 2003, c'è di nuovo qualcuno che vuole buttarlo fuori.
Certo i musulmani non lo vogliono, ma anche molti che "escono da noi, ma non sono dei nostri" ( Gv 2,19 ).
Si può rispondere loro in molti modi, appellandoci innanzi tutti alla fede, alla storia, all'identità culturale, al rispetto dell'uomo.
Ma di queste ragioni, una sola ne voglio dire.
È il più brutto affare che ci sia buttare fuori Gesù Cristo.
Vedete: Giuda Iscariota lo vendette per 30 denari e poi… andò a impiccarsi.
Quando Gesù fu fatto fuori, si fece buio su tutta la terra.
Così si fa buio, un buio tremendo, il buio dell'abisso più profondo e più nero, quando si toglie Lui dalle anime e dalla società.
Tutto crolla senza di Lui, e non rimane più pietra su pietra.
Tolto Gesù Cristo, è la fine di tutto: non è più neppure possibile essere uomini, perché la luce e la grazia di essere uomini veri, in pace con Dio e con gli altri, viene soltanto da Lui, dal suo sacrificio.
Basta guardarci attorno per renderci conto che è così.
"C'è solo una soluzione al problema dell'esistenza – scrisse J.K.Huysmans – o la Croce di Cristo o la corda di Giuda".
Dunque, è meglio che compiamo la profezia dell'antico profeta Zaccaria: "Volgeranno lo sguardo a Colui che è stato trafitto" ( Zc 12,10; Gv 19,37 ), e che, anzi, lo preghiamo: Resta con noi, Gesù, perché senza di Te si fa sera e nessuna lampada potrà mai sostituirti.
Paolo Risso
La sofferenza fortifica e sviluppa la potenza della volontà per il bene e, sotto la Croce umilmente accettata e coraggiosamente portata, l'anima si fa più libera, più valorosa, più agguerrita, più santamente ardente.
Dio compie l'opera sua nella sofferenza: opera d'amore.
È sovente verso il termine di una vita, quando l'anima si è esercitata a lungo nell'azione che Dio viene a perfezionare l'opera, a cesellare e finire l'abbozzo e dare con la croce le ultime finiture, le ultime purificazioni sulla terra, ultima preparazione prima di chiamarla dinanzi a Lui.
Se la Croce, cristianamente portata, fortifica e santifica la volontà ed eleva l'anima verso Dio, essa è molto più efficace quando raggiungendo il cuore lo umilia e lo dona a Dio.
Di fronte alla Croce, lo spirito si sottomette, la volontà si rassegna, il cuore, a sua volta, si tranquillizza e si arrende.
La sofferenza che raggiunge il cuore lo inclina verso Dio, apre nuove vie all'amore, all'abbandono, alla confidenza, e nello stesso tempo porta alla carità verso il prossimo, alla comprensione delle sue pene e delle sue sofferenze, alla vera bontà dando a tutte le virtù una nuova forza, una maggior perfezione, quel compimento che l'aver sofferto aggiunge alla virtù.
La profonda nobiltà di certi caratteri, la dignità, la magnanimità, la serenità che sì sovente si ammira nei santi, non sono altro che l'opera intima della sofferenza e della Croce "Nulla condensa tanto la vita quanto la sofferenza; nulla accelera quanto essa il lavoro dell'esperienza e nulla arricchisce la nostra natura e le nostre facoltà di accrescimenti più splendidi.
È l'afflizione che fa i santi" ( Padre Faber: "ai piedi della Croce" ).
L'amore reso ordinariamente a chi è nel dolore, non è semplice compassione, ma è una specie di rispetto istintivo ispirato da colui che è nella prova; egli sembra attualmente toccato dalla stessa mano di Dio.
Ogni virtù ogni santità religiosa si riduce a seguire Nostro Signore, a seguirlo più da vicino possibile.
"Se qualcuno vuol seguirmi rinneghi se stesso, prenda dì per dì la sua croce e mi segua" ( Lc. 9,23 ).
Gesù Crocifisso è il libro della vita; prendiamolo ogni giorno e meditiamolo, ci insegnerà ogni verità.
La passione di N.S. Gesù Cristo è come l'irradiazione suprema del suo amore.
Si dà a noi completamente.
"Nessuno ha carità più grande che quella di colui che dà la vita per i suoi amici" ( Gv 15,13 ).
Si lamenta che l'abbiamo lasciato solo e domanda il nostro amore.
"I miei amici e i miei parenti si sono allontanati. Ho aspettato che qualcuno prendesse parte ai miei dolori e non l'ho trovato" ( Sal 68 ).
È con la Croce generosamente portata che il nostro amore salirà verso Gesù, che noi penetreremo nell'intimo del suo Cuore.
"Chi non ha sofferto per Nostro Signore e con Nostro Signore non può essere sicuro di amarlo" ( Mons. Gay: Dolore cristiano ).
"Il mio vivere è Cristo, e il morire un guadagno" ( Fil 1,21 ).
La sofferenza ha le sue ascensioni come l'amore: sofferenza del corpo, agonia del cuore, desolazione dell'anima.
Quando l'avversità ci prova, essa rischiara l'anima nostra con una luce superiore, ci distacca da questa terra e ci eccita a cercare una dimora più elevata in cielo.
Essa ci toglie ogni desiderio che non abbia per fine Gesù e Gesù Crocifisso la cui grazia ci attacca in quel tempo alla Croce per farci poi risuscitare con Lui.
"Do nella carne mia compimento a quello che rimane dei patimenti di Cristo" ( Col 1,24 )
Quello che rimane, cioè la continuazione attraverso i secoli dei patimenti, dei membri del suo corpo mistico e specialmente di quelli chiamati a dedicarsi alla sua causa.
"Quest'uomo è uno strumento eletto da me. Io gli farò vedere quanto debba egli patire per il nome mio" ( At 9,16 ).
La vita della Chiesa si appoggia sopra il sacrificio storico di Nostro Signore e sul sacrificio mistico continuato dai suoi membri: Messa e martiri.
È per questo doppio sacrificio che le anime sono salvate, conquistate a Dio.
Così la persecuzione favorisce e feconda l'opera divina della Chiesa.
"L'odio di Satana e più ancora l'amor di Dio s'incontrano" ( Mons. Gay ) per fortificare la Chiesa e moltiplicare i santi.
Non c'è dubbio, l'apostolato è necessario e lo sarà fino alla fine, la preghiera è indispensabile e può molto, ma l'uno e l'altra saranno tanto più efficaci quanto più sacrificio vi si aggiungerà.
Il sacrificio, l'olocausto totale e vivo di se stesso nella sofferenza della croce unito al sacrificio redentore tocca il cuore di Dio, attira le sue benedizioni, allontana gli effetti della sua giustizia, attira dal suo Amore grazie abbondanti di misericordia e di salvezza.
Per commemorare i venticinque anni del pontificato di Giovanni Paolo II, il noto quotidiano la "La Repubblica", ha pubblicato un articolo dal titolo illuminante: "Wojtyla, un mistico tra gli indifferenti".
Il fatto che questa felicissima definizione provenga da un ambiente esterno, se non ostile, alla spiritualità cattolica, depone a favore della sua "oggettività".
Se fosse stata una rivista di teologia spirituale a riportare questo titolo, nessuno ci avrebbe fatto caso.
Al contrario, siamo in presenza di un giornale "laicista" che, focalizzando l'attenzione sui termini "misticismo" e "indifferenza", li presenta come fattori di antitesi - l'acqua della vita nuova e il deserto del mondo - denotando un'acutezza di giudizio davvero sorprendente.
Più volte Fratel Teodoreto si è scagliato contro il morbo dell'indifferentismo ( da non confondere con l'indifferenza ignaziana, intesa come distacco dalla mondanità ) che annichilisce le nuove generazioni.
Evidentemente il discorso è ancora attuale.
Dare del "mistico" ad uno dei Papi più indaffarati ed attivi che la Storia ricordi, sulle prime sembrerebbe ( perfino a molti sedicenti cattolici ) una grave incongruenza; eppure, chi ha intuito il "fuoco" che arde nello sguardo stanco ma tenace di Giovanni Paolo II, non fatica a comprendere come questa intraprendenza "missionaria", esplosa su scala planetaria fin dall'insediamento sulla cattedra di Pietro ( 1978 ), Sarebbe stata impossibile senza l'ardore mistico che consuma il cuore di Wojtyla giorno e notte.
Altro che "anima bella" tutta sospiri e niente azione.
Il vero mistico, come un innamorato, è pronto a tutto pur di rendere felice la persona amata.
È da qui che nasce lo spirito indomito dei grandi missionari: la totale dedizione.
Ovunque sia andato, Giovanni Paolo II ha offerto ai disperati una speranza indistruttibile: il Vangelo, la lieta novella.
Il suo annuncio ha suscitato la violenta reazione del Leviatano totalitario ( in Giovanni Paolo II l'anticomunismo nasce dall'aver vissuto per anni in un Paese satellite del "paradiso socialista" sovietico ) portandolo ad un passo dal martirio violento.
Ciò nonostante, grazie anche al suo apporto decisivo, la Croce ha sconfitto l'ideologia atea. Voltaire, Nietzsche, Marx, Freud con le loro ardite elucubrazioni ( illuminismo, nichilismo, materialismo storico-dialettico, psicanalisi ), hanno conquistato milioni di studenti; ma quando, terminata la lettura, si profilano all'orizzonte della vita vissuta le tenebre della disperazione, non c'è filosofo o psicanalista che tenga: "solo Cristo salva".
Egli solo lenisce le ferite dell'anima, donando la forza di resistere alle lusinghe del male.
È un discorso applicabile alle persone, ma anche alle grandi collettività.
Quando il Papa esorta alla conversione le nazioni "moralmente malate" - cfr. i suoi interventi sulla Colombia - non lancia giudizi avventati. Egli si limita a riscontrare un'assenza di vita che priva le anime di ogni spinta all'autentico rinnovamento.
In effetti, ogni volta che, in nome di un malinteso progresso, i popoli del Terzo Mondo hanno trascurato la fede ( pensiamo all'Etiopia di Menghistu ), essi non sono affatto progrediti, anzi, il più delle volte sono piombati nella miseria più nera.
Non è dunque la fede a tarpare le ali dello sviluppo e della civiltà, come tante, troppe volte, hanno affermato i Soloni dell'età moderna.
Dipingere la Chiesa cattolica e l'opera d'apostolato che da 2000 anni essa conduce, come "oscurantista" e "nemica" del progresso è un insostenibile luogo comune, che il carisma del regnante Pontefice, viaggio dopo viaggio, ha smascherato in maniera radicale; ma questa grande impresa non si è ridotta ad un'operazione d'immagine, come talvolta sembra di capire leggendo i commenti dei cosiddetti mass-mediologi, interessati solo al "Papa-comunicatore".
Lasciamo pure che il rutilante mondo dello spettacolo continui a vendere "immagini" e "suoni" fittizi.
Il Papa offre molto di più: l'amore di Gesù Cristo.
C'è una bella differenza! Anche l'articolo apparso su "La Repubblica" individua nell'intimità con Dio la qualità superiore che caratterizza la dimensione mediatica di Giovanni Paolo II:
"Nella stagione dell'indifferenza il Papa ha mostrato che la fede è qualcosa di vivo, che interpella l'esistenza, e non un residuo del passato.
Anche da chi non è praticante o segue altre fedi Karol Wojtyla è percepito come "uomo di Dio".
Per questo ha potuto lanciarsi in imprese con cui nessun pontefice romano si era mai misurato. …
La sua credibilità ha una radice precisa. Il misticismo e l'intensa preghiera.
Chi lo ha visto pregare da vicino non dimenticherà mai il suo trasfigurarsi nella ricerca intima del suo Dio."
Alla luce di queste testimonianze "insospettabili" - che del resto, non possono non rammentare l'intensità di preghiera propria di Fr. Teodoreto - sospendiamo ogni ulteriore considerazione, lasciando la parola all'incontestabile evidenza dei fatti: Giovanni Paolo II non avrebbe potuto fare nulla senza il contatto vivificante e quotidiano con la Croce di Cristo.
Stefano Pizzio
( Riferimento a: La Repubblica, 12.10.2003, " Wojtyla, un mistico tra gli indifferenti", a cura di M. Politi. )
Combattiamo continuamente da veri soldati di Dio, conservando il cuor puro, virtuoso; rigettiamo con prontezza ogni mollezza che non sia d'impaccio a correre velocemente nella via del bene.
Gesù Crocifisso nella sua infinita misericordia ci veste dell'immortal gloria e ci dona la felicità eterna nel regno beato per i meriti suoi santissimi.
Degnati concedere, mio Dio Crocifisso, che io prostrandomi ai tuoi piedi e adorando le Tue piaghe sacratissime sia senza macchia di peccato, e percorra una vita spesa tutta per te, mio Signore; e per la tua misericordia infinita rendimi perfettamente mondo nell'ultima ora di mia vita e ricevimi nella celeste beatitudine per i meriti della tua passione!
Signor mio Dio, Tu sei il balsamo soave delle nostre sofferenze, sei la pace nostra, l'esempio eterno delle più belle virtù: dammi grazia, mio Crocifisso Gesù, di prostrarmi ogni giorno ai piedi della Croce!
Più che mai il giorno di venerdì a te consacro i miei pensieri e adoro il mio bene, il mio Redentore santissimo che ci ha fatto salvi.
Prostrato ai piedi di Gesù Crocifisso, imploro la bella grazia di morire in me per andare ad abitare nel sacro Costato del mio Signore: trasformami, mio Dio, dammi un amore imfiammato sempre nuovo da consumarmi ognor di più!
Tu sei luce celeste, scintilla divina; un tuo guardo amorevole a questo povero peccatore lo può santificare!
L'amor di Dio ci dà vita soave e salute: la più grande sventura è che l'uomo si ingolfi nelle ricchezze e per i motivi della vita umana, sebbene di poca durata, dimentichi una ricchezza eterna, che è Nostro Signore Gesù Cristo Crocifisso: nulla vale che costoro siano pure i più ricchi del mondo, o, anche di più, i più dotti di questa terra, se non hanno l'amore di Gesù!
[ Fra Leopoldo, 10 dicembre 1910, Diario III, n.1251,9-13 ]
L'adorazione delle Sante Piaghe, seguendo l'esempio di Fra Leopoldo, è per ciascuno di noi "un tempo forte" della giornata.
Alcuni usano una formula di preghiera vocale, altri una meditazione più personale centrata su riferimenti biblici; altri ancora, avvicinandosi di più a Fra Leopoldo, si abbandonano alla presenza dello Spirito di Gesù, lasciandolo pregare liberamente: egli "viene in aiuto alla nostra debolezza … intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili … secondo i disegni di Dio" ( Rm 8,26-27 ).
Allora si può anche restare in preghiera - come Fra Leopoldo - per ore intere, con sentimenti di adorazione, di fede, d'amore, d'intercessione.
"Da anni importunavo la bontà del Signore a volermi concedere lo spirito di preghiera, affinché per tutto il tempo della mia vita, giorno e notte, la mia preghiera non fosse interrotta o vocale o mentale, per dare gloria al Signore, bontà divina; ed oggi … Gesù disse: "Tu avrai la chiave della preghiera … Io voglio sempre sfare con tè … Tu sei vero figlio del mio Cuore e da questo Cuore non partirai più in eterno … Sopra il mio cuore voglio che tu riposi"" ( Fra Leopoldo, diario, 11 febbraio 1911 ).
Bisogna pregare con perseveranza, finché svaniranno i nostri dubbi alla luce folgorante della fede, che ci fa comprendere la grazia di Dio per appropriarcene con riconoscenza.
"Figlio mio, cammina sempre cosi, sempre in preghiera; sebbene tè l'abita fatto segnare antecedentemente e tu non gli abbia dato quel valore che meritava, ora ti ripeto ancora: va' avanti sempre m preghiera! L'unica mia consolazione sei tu sopra la terra, e in questo modo saremo cosi intimi come tè lo promisi armi fa … " ( Fra Leopoldo, 12 febbraio 1911 ).
Che cosa abbiamo già fatto per far conoscere le sorgenti della salvezza?
Un giorno Dio ce ne chiederà conto.
Noi siamo salvati per glorificare Dio servendolo.
Apriamo attraverso il mondo una via illuminata di santificazione e di apostolato, quella delle Piaghe del Signore; "rimaniamo saldi e irremovibili, prodigandoci sempre nell'opera del Signore ) ( 1 Cor 15,58 ).
"Dal Cuor mio trafitto avrai l'impronta mia nello spinto: molto coopererai" ( Fra Leopoldo, diario, 15 marzo 1911 ).
Le Piaghe Sanguinanti e Trionfanti sono la via sempre aperta attraverso la quale abbiamo libero accesso alla presenza di Dio; ma esiguo è il numero di coloro che si avvicinano ed entrano per questa porta stretta, e sperimentano la vita nel luogo santissimo, al di là del velo: "Avendo dunque, fratelli, piena fiducia di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, per questa via nuova e vivente che egli ha aperto per noi attraverso il velo, cioè attraverso la sua carne,_ … accostiamoci … in pienezza di fede … " ( Eb 10,19-22 ).
Fr. Anastasio