Intervista a Fr. Egidio  

Sono stato fortunato: infanzia serena, vita realizzata

1. Sono nato in un paese lambito dalle acque del lago di Garda.

La mia famiglia era patriarcale.

A mezzogiorno, a pranzo, stando alla testimonianza delle mie zie ancora in vita: Teresa di anni 96, Angela di 93 e Gina di 90, eravamo normalmente a tavola in 23, anche gli operai mangiavano con noi.

L'azienda gestita da mio papà era un mulino ad acqua in fase di trasformazione.

La nonna, con i suoi 8 figli, era l'autorità morale.

L'accoglienza era sacra.

Il suo motto quando arrivava un povero a pranzo o a cena era: "La carità copre la moltitudine dei peccati".

Nessuno contestava questa sua affermazione ed era il "lasciapassare" per aiutare chi si trovava in difficoltà.

Io avevo l'incarico di portare, durante l'inverno, ai poveri uno scaldino con la brace perché potessero scaldarsi, delle calze, dei fazzoletti.

Insieme mangiavamo con molta naturalezza.

Il gusto del "Sacro" era insito in me fino dalle classi elementari: alzarmi presto la mattina per servire la Messa mi dava gioia, raccontare ai più piccoli i miracoli di Gesù del Vangelo ( fare catechismo a 8 anni ), organizzare la partita di calcio con i compagni di 4 e 5 elementare mi rendeva felice, soprattutto quando mio zio portava tutti a fare un giro in barca finita la partita.

Fin da piccolo captavo la sincera fede delle persone che mi circondavano.

Ricordo la catechista Bruna che in bicicletta, tutte le mattine, percorreva chilometri per venire a Messa e poi andava a trovare i malati del paese.

Quattro sacerdoti di indole differenti mi presentarono la santità vissuta in maniera diversa:

Don Giovanni Calabria ( ora Santo ) quando arrivava in oratorio lo circondavamo con venerazione e io vedevo in lui un papà buono.

Don Luigi il parroco, tutti i giorni andava in bicicletta a trovare i malati all'ospedale e portava notizie ai familiari,

Don Giuseppe che aiutava me e i miei amici nel doposcuola

Don Piero, ormai anziano, che recitava il rosario lungo la strada con sernplicità.

Aveva venduto tutte le sue proprietà per costruire una casa per gli anziani.

Nella mia adolescenza ebbi un incontro fortuito con un Fratello delle Scuole Cristiane, venuto al paese, invitato dal Parroco, a parlare ai giovani per la festa di San Luigi Gonzaga ( patrono dei giovani ).

Il dialogo si trasformò in un invito rivolto a me e a due miei amici ( attualmente Fr. Luigi e Fr. Celestino ) a seguirlo per continuare gli studi e fare esperienza di gruppo.

Conoscendo la vita di questi religiosi educatori dei giovani, io e i miei due amici accettammo volentieri di entrare a far parte della loro "famiglia religiosa" denominata "Fratelli delle Scuole Cristiane".

A vent'anni iniziammo l'attività educativa come maestri.

Io fui inviato a Piacenza nel 1958.

Mi fu affidata una classe di 1° elementare e l'incarico di servire i Poveri ( 25 famiglie con molti figli provenienti dal meridione ).

Ciò che era "scartato" veniva "privilegiato".

Da allora la mia esperienza come educatore a scuola e l'incarico dei poveri, con i miei allievi diventati giovani generosi si ampliò con altre attività educative e ricreative.

Fui inviato, nel 1969, a Massa Carrara dove i Fratelli erano molto stimati e amati dalla popolazione e dal clero.

Con i giovani della scuola e dell'oratorio istituimmo il "Natale del Povero" preparando i pacchi per i bisognosi della città.

Nel 1976 fui trasferito a Torino con i giovani generosi di conoscere noi fratelli educatori.

Anche con loro la partecipazione domenicale alla Santa Messa e il servizio a tavola ai Poveri fu una terapia positiva.

Dopo l'esperienza del Noviziato con i giovani in formazione, la mia vita continuò sempre nel mondo giovanile, presso le nostre scuole, creando e visitando periodicamente i gruppi del Vangelo che si radunavano ogni settimana nei vari istituti.

L'annuncio di Gesù e il servizio ai poveri erano presentati in simbiosi.

La bellezza di vivere in gruppo e fare il bene arricchì il Centro Andrea di tanti volontari e volontarie e favorì tante amicizie dove scaturirono nuove famiglie coronate dall'amore dei loro figli.

2. Cosa rappresenta per lei l'Opera Messa del Povero?

L'Opera Messa del Povero diventa, per me, una seconda famiglia dove i difetti mi aiutano a crescere dialogando e perdonando, ricordandomi che siamo "uniti" per amare e servire i Poveri.

L'esempio del donare lascia nel cuore, a me e a tutti gli amici che hanno prestato servizio alla Messa del Povero, l'insegnamento ricevuto da Eugenia Verna "Chi dà la vita la trova, chi non la dà muore, mangia se stesso".

3. Di cosa ha bisogno la Messa del Povero per essere sempre più luogo di carità e aiuto per i bisognosi?

Necessita di maggior spirito di appartenenza da parte dei Volontari e Volontarie ( fare famiglia ) per garantire la continuità dell'Opera approfondendo lo Spirito delle Origini: fatto di Fede e di Servizio attraverso la Parola di Dio.

4. Cosa si sente da dire ai tanti volontari che nella storia hanno sostenuto l'associazione?

Al grazie sentito per la dedizione prodigata negli anni e nei servizi più diversificati e meno visibili.