Due parabole gemelle: la pecora e la moneta ritrovata
Come sempre la fine rende ragione del percorso compiuto: se la fine è lieta vuol dire che il percorso è stato utile, qualunque esso sia stato.
L'esistenza di ogni uomo e di ogni donna sta proprio nel destino finale che l'accompagna come un'ombra luminosa, protesa ad illuminare il presente e il passato, la nascita e la morte, l'amore e la speranza.
La nostra vita canta un ritornello che percorre le righe delle due parabole, l'una accanto all'altra, inseparabili: un "chi tra voi" e "quale donna".
Come l'alternarsi continuo del "perdere" e poi "cercare" e poi "ritrovare" e infine "gioire".
Ed è la fine nella gioia che raccoglie e trasfigura tutto il percorso di un'intera vita.
Perché chiunque, passando attraverso gli ostacoli di questa nostra civiltà – non tra le migliori della storia, forse la più evoluta, non certo la migliore – alla fine perde qualcosa: perde la verginità, perde i suoi guadagni in borsa, perde l'elasticità dei muscoli, perde la lucentezza delle scelte morali.
Tutti abbiamo perduto qualcosa lungo la strada.
Ti volti indietro e ripensi agli amici che hai dovuto perdere di vista.
Ripensi a quanti ne avevi – forse anche più di novantanove – ed ora sono rarefatti come l'aria d'alta quota, nei tuoi settanta e più anni ormai.
Hai perso molto perché ormai tutti ti considerano un "anziano" degno di rispetto, ma incapace di progettare futuri prossimi o lontani nei quali non sai più se ci sarai ancora.
E se Gesù sedeva a tavola ( Lc 15,1-2 ) con chi era perduto – pubblicani e peccatori – sedeva anche con farisei e scribi, persi anche loro dietro a quisquiglie legali e canovacci di storie mal raccontate per placare la fuga dalla religione di masse intere, preoccupate di sopravvivere più che di vivere bene.
In qualche modo Egli rappresenta il valore di ciò che abbiamo perduto, di tutti coloro che si sono perduti: hanno valore perché sono tuoi – i ricordi, gli amici, le occasioni – ed hanno valore perché sono "perduti" e per tornare in vita hanno bisogno di essere ritrovati.
Chiunque è perduto ha bisogno di qualcuno che lo ritrovi per emergere dal passato, dalle tenebre di una lontananza forse neanche voluta.
É accaduto che tu ti sia perso: magari è anche colpa tua, ma comunque rimane il fatto che ti sei perso e certo l'unico che può venire a cercarti è quell'uomo o quella donna, così attenti non a ciò che hanno – ed è molto – ma proprio a quell'unico che si è perduto.
Quale uomo o quale donna?
Gesù ci insegna che solo Dio può essere così attento a mettersi in cerca, ricordando il passato, di ciò che ha più bisogno di essere ritrovato: colpa sua o no, non importa.
Dio cerca il perduto perché ama tutto ciò che esiste e tutto ciò che esiste lontano dal presente ha bisogno di essere aiutato per ritornare nel presente e continuare a vivere.
E così, sia l'uomo che ha cento pecore sia la donna che ha dieci monete, si mettono a cercare.
Se perdere qualcosa o qualcuno è naturale nel corso dell'esistenza, è altrettanto naturale cercare.
Chi non cerca, è morto.
Chi non ha più nulla o nessuno a cui telefonare, da cui andare, con cui abbracciarsi vuol dire che s'è inaridito e sta per uscire definitivamente dalla scena del mondo.
Affinché Dio lo ricuperi alla vita donata da Lui, al sicuro nella comunione con lui, come le 99 pecore lasciate nel deserto o le monete lasciate nel cassetto.
Esse saranno là e di là non si muoveranno più.
Sono al sicuro nelle mani di quell'uomo e di quella donna, rispettivamente il lato maschile e il lato femminile di Dio, padre e madre, sposo e sposa, fratello e sorella.
L'uomo fatto ad immagine di Dio nella sua versione maschile o nella sua versione femminile, anche lui o lei hanno la vocazione di cercare.
Cercano la felicità perduta: quanta nostalgia quando pensiamo alla nostra infanzia o giovinezza quando abbiamo fatto miriadi di esperienze che ora non potremmo più fare!
Cercano le persone: sono sfilate per un attimo accanto a noi, tenendoci compagnia, vivendo momenti magici con noi, facendo vibrare le nostre emozioni più intense.
Poi le abbiamo perse di vista per un trasloco dovuto, per un abbandono consapevole, per un allontanamento forzato.
Cercano le belle epoche passate in compagnia delle persone e della felicità vissuta: le cercano perché le hanno amate.
E il cuore di un uomo e di una donna hanno bisogno di amore: le cercano per riempirsi d'amore, come Dio cerca il perduto perché non può privarsi di lui.
Sarebbe pur sempre una privazione d'amore.
Dio ha bisogno di amare perché è amore.
L'uomo e la donna hanno bisogno d'amare perché assomigliano a Dio.
Cercano nella vita, continuano a cercare non per nostalgia, ma per amore.
Perché hanno bisogno di quell'amore rappresentato da quella pecora e quella moneta che non ci sono più.
Una privazione di amore mette in moto la ricerca e la nostra ricerca non può finire mai, se non quando non potremo più muovere alcun passo né alcuna mano.
Quando in altre parole perderemo anche il tempo e lo spazio della ricerca.
Chi non cerca è perduto per sempre.
E così ci accade qualche volta di ritrovare: ritrovare non proprio esattamente ciò che avevamo perduto.
In tal senso si mostra il limite di ogni parabola che in fondo è una similitudine e ogni similitudine assomiglia solo un po' alla vita reale.
Per l'altro po' non ci assomiglia.
Non troverai mai ciò che hai perduto, proprio allo stesso modo.
Troverai qualcosa di più grande.
Forse per questo il finale sarà così esagerato.
Trovi sempre qualcosa di più grande.
O di più proporzionato alle tue necessità attuali perché dopo essere passato per molte esperienze che ti hanno riempito il cuore e le giornate ora hai bisogno di qualcosa che riempia il tuo spazio d'amore, allargatosi a mano a mano che passavano le esperienze e dilatavano il tuo sguardo in una visione panoramica sempre più ampia ed esigente.
Dicono che se la gente aspettasse a sposarsi a cinquant'anni non si sposerebbe più perché sarebbe troppo esigente e non così ingenuo come a 25-30.
Forse è vero.
Importante è aver acquisito un po' di tolleranza: perché l'esperienze d'amore ti hanno allargato il cuore e l'hanno reso aperto ad accogliere qualcosa di più grande, ma l'hanno anche rafforzato perché tu possa viverlo più in profondità e in pienezza.
É certo che per ritrovare qualcuno devi fare il primo passo: andare per colline e dirupi aguzzando lo sguardo per scorgere quel batuffolo di lana impigliato in chissà quali cespugli; o cercare una scopa, accendere la luce, spazzare la casa.
Con insistenza "finché non la trova".
Secondo me, bisogna avere costanza, mai arrendersi nelle convinzioni per cui vale la pena lottare e nelle ricerche di ciò che vale veramente e ci può aiutare a vivere meglio.
Troppa gente si ferma subito, al primo bagliore e si lascia illudere.
Sembrava una moneta luccicante, invece era un pezzo di latta.
Sembrava una pecora impigliata nel cespuglio, invece era lanugine portata dal vento, priva di consistenza.
Che cosa ha ritrovato?
Fantasmi inafferrabili o forme carnose, morbide e maneggevoli?
Sogni e illusioni o miraggi fantasiosi e irreali?
Droghe che ti offuscano la coscienza e stordimenti che durano una fine settimana?
Se fai tutta questa fatica per ritrovare, cercando, vale la pena che non ti fermi al primo luccicare né al primo belato.
Vale la pena ritrovare ciò che veramente conta per te.
Dio infatti non aspetta che il peccatore faccia lunghi digiuni e penitenze: egli parte e fa i primi passi, accende la sua luce e cerca con cura e pazienza per tutta la casa.
Perché noi contiamo veramente tanto per Lui, uomo o donna che sia, ma pur sempre un Dio che ci ama smisuratamente, tanto da sedersi a tavola con noi, peccatori o farisei che siamo.
E tutta la storia della nostra vita si conclude nella gioia smisurata, irragionevole: in fondo, il pastore aveva altre 99 pecore.
In fondo, la donna aveva altre 9 monete.
Ricco il pastore con le sue pecore, di meno la donna con le sue monete da una giornata di lavoro ciascuna.
Ma comunque tutte e due irragionevoli: invece di portare anche la pecora ritrovata al sicuro con le altre, invece di riporre la moneta nel cassetto con le altre, "chiamano gli amici e i vicini e dicono loro: - Rallegratevi con me perché ho trovato la mia pecora o la mia moneta che era perduta".
E il ritornello si ripeterà per quattro volte sconfinando nella grande parabola che raccoglie i sensi delle prime due raccontate brevemente in fotocopia.
"Presto, mangiamo e facciamo festa perché questo mio figlio era perduto ed è stato ritrovato" ( Lc 15,23-24 ).
"Bisognava far festa e rallegrarsi perché questo tuo fratello era perduto ed è stato ritrovato" ( Lc 15,32 ).
Adesso ho capito perché Gesù introduce la grande parabola con queste due piccoline e parallele, con abili sfumature diverse.
Per aprirci allo stupore della gioia del ritrovamento.
É questo che conta.
La certezza che il ritrovamento avviene, avverrà e troverai tutto ciò che hai perduto.
La ricerca è durata tutta la vita e ti è costata fatica, ma alla fine la gioia sarà persino sproporzionata talmente sarà grande il ritrovamento.
Troverai molto di più di quello che hai cercato: molto di più perché a poco a poco passando il tempo ciò che avevi perduto ti aumentava la nostalgia addosso e tu lo idealizzavi e ti sembrava ancora più grande del valore effettivo che esso aveva.
Le persone, i gesti d'amore, le belle esperienze, il lavoro fatto con premura, tutto a distanza ti sembra più bello e più grande e invece ciò che hai adesso sempre un po' inadeguato, anche se non è vero perché invece è più ricco e maturo di ciò che avevi perduto di vista.
Ma comunque ecco, la gioia sarà proporzionata alla fatica della ricerca e alla preziosità dei tuoi ricordi perduti e della maturità raggiunta.
Perché l'amore non ha misura, non conosce l'impassibilità, la freddezza, il galateo.
L'amore è quello che è e si manifesta in maniera sproporzionata.
Soprattutto quando è l'amore di un Dio che siede a tavola con i peccatori e anche con i farisei e gli scribi, senza distinzione.
Lasciali mormorare. Lasciali fare.
Tu mangia e gioisci.
Perché la storia della tua vita sta tutta nel perdere – cercare – ritrovare e gioire infine perché Dio, il Padre, raccoglierà sulle sue spalle o nelle sue mani tutto ciò che tu hai disseminato lungo il cammino, anche se ti pareva di averlo perso.
E tutto ciò ti darà una gioia immensa, in commisurabile, irrazionale.
Perché la gioia che Dio, il Padre, ti può dare non è razionalizzabile.
La capisce solo chi ama e conosce la gioia di un abbraccio, dopo un lungo distacco.
La gioia di ritrovarsi dopo essersi perduti.
O la gioia semplicemente di aver finalmente trovato ciò che per tutta la vita hai cercato per diverse strade e in mille modi diversi e non avevi ancora trovato.
L'amore, cioè Dio, il Padre e le sue braccia protese in Gesù fino a te o il suo sguardo brillante sorridente dal volto della persona che ami, finalmente.
Andrea Fontana