Il metro della santità agli occhi di Dio

Sappiamo che la santità, agli occhi di Dio, ha un solo nome 'CARITA': ossia fa 'concreto' il nostro rapporto con chi ci è vicino o, se vogliamo, con il mondo in cui viviamo e che ci è stato affidato.

C'è una realtà che mette in discussione la nostra bontà ed è il metro dei nostri rapporti con il prossimo, a cominciare dagli ultimi.

Non si parla di qualche persona che ha bisogno di noi, ma interi popoli, che vivono ai margini a volte della sopravvivenza, come in alcune nazioni dell'Africa, ma, naturalmente, senza dimenticare anche i più deboli nelle nostre comunità.

Il mondo fonda la stima sugli uomini in base a quello che hanno e non su quello che sono.

Agli occhi di Dio invece conta la carità e non il possesso delle cose.

La carità verso il prossimo lascia il suo segno nella storia della vita vissuta all'ombra della carità, così come lascia un segno negativo agli occhi di Dio, se vissuta sull'egoismo.

Quando ero ragazzo, figlio di una famiglia numerosa, era un dono prezioso anche un pezzo di pane, senza tanti contorni.

Si viveva tra la vita e la sopravvivenza.

Ma quello che ricordo con ammirazione, era la immediatezza di mamma nel soccorrere chi era più povero di noi, a volte togliendo a noi il necessario.

Sembrava che la carità superasse i limiti del bisogno.

Nonostante la povertà, nella famiglia, la vera regina era la carità.

Spesso, leggendo le condizioni di sopravvivenza di tante persone in alcune nazioni dell'Africa, come la Somalia, mi viene lo scrupolo per come noi siamo nell'abbondanza: un benessere difficilmente condiviso.

E mi chiedo: ' La mia tranquillità, se non condivisa con chi non l'ha, non sarà domani condannata da Cristo?'.

La sorte di ogni uomo ci appartiene.

Quando Gesù ci giudicherà, non ci chiederà ( e sembra strano agli occhi di tanti ) quanto tempo abbiamo impiegato nella preghiera o in altro, ma ci chiederà che cura abbiamo avuto della sorte dei nostri fratelli, ovunque fossero.

Così afferma l'evangelista Matteo: "Poi dirà ai malvagi: 'Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno che Dio ha preparato per il diavolo e per i suoi simili!

Perché avevo fame e non mi avete dato da mangiare, ero assetato e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato nella vostra casa, ero nudo e non mi avete vestito, ero malato e in prigione e non siete venuti a visitarmi'.

E anche quelli diranno: 'Quando ti abbiamo visto affamato, assetato, forestiero, nudo, malato o in prigione e non ti abbiamo aiutato?'.

Allora il Padre risponderà: 'In verità vi dico che tutto quello che non avete fatto a uno di questi piccoli, non l'avete fatto a me'.

E andranno nella punizione eterna, mentre i primi andranno nella vita eterna" ( Mt 25,35-40 )

Parole di Gesù che davvero tolgono parte della nostra serenità.

A volte pensiamo che, davanti al bisognoso che bussa alla nostra porta, se va bene, lo possiamo liquidare con un pezzo di pane, o pochi centesimi: ma sono un rimanere alla periferia della vera carità.

Un vero peccato è il chiudersi nella propria tranquillità, 'da soli', come se il mondo finisse nei limiti della propria esistenza.

Quando invece, dicendo umanità intendiamo un corpo solo che contiene tutti, poveri e ricchi, in cui, anche se vi è differenza di posizione, non dovrebbe esserci differenza di bontà.

É legge, agli occhi del Padre, che ognuno di noi debba sentirsi parte dell'altro, mai diviso, ma sempre in soccorso l'uno dell'altro.

Non ci dovrebbe essere la propria tranquillità o benessere, ma dovrebbe regnare solo la tranquillità e il benessere condiviso, equo.

Gesù, nel tempo della sua predicazione tra noi, portava nulla con Sè, ed era Dio tra noi, condividendo tutto di noi.

Eppure di suo aveva la sola tunica, che verrà divisa dai soldati dopo la sua crocifissione, morendo così 'nudo'!

E quanti Lo seguivano, i Suoi discepoli, condividevano questa condizione, dopo avere abbandonato tutto.

Ma Gesù, incontrando chi soffriva o era nel bisogno e si rivolgeva a Lui, si commoveva e guariva.

Leggere la commozione di Gesù davanti alla folla che l'ascoltava e non pensava alla fame, ci evidenzia quanto attento fosse lo sguardo che GESÙ aveva verso i poveri.

E noi?

Stando a 'casa nostra', abbiamo il grande problema degli emigranti che vengono, cercando sicurezza, lavoro, senso della vita.

Abbiamo vissuto in altri tempi, non lontani da noi, la stessa vicenda, tanto che ben 5 milioni di nostri connazionali vivono nel mondo dopo essere fuggiti dall'Italia per cercare ospitalità e lavoro.

Ed alcuni si sono affermati.

Abbiamo già dimenticato, dopo pochi decenni, che cosa significhi sentirsi 'straniero in terra straniera'?

Oggi, per troppi di noi, si pensa di dover ancora mettere il 'filo spinato', in nome della 'nostra' sicurezza e così poco accogliamo, poco ancora operiamo per questi fratelli che sbarcano cercando un posto tra noi.

Tanti finiscono in qualche struttura solo per sopravvivere, ma senza futuro.

Credo sia venuto per tutti i credenti il tempo della condivisione con chi chiede aiuto.

Non è più tempo del chiudersi in se stessi, 'come gli altri non ci fossero'.

Se ci specchiamo nelle parole di Gesù, dobbiamo aprirci alla carità, a cominciare dagli ultimi.

É questa che ci salverà.

Occorre avere cuore che comprenda ciò che è in ogni uomo.

Dopo il terremoto nel Belice, nel 1968, parroco a S. Ninfa, avevo anch'io perso tutto … come i fedeli a me affidati.

Un giorno, per togliere la preoccupazione di mamma che nulla sapeva di me dopo il terremoto, mancando allora di mezzi di comunicazione, l'andai a trovare.

Ero vestito alla meglio.

Sull'aereo parecchi notarono quella povertà di vestito, tanto che una persona distinta mi investì di parole poco cortesi, vedendo nel mio abbagliamento una offesa alla dignità.

Fu un vero schiaffo.

Ma vicino a me c'era anche chi mi aveva riconosciuto.

Notando il mio silenzio, affrontò chi mi aveva condannato per l'abito, dicendogli: " Se sapesse chi è questo prete e quello che sta facendo tra i terremotati, signore, direbbe parole di ammirazione e non di disgusto.

Siamo noi, che fortunatamente non viviamo nelle sue condizioni che meriteremmo un rimprovero".

Da parte mia ero felice per avere provato di persona cosa significhi essere emarginato.

In questo nostro tempo, in cui forse cerchiamo la nostra sicurezza senza curarci di quella degli altri, è bene che leggiamo ed accogliamo in profondità, nella luce dello Spirito, il Vangelo di Matteo, cercando di fare quello che il nostro Maestro, Gesù, ci ha chiesto, per poterci un giorno sentir dire: "Venite benedetti, tutte le volte che avete fatto ciò a uno di questi piccoli, l'avete fatto a ME."

Monsignor Riboldi

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