V stazione |
Dal Vangelo secondo Luca 23,26
Mentre conducevano via Gesù, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.
Gesù doveva essere veramente sfinito e così i soldati rimediano prendendo il primo malcapitato che incontrano e caricandolo della croce.
Anche nella vita di ogni giorno la croce, sotto tante diverse forme – da una malattia a un grave incidente alla perdita di una persona cara o del lavoro – si abbatte, spesso improvvisa, su di noi.
E noi vediamo in essa soltanto una sfortuna, o nei casi peggiori una disgrazia.
Gesù però ha detto ai suoi discepoli: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" ( Mt 16,24 ).
Non sono parole facili; anzi, nella vita concreta sono le parole più difficili del Vangelo.
Tutto il nostro essere, tutto ciò che vi è dentro di noi, si ribella contro simili parole.
Gesù tuttavia continua dicendo: "chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà" ( Mt 16,25 ).
Fermiamoci su questo "per causa mia": qui c'è tutta la pretesa di Gesù, la coscienza che egli aveva di se stesso e la richiesta che rivolge a noi.
Lui sta al centro di tutto, lui è il Figlio di Dio che è una cosa sola con Dio Padre ( Gv 10,30 ), lui è il nostro unico Salvatore ( At 4,12 ).
Effettivamente, quella che all'inizio sembrava solo una sfortuna o una disgrazia si rivela poi, non di rado, una porta che si è aperta nella nostra vita e ci ha portato un bene più grande.
Ma non sempre è così: tante volte, in questo mondo, le disgrazie rimangono soltanto perdite dolorose.
Qui di nuovo Gesù ha qualcosa da dirci.
O meglio, a lui è accaduto qualcosa: dopo la croce, egli è risorto dai morti, ed è risorto come primogenito di molti fratelli ( Rm 8,29; 1 Cor 15,20 ).
Sì, la sua croce non può essere separata dalla sua risurrezione.
Solo credendo nella risurrezione possiamo percorrere in maniera sensata il cammino della croce.