I stazione

Gesù è condannato a morte

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.

Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù.

Ma essi urlavano: « Crocifiggilo! Crocifiggilo! ».

Ed egli, per la terza volta, disse loro: « Ma che male ha fatto costui?

Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte.

Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà ».

Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano.

Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita.

Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere ( Lc 23,20-25 ).

Tante volte, nei tribunali e nei giornali, rimbomba quel grido: « Crocifiggilo, crocifiggilo! ».

È un grido che ho sentito anche su di me: sono stato condannato, assieme a mio padre, alla pena dell'ergastolo.

La mia crocifissione è iniziata quando ero bambino: se ci penso mi rivedo rannicchiato sul pulmino che mi portava a scuola, emarginato per la mia balbuzie, senza nessuna relazione.

Ho iniziato a lavorare quando ero piccolo, senza poter studiare: l'ignoranza ha avuto la meglio sulla mia ingenuità.

Il bullismo, poi, ha rubato sprazzi d'infanzia a quel bambino nato nella Calabria degli anni Settanta.

Somiglio più a Barabba che a Cristo, eppure la condanna più feroce rimane quella della mia coscienza: di notte apro gli occhi e cerco disperatamente una luce che illumini la mia storia.

Quando, rinchiuso in cella, rileggo le pagine della Passione di Cristo, scoppio nel pianto: dopo ventinove anni di galera non ho ancora perduto la capacità di piangere, di vergognarmi della mia storia passata, del male compiuto.

Mi sento Barabba, Pietro e Giuda in un'unica persona.

Il passato è qualcosa di cui provo ribrezzo, pur sapendo che è la mia storia.

Ho vissuto anni sottoposto al regime restrittivo del 41-bis e mio padre è morto ristretto nella stessa condizione.

Tante volte, di notte, l'ho sentito piangere in cella.

Lo faceva di nascosto ma io me ne accorgevo.

Eravamo entrambi nel buio profondo.

In quella non-vita, però, ho sempre cercato un qualcosa che fosse vita: è strano a dirsi, ma il carcere è stato la mia salvezza.

Se per qualcuno sono ancora Barabba, non mi arrabbio: avverto, nel cuore, che quell'Uomo innocente, condannato come me, è venuto a cercarmi in carcere per educarmi alla vita.

Signore Gesù, nonostante le forti grida che ci distolgono, ti scorgiamo tra la folla di quanti urlano che devi essere crocifisso; e forse tra loro ci siamo anche noi, inconsapevoli del male di cui possiamo essere capaci.

Dalle nostre celle vogliamo pregare il Padre tuo per coloro che come Te sono condannati a morte e per quanti ancora vogliono sostituirsi al tuo supremo giudizio.

Preghiamo.

O Dio, amante della vita, che nella riconciliazione ci doni sempre una nuova opportunità per gustare la tua infinita misericordia, ti supplichiamo di infondere in noi il dono della sapienza per considerare ogni uomo e ogni donna come tempio del tuo Spirito e rispettarli nella loro inviolabile dignità.

Per Cristo nostro Signore.

Amen.

Pater noster

Stabat Mater dolorosa

iuxta crucem lacrimosa,

dum pendebat Filius.