La Devozione a Gesù Crocifisso |
B123-A2
Non di rado accade di sentir dire, anche da studiosi, che la Devozione a Gesù Crocifisso " è una preghiera comune " oppure " non presenta nulla di straordinario ".
Tali impressioni, evidentemente, non mirano a sottovalutare l'efficacia della preghiera di fra Leopoldo, ciò che suonerebbe contro verità e contro realtà; ma esprimono piuttosto e vogliono accendere fede ed abbandono nella misericordiosa onnipotenza divina, che si vale anche di una povera formula, per farci ancora e sempre partecipi delle sue meraviglie, operate quaggiù, tangibilmente, tra noi.
Che Iddio possa tutto, nessuno lo mette in dubbio.
E su questo punto non si direbbe mai abbastanza.
Ma che la formula del cuoco di san Tommaso sia " comune ", eh! no: questo, no.
E ritengo che il dissenso debba essere esposto su queste pagine fermamente da uno - come me -, il quale per non vestire l'abito di famiglia, non può incorrere nell'appunto di stravedere per traboccar di ammirazione o nel sospetto di far credere, mi si passi l'espressione piatta, per spirito di corpo ciò che non è.
I santi sono creature semplici.
Per capire il semplice, bisogna dimenticarsi, immedesimarsi, non sovrapporsi: spogliarsi dell'incrostata erudizione, che non consente ai pori il contatto vivificante dell'aria pura, o correggersi comunque di quel pieno di sé, che è vuoto gonfio e deforma.
I santi possono essere cuochi o portinai, cioè senza istruzione; ma occorre accostarsi loro, anche in cose apparentemente minime, mai con aria di protezione, sempre con senso rispettosamente dimesso.
Con gli uomini di Dio non si cammina con la mano sulla spalla: si corre il rischio che la loro profondità spalanchi una trappola abissale sotto la superficialità dei nostri passi incauti.
Quanto alla vita, ne sanno più del mondo, assai più di noi, che veniamo considerati i cosidetti intellettuali.
Non si limitano a studiare la loro filosofia prediletta; la fanno scendere dalla regione del pensiero.
Il Cristo non è qualche cosa di vago o di campato in aria, di confinato in cornice di quadro o di costretto in forma di statua.
Gli uomini di Dio, che sono anche creature pratiche, tendono a tradurre immediatamente - fatti roventi di calor divino - la loro visione in atto.
Non conoscono morte, ma vita; non passato né futuro, ma presente.
L'immagine del quadro si anima, il corpo della statua si muove, incede: è attuale, reale, in mezzo a noi. È vivo.
Le ferite non sono macchie di colore o segni incisi in marmo, ma squarcio in carni, vive; donde il sangue goccia: vivo.
La Devozione a Gesù Crocifisso prende le mosse infatti da una profondissima meditazione, che è rappresentazione visiva: dall'invito cioè rivolto da fra Leopoldo al mondo, di raccogliere il più vivamente possibile il pensiero sui minuti, eterni minuti di strazio, durante i quali Gesù venne steso sulla Croce, per terra, per esservi inchiodato e poi innalzato.
Con un batter d'ala, 1949 anni sono cancellati.
L'ora tremenda e sciagurata non è alle nostre spalle, di venti secoli. Scocca adesso.
Gli orecchi rintronano, adesso, dei sordi colpi di martello, spietatamente reiterati.
Offuscati, tra un velo di lacrime, gli occhi si spalancano, adesso, sull'orrore dei chiodi, che si conficcano, un colpo dopo l'altro, più giù, squarciando e spezzando le carni e l'ossa divine, aprendo quelle piaghe, donde, sacro, il sangue goccia.
Gesù, il Giusto per eccellenza, il Giusto perfetto, sotto il peso orrendo dell'iniquità dei secoli, è prossimo a morte. Adesso.
Ciò che fu, è e continua ad essere, a rinnovarsi.
Dalla compassione l'uomo di Dio è condotto alla contemplazione del divino mistero d'amore, per cui il sacrificio di Gesù realmente si rinnova sempre. Sempre e adesso.
Nel momento nel quale la preghiera sta per essere proferita.
Ed è per l'appunto quell'adesso, quella rappresentazione visiva, quell'attualità reale che fanno da molla a tutta la Devozione: di modo che, dinanzi a quella Bontà, cosi vertiginosamente alta, ed alla nostra bruttura, così precipitevolmente caduca, la nostra anima si sprofonda, negli spazi dello spirito, tanto più " profondamente prostrata ", quanto più alto è il senso di quell'attualità reale.
E tanto alto quel senso per fra Leopoldo effettivamente è che l'adorazione, la quale irresistibilmente ne prorompe, non può essere fatta soltanto da un adorante, da lui, ma da terra e cielo insieme: da Maria Santissima Madre, dalle strabocchevoli schiere degli angeli allelujanti con le innumeri falangi dei beati da un lato; da tutta l'umanità dall'altro: in un echeggiante tempio immenso, le cui navate e gli archi da questo mondo balzano all'al di là ad accogliere in prodigiosa unione armoniosa d'amore l'eterno ed il trascorrente, l'infinito ed il finito, l'invisibile ed il visibile.
Tale e tanta è la compassione attuale di fra Leopoldo, mentre si accinge ad esprimere la devozione alle cinque piaghe santissime del Redentore.
E se la parola è impotente - e qual aquila non si sentirebbe senz'ali a reggere a quelle immensità? -, lo slancio del cuore soccorre con una visione gigantesca, in una piena sìncrona di voci oranti, sopra un'estensione di spazi, in un numero inimmaginabilmente innumerevole di adoranti, la cui sintesi architetturale - per chi sappia coglierne l'insieme mirabilmente grandioso - non è da povero cuoco ignorante, ma davvero michelangiolesca.
( Continua )
G. Gaetano di Sales
Beatam me dicent omne generationes!
Lo scrittore G. Gaetano di Sales, mosso da riconoscenza per il suo ritorno alla fede, chiede la cortesia di essere ascoltato sabato 26 marzo alle ore 17,30 precise, nel Teatro Gobetti ( vecchio Liceo Musicale ), in via Rossini 8.
Parlerà sul tema: Il gran ritorno dell'umanità a Dio per Maria.
La conferenza sarà preceduta e seguita dal canto delle Ave Maria di Luzzi e di Schubert, nell'interpretazione del soprano lirico Ester Zanarini.
Ingresso libero