L'uomo e il lavoro |
B172-A1
Invitato dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro per la celebrazione del suo cinquantennio, il Papa Paolo VI si è recato a Ginevra il 10 giugno u. s.
È il settimo viaggio che il Papa ha compiuto all'Estero, dopo quelli
di Gerusalemme, in pellegrinaggio a pregare per il Concilio;
di Bombay per partecipare al Congresso Eucaristico Internazionale;
di New York su invito del Segretario delle Nazioni Unite, U Tant, per parlare all'O.N. U.;
di Fatima, in pio pellegrinaggio mariano;
di Instambul, per incontrarsi con il patriarca ortodosso;
di Bogotà, per partecipare al Congresso Eucaristico dell'America Latina.
E non è l'ultimo; è già annunziata la visita in Africa, e quando questo Bollettino giungerà ai lettori il Papa sarà già stato in Uganda per la celebrazione dei martiri ugandesi.
Nessun Papa ha fatto mai nulla di simile, evidentemente perché i tempi non erano maturi.
La chiesa si è mostrata sempre più viva, inserita in tutta la problematica delle umane vicende, luminosamente maestra dei popoli e al di sopra di tutti.
Ma la visita del Papa a Ginevra ha destato un particolare stupore perché Ginevra è la capitale del protestantesimo, la città di Calvino e fino a ieri il cattolicesimo vi era sommamente aborrito e osteggiato.
Oggi la situazione è cambiata e la visita del Papa ne è stato il segno tangibile.
Il libro della storia ha voltato la pagina.
Accolto ovunque con sommo rispetto Paolo VI si è incontrato anzitutto con le autorità elvetiche e la grande Assemblea del B.I. T. formata da circa 7700 persone, quindi con le varie delegazioni: dei lavoratori, dei datori di lavoro, dei delegati governativi, delle missioni diplomatiche.
Si è recato al Consiglio Ecumenico delle Chiese e al Municipio di Ginevra, ha parlato ai cattolici e alle Chiese non cristiane e finalmente ha celebrato il pontificale all'aperto al grande Parc de La Grange.
La visita è durata circa 15 ore durante le quali il Papa ha pronunziato 16 discorsi.
Il più importante è quello rivolto all'Assemblea del B.I. T. e ne riportiamo i tratti che ci sembrano più rilevanti.
Il Papa dopo aver presentato le sue congratulazioni per il cinquantenario del B.I.T. ed essersi compiaciuto del suo programma così in armonia con quello della Chiesa, ricordò la parte avuta dalla Chiesa nella soluzione dei problemi sociali e del lavoro, soprattutto con le encicliche Rerum Novarum, Quadragesima Anno, Mater et Magistra, Populorum Progressio, e la costituzione conciliare Gaudium et Spes; quindi proseguì: « Noi non siamo per nulla estranei a questa grande causa del lavoro, che costituisce la vostra ragion d'essere, e alla quale voi consacrate le vostre energie.
« Fin dalla sua prima pagina, la Bibbia di cui Noi siamo il messaggero ci presenta la creazione come originata dal lavoro del Creatore e affidata al lavoro della creatura, il cui sforzo intelligente deve metterla in valore, perfezionarla per così dire nell'umanizzarla, al suo servizio.
Così il lavoro è, secondo il pensiero divino, l'attività normale dell'uomo e rallegrarsi e gioire dei suoi frutti un dono di Dio, giacché ciascuno è naturalmente retribuito secondo le sue opere.
« In tutte queste pagine della Bibbia, il lavoro appare come un dato fondamentale della condizione umana, al punto che, divenuto uno di noi il Figlio di Dio è divenuto anche allo stesso tempo un lavoratore, che si designava naturalmente nel suo ambiente con la professione dei suoi.
Gesù è conosciuto come " il figlio del carpentiere ".
Il lavoro dell'uomo acquistava da ciò i più alti titoli di nobiltà che si potessero immaginare » …
Il Papa volle ricordare i pionieri della giustizia sociale, quali mons. Mermillod . e l'Unione di Friburgo, Daniel Le Grand, Gaspard Decurtins ecc. e fare un cenno storico di questo movimento e delle difficoltà affrontate, quindi espose la concezione cristiana e moderna del lavoro: « Qui - ed è un fatto decisivo nella storia della civiltà -, qui il lavoro dell'uomo è considerato degno di un interesse fondamentale.
Non fu sempre così, si sa, nella storia già lunga dell'umanità.
Si pensi alla concezione antica del lavoro, al discredito che lo circondava, alla schiavitù che portava seco, questa orribile piaga, che bisogna purtroppo riconoscere che non è ancora completamente scomparsa dalla faccia della terra.
La concezione moderna, di cui voi siete gli araldi e i difensori, è diversa.
Essa è fondata su un principio fondamentale che il cristianesimo, da parte sua, ha singolarmente messo in luce: nel lavoro è l'uomo che è il primo.
Che sia artista o artigiano, imprenditore, operaio o contadino, manovale o intellettuale, è l'uomo che lavora, è per l'uomo che egli lavora.
È dunque finita la priorità del lavoro sui lavoratori, la supremazia delle esigenze tecniche ed economiche sui bisogni umani.
Mai più il lavoro al di sopra del lavoratore, mai più il lavoro contro il lavoratore, ma sempre il lavoro per il lavoratore, il lavoro al servizio dell'uomo, di ogni uomo e di tutto l'uomo.
« Come non sarebbe impressionato l'osservatore nel vedere che questa concezione si è precisata nel momento teoricamente meno favorevole a questa affermazione del primato del fattore umano sul prodotto del lavoro, al momento stesso della introduzione progressiva della macchina che moltiplica a dismisura il rendimento del lavoro, e tende a rimpiazzarlo?
Secondo una visione astratta delle cose, il lavoro eseguito ormai con la macchina e le sue energie, fornite non più dalle braccia dell'uomo, ma dalle formidabili forze segrete di una natura addomesticata, avrebbe dovuto prevalere, nella stima del mondo moderno, fino a far dimenticare il lavoratore, spesso liberato dal peso estenuante e umiliante di uno sforzo fisico sproporzionato al suo troppo debole rendimento.
Ma di fatto non è così.
Nell'ora stessa del trionfo della tecnica e dei suoi effetti giganteschi sulla produzione economica, è l'uomo che concentra su se stesso l'attenzione del filosofo, del sociologo e del politico.
Perché non c'è in definitiva vera ricchezza che quella dell'uomo.
Ora, tutti lo vedono, l'inserzione della tecnica nel processo dell'attività umana si farebbe a detrimento dell'uomo, se questi non ne rimanesse sempre il padrone, se non ne dominasse l'evoluzione.
Se " bisogna in tutta giustizia riconoscere l'apporto insostituibile dell'organizzazione del lavoro e del progresso industriale nell'opera dello sviluppo ", voi sapete meglio di qualunque altro i misfatti di quella che si è potuto chiamare la parcellizzazione del lavoro nella società industriale contemporanea.
Invece di aiutare l'uomo a diventare più uomo, lo disumanizza; invece di rasserenarlo lo soffoca sotto una cappa di pesante noia.
Il lavoro rimane ambivalente, e la sua organizzazione rischia di spersonalizzare colui che lo compie, se questi, divenuto il suo schiavo, vi abdica intelligenza e libertà, fino a perdere la sua dignità.
Tutti lo sanno, il lavoro sorgente di frutti meravigliosi quando è veramente creatore, può invece, trascinato nel ciclo dell'arbitrario, dell'ingiustizia, della rapacità e della violenza, divenire un vero flagello sociale, come testimoniano quei campi di lavoro eretti ad istituzione, che sono stati l'onta del mondo civile.
« Chi dirà il dramma talvolta terribile del lavoratore moderno, dilacerato nel suo duplice destino di grandioso realizzatore, in preda troppo spesso delle intollerabili sofferenze di una condizione miserabile e proletaria, in cui la mancanza di pane si unisce alla degradazione sociale per creare uno stato di vera insicurezza personale e familiare?
Voi l'avete capito. È il lavoro, in quanto fatto umano, primo e fondamentale, che costituisce la radice vitale della vostra Organizzazione, e ne fa un albero magnifico, un albero che estende i suoi rami nel mondo intero, per il suo carattere internazionale, un albero che è un onore per il nostro tempo, un albero la cui radice sempre fertile lo spinge ad una attività continua ed organica.
È questa stessa radice che vi proibisce di favorire interessi particolari, ma vi pone al servizio del bene comune.
È essa che costituisce la vostra genialità e la sua fecondità; intervenire dappertutto e sempre per portare rimedio nei conflitti del lavoro, possibilmente prevenirli, soccorrere spontaneamente gli infortunati, elaborare nuove protezioni contro nuovi pericoli, migliorare la sorte dei lavoratori, rispettando l'equilibrio oggettivo delle reali possibilità economiche, lottare contro ogni segregazione generatrice di inferiorità, per qualunque motivo - schiavitù, casta, razza, religione, classe -, in una parola, difendere, verso e contro tutti, la libertà di tutti i lavoratori, far prevalere instancabilmente l'ideale della fraternità tra gli uomini, tutti uguali in dignità.
« Tale è la vostra vocazione. La vostra azione non riposa, né sulla fatalità di una implacabile lotta tra quelli che forniscono il lavoro e quelli che lo eseguono, né sulla parzialità di difensori, di interessi o di funzioni.
È al contrario una partecipazione organica liberamente organizzata e socialmente disciplinata alle responsabilità e ai profitti del lavoro.
Un solo scopo: né il denaro, né il potere, ma il bene dell'uomo.
Più che una concezione economica, meglio che una concezione politica è una concezione morale, umana, che vi ispira: la giustizia sociale da instaurare, giorno dopo giorno, liberamente e di comune accordo.
Scoprendo sempre meglio tutto ciò che richiede il bene dei lavoratori, voi ne fate prendere a poco a poco coscienza e lo proponete come ideale.
Di più, voi lo traducete in nuove regole di comportamento sociale, che si impongono come norme di diritto …
« Sulla vostra strada, gli ostacoli da rimuovere e le difficoltà da superare non mancano.
Ma voi l'avete previsto, e per farvi fronte siete ricorsi ad uno strumento e ad un metodo che potrebbero bastare da soli per l'apologià della vostra istituzione.
Il vostro strumento originale ed organico è di far convergere le tre forze che sono all'opera nella dinamica umana del lavoro moderno: gli uomini di governo, gli imprenditori e i lavoratori.
E il vostro metodo - ormai tipico paradigma -, è di armonizzare queste tre forze, di farle non più opporsi ( tra di loro ), ma concorrere " in una collaborazione coraggiosa e feconda " ( Allocuzione di Pio XII al Consiglio di Amministrazione del B.I.T., 19 novembre 1954 ), in un costante dialogo per lo studio e la soluzione di problemi sempre rinascenti e continuamente rinnovati ».
« Questa concezione moderna ed eccellente è degna di sostituire definitivamente quella che ha infelicemente dominato la nostra epoca: concezione dominata dall'efficacia ricercata attraverso agitazioni troppo spesso generatrici di nuove sofferenze e di nuove rovine, rischiando così di annullare invece di consolidare, i risultati ottenuti a prezzo di lotte più di una volta drammatiche.
Bisogna proclamarlo solennemente: i conflitti di lavoro non saprebbero trovare il loro rimedio in disposizioni imposte artificiosamente, che privano fraudolentemente il lavoratore e tutta la comunità sociale della loro prima ed inalienabile prerogativa umana, la libertà.
Essi non saprebbero più trovarlo del resto in situazioni che risultano dal solo e libero giuoco - come si dice - del determinismo dei fattori economici.
Simili rimedi possono avere le apparenze della giustizia, ma non ne hanno l'umana realtà.
« È solo comprendendo le ragioni profonde di questi conflitti e venendo incontro alle giuste rivendicazioni che esprimono, che voi ne prevenite l'esplosione drammatica e ne evitate le conseguenze rovinose.
Con Albert Thomas, ridiciamolo : " Il ' sociale ' dovrà vincere 'l'economico'.
Dovrà regolarlo e condurlo, per meglio soddisfare alla giustizia " …
« In quest'ora contrastata della storia dell'umanità piena di pericoli, ma ripiena di speranza, è a voi che spetta, in larga parte, costruire la giustizia, e così assicurare la pace.
No, Signori, non credete la vostra opera finita, essa al contrario diviene ogni giorno più urgente.
Quanti mali - e quali mali! - quante deficienze, abusi, ingiustizie, sofferenze, quanti pianti si levano ancora dal mondo del lavoro!
Permetteteci di essere davanti a voi l'interprete di tutti quelli che soffrono ingiustamente, che sono ingiustamente sfruttati, oltraggiosamente dileggiati nei loro corpi e nelle loro anime, avviliti da un lavoro degradante, sistematicamente voluto, organizzato, imposto.
Ascoltate questo grido di dolore che continua a salire dall'umanità sofferente! ».
« Coraggiosamente, instancabilmente, lottate contro gli abusi sempre rinascenti e le ingiustizie continuamente rinnovate, costringete gli interessi particolari a sottomettersi alla visione più ampia del bene comune, adattate le vecchie disposizioni ai nuovi bisogni, suscitatene di nuove, impegnate le nazioni a ratificarle, e adoperate i mezzi per farle rispettare, perché, bisogna ripeterlo: " sarebbe vano proclamare dei diritti, se non si mettesse contemporaneamente tutto in opera per assicurare il dovere di rispettarli, da tutti, dappertutto e per tutti " ».
« Osiamo aggiungerlo: è contro l'uomo che dovete difendere l'uomo, l'uomo minacciato di non essere altro che una parte di se stesso, ridotto, come si è detto, a una sola dimensione.
Bisogna ad ogni prezzo impedirgli di non essere che il fornitore meccanizzato di una macchina cieca, divoratrice della parte migliore di lui stesso, o di uno Stato che cerca di asservire tutte le energie al suo solo servizio.
È l'uomo che dovete proteggere, un uomo travolto dalle forze formidabili che egli mette in opera e come inghiottito dal progresso gigantesco del suo lavoro, un uomo trascinato dallo slancio irresistibile delle sue invenzioni, e come stordito dal contrasto crescente tra il prodigioso aumento dei beni messi a sua disposizione, e la loro ripartizione così facilmente ingiusta tra gli uomini e tra i popoli » …
« Dominando tutte le forze dissolvitrici di contestazione e di babelizzazione, è la città degli uomini che bisogna costruire, una città il cui solo cemento durevole è l'amore fraterno, tra le razze e i popoli, come tra le classi e le generazioni.
Attraverso i conflitti che dilaniano il nostro tempo, è, più che una rivendicazione di avere, un desiderio legittimo di essere che si afferma sempre più ».
« Se gli ordinamenti tecnici sono indispensabili, essi non saprebbero portare i loro frutti senza questa coscienza del bene comune universale che anima e ispira la ricerca, e che sostiene lo sforzo, senza questo ideale che porta gli uni e gli altri a superarsi nella costruzione di un mondo fraterno.
Questo mondo di domani, è ai giovani di oggi che spetterà di edificarlo, ma è a voi che spetta di prepararveli.
Molti ricevono una formazione insufficiente, non hanno la possibilità reale di imparare un mestiere e di trovare un lavoro.
Molti anche adempiono compiti per essi senza significato, la cui monotona ripetizione può sì procurare loro un profitto, ma non basta a dar loro una ragione di vivere e soddisfare la loro legittima aspirazione ad occupare, da uomini, il loro posto nella società.
Chi non comprende, nei paesi ricchi, la loro angoscia dinanzi alla tecnocrazia invadente, il loro rifiuto di una società che non riesce ad integrarli, e nei paesi poveri, il loro lamento di non potere, per mancanza di preparazione sufficiente e di mezzi adatti, portare il loro generoso contributo ai compiti che li stimolano?
Nell'attuale mutazione del mondo, la loro protesta risuona come un segnale di sofferenza e come un appello di giustizia.
In seno alla crisi che scuote la civiltà moderna, l'attesa dei giovani è ansiosa e impaziente: sappiamo loro aprire le strade dell'avvenire, proporre loro dei compiti utili a prepararveli.
C'è tanto da fare in questo campo.
Voi siete ben coscienti, d'altronde, e Noi Ci felicitiamo con voi per aver inserito nell'ordine del giorno della vostra 53a sessione lo studio dei programmi speciali di impiego e di formazione della gioventù in via di sviluppo ».
« Vasto programma. Signori, degno di suscitare il vostro entusiasmo e di galvanizzare tutte le vostre energie, nel servizio della grande causa che è la vostra - che è anche la Nostra -, quella dell'uomo.
A questo pacifico combattimento i discepoli di Cristo intendono partecipare di vero cuore.
Perché se è necessario che tutte le forze umane collaborino a questa promozione dell'uomo, bisogna mettere lo spirito al posto che gli spetta, il primo, perché lo Spirito è Amore.
Chi non vede? Questa costruzione sorpassa le sole forze dell'uomo.
Ma, il cristiano lo sa, che egli non è solo con i suoi fratelli in questa opera d'amore, di giustizia e di pace, in cui egli vede la preparazione e la garanzia della città eterna che egli aspetta dalla grazia di Dio.
L'uomo non è lasciato in balia di se stesso in mezzo a una folla solitaria.
La città degli uomini che egli costruisce è quella di una famiglia di fratelli, di figli dello stesso Padre, sostenuti nei loro sforzi da una forza che li anima e li sostiene, la forza dello Spirito, forza misteriosa, ma reale, né magica, né totalmente estranea alla nostra esperienza storica e personale, perché essa si è espressa in parole umane.
E la sua voce risuona più che altrove in questa casa aperta alle sofferenze e alle angosce dei lavoratori, come alle sue conquiste e alle sue prestigiose realizzazioni, una voce la cui eco ineffabile, oggi come ieri, non cessa ne cesserà mai di suscitare la speranza degli uomini in lavoro: " Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, e io vi darò completo riposo ".
" Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati! " ».